L’arte e la moda sono da sempre un binomio indissociabile, un rapporto amoroso che nasce, vive e va avanti , nutrendosi a vicenda
di innovazioni.
Parliamo di incontri fortunati
che hanno cambiato il modo di percepire la moda e la storia del costume,
di donne ostinate e geniali che hanno creato e innovato stili,
rivoluzionando non solo gli abiti, ma il modo di pensare di intere
generazioni.
L’incontro tra il brand di lusso Louis Vuitton e Yayoi Kusama
è stato senza dubbio uno degli incontri più felici tra arte e moda.
Una
scelta fortemente voluta dal direttore creativo della maison, Marc Jacobs, certo non indifferente alla fascinazione per l’arte contemporanea
e alle sue contaminazioni con il fashion.
Fu infatti proprio Jacobs a
dare vita, nel 2003 a una collaborazione con l’artista giapponese Takashi Murakami.
Che dire dell' iconica handbag monogram multicolor?
Jennifer
Lopez, Naomi Campbell, Paris Hilton e Nicole Richie non potevano farne a
meno, e in breve divenne un must-have per le star, e non solo.
Fu un sodalizio felice che durò ben 12 anni, fino a quando la
collaborazione fini' e lo stilista americano si mise a caccia
di novità : da Richard Prince, che lo folgorò con la sua mostra Spiritual America del 2007 – un inno all’anti-eroe americano – a Cindy Sherman, fino a lei, la regina dei pois, l'artista Yayoi Kusama.
Yayoi Kusama si avvicina giovanissima all’arte studiando pittura Nihonga nella sua patria, il Giappone.
Dipinge violette, peonie, zinnie, zucche.
Cominciano le
allucinazioni, che non la abbandoneranno mai più.
Ben presto il rigore
formale dell’arte giapponese – nonché la rigidità dell’Impero del Sol
Levante – le stanno stretti, così decide di trasferirsi a New York.
Alla fine degli Anni 50 la Grande Mela è per gli artisti la terra
promessa: sono gli anni dell’Espressionismo Astratto, dell’Action
Painting, della Pop Art.
Yayoi Kusama è una donna giapponese in un mondo
dominato da uomini: realizza tele enormi, performance con espliciti
riferimenti sessuali, utilizzando il suo corpo (o quello di altre
persone) e dipingendolo con enormi pois.
Il sesso è un’ossessione.
I
tormenti di Yayoi risalgono all'infanzia, al rapporto con il padre che
tradisce continuamente la madre, alla sua sensibilità di bambina e poi
adolescente non capita dal mondo che la circonda.
I primi anni a
New York non solo facili: l’arte è in mano agli uomini, il mondo non è
ancora pronto per la sua arte. Soffre la fame, vive ai margini, tenta il
suicidio. “Quando mi sentivo triste, salivo sull’Empire State Building.
In cima al più alto grattacielo esistente sentivo che ogni cosa era
possibile.
Un giorno, lì a New York, avrei stretto tutto ciò che volevo
in quelle mie mani vuote.
Il mio impegno per attuare una
rivoluzione nell'arte totale che sentivo il sangue ribollire nelle vene e
dimenticavo la fame”.
Poi risorge. Importanti gallerie cominciano ad
accorgersi di lei, di quella donna dai capelli tagliati a caschetto e
dallo sguardo che sembra proiettato altrove, in un altro pianeta.
Da
allora non si è più fermata.
Con “Infinity Mirror Room” la sua arte si
moltiplica attraverso l’utilizzo di specchi applicati alle pareti e
falli bianchi ricoperti di puntini rossi al centro della sala.
Le sue azioni performative non si concentrano solo sul suo universo interiore, ma anche su temi politici – come il Body Painting Festival, organizzato contro la guerra – e di rivolta sessuale.
Negli Anni 70 fonda la Kusama Fashion Co. che si occupa di produrre vestiti e vendere abiti e tessuti in stile Kusama.
In pochi anni, Yayoi viene riconosciuta come una
delle figure più controverse e geniali dell’arte americana, fino al
1975, quando decide di ritornare in Giappone.
Il male di vivere dell’artista si accentua sempre di più, e così decide di auto-ricoverarsi in un ospedale psichiatrico.
Questo non la tiene lontana dall’arte, anzi: lavora incessantemente e
le vengono dedicate importanti mostre al Museum of Modern Art di New
York, al Walker Art Center nel Minneapolis, alla Tate Modern a Londra,
al Centre Pompidou di Parigi e al National Museum of Modern Art di
Tokyo.
Le sue opere vengono vendute a cifre record, i collezionisti più
importanti del mondo si contendono i suoi lavori. Yayoi Kusama però è
sempre in un ospedale psichiatrico, la sua vita è lì.
L’incontro con Marc Jacobs
non fa che accrescere la sua fama.
È il 2012 e Yayoi Kusama
non ha certo bisogno di presentazioni, ma la sua celebrità è destinata a
uscire dal circuito dell’arte, ad andare altrove, per finalmente diventare un’icona
che resterà non solo nella storia, ma nell'immaginario di tutti.
“In
ognuna delle tele e delle installazioni di Yayoi Kusama c’è una sorta di
ossessione e in ogni creazione c’è un mondo infinito.
" Dev'essere per questo che la ammiro e la amo tanto, che mi emoziono di
fronte al personaggio e alle sue opere" ha dichiarato Marc Jacobs a proposito
della loro collaborazione.
I pois dell’artista, ripetuti fino
all’ossessione, finiscono su borse e accessori di pelletteria e danno
vita a una collaborazione che passerà alla storia.
Louis Vuitton
realizza una linea di borse che riprende i modelli più iconici,
sostituendo la classica tela Monogram con la ben più prestigiosa pelle Monogram Vernis Dots Infinity.
Altre borse subiscono invece un restyling più fantasioso dove i manici,
la parte superiore e il fondo sono stati realizzati in pelle verniciata
Dots Infinity, mentre la parte centrale è in nylon
Monogram.
Insieme alle borse sono stati realizzati articoli di piccola
pelletteria: portafogli, pochette, portamonete che, oltre ai pois,
riportano le zucche e i nervi biomorfici, altri elementi caratteristici
dell’arte di Kusama.
Ma non finisce qui: la collezione
comprende anche bracciali modello bangle, scarpe decolleté, ballerine.
C’è anche un trench in plastica, che permette a chi lo indossa di
apparire come se fosse stato dipinto a mano, pieno di pois.
E poi teli mare, parei, e foulard. La mini
collezione di abbigliamento e accessori “by Kusama” riscuote un successo
planetario.
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