giovedì 19 febbraio 2015

Alessandro Volta il grande scienziato comasco

 
Alessandro Volta, il fisico italiano reso immortale dall'invenzione della pila e da alcune altre straordinarie scoperte 270 anni fa. 

Ieri 18 febbraio 2015 si festeggiava il 270° anniversario della nascita di Alessandro Volta. 

Ce l'ha ricordato anche Google, che ha dedicato un doodle formato pila:  al celebre fisico italiano, passato alla storia soprattutto per le sue scoperte nel campo dell'elettricità e il cui nome, non a caso, ha ispirato anche un'unità di misura, il Volt.


Il conte Alessandro Giuseppe Antonio Anastasio Volta nasce a Como il 18 febbraio 1745, da una famiglia benestante. 
In giovinezza studia retorica e filosofia presso i gesuiti, ma nel 1761, quando entra nel Regio Seminario Benzi di Como, fa amicizia con il canonico Giulio Cesare Gattoni, a sua volta fisico, che gli trasmette la passione per le materie scientifiche. 
Naufraga così definitivamente il sogno dei genitori di vederlo diventare sacerdote, mentre l'umanità riceve in cambio un grande scienziato.


Alla soglia dei 50 anni Alessandro Volta vanta già uno straordinario curriculum scientifico. 
Oltre ad aver scritto diverse memorie e lettere che hanno rivoluzionato le conoscenze dell'epoca sui fenomeni elettrici, ha infatti realizzato alcune invenzioni molto rilevanti in materia, tra cui l'elettroforo perpetuo, un generatore elettrostatico capace di accumulare una modesta quantità di carica elettrica in modo discontinuo, e il condensatore, che permette di accumulare energia elettrica tenendo separate cariche elettrostatiche. 
Il meglio deve però ancora venire.

All'inizio del 1800 vede la luce un'invenzione sui cui Alessandro Volta stava lavorando da tempo: la pila, un antenato della batteria elettrica, che genera una corrente elettrica costante. 
Partendo dalle teorie di Luigi Galvani, che dagli esperimenti sulle rane aveva ipotizzato l'esistenza di un "fluido elettrico animale", Volta realizza una batteria alternando dei dischi di zinco e rame con del cartone imbevuto di salamoia. 
Il fenomeno alla base del funzionamento della pila voltaica, per cui tra due conduttori metallici diversi posti a contatto si stabilisce una piccola differenza di potenziale, ha preso il nome di "effetto Volta".


L'annuncio dell'invenzione della pila, avviene nel 1801 presso la Royal Society di Londra, rendendolo celebre in tutto il mondo. 

Tra le tante onorificenze ricevute, nel 1805  Napoleone lo nomina Cavaliere della Legion d'onore.



Anche se molti lo conoscono solo per la pila, è stato Alessandro Volta a scoprire l’origine del gas metano.

Nell’autunno del 1776, padre Carlo Giuseppe Campi, dell’ordine dei Somaschi, nota una sorgente di "acqua infiammabile" nelle acque stagnanti di San Colombano al Lambro (Mi) e prega Volta di studiarla per rivelarne la natura. 
Lo scienziato non può andare nella Bassa Lodigiana, ma lavora di cervello: questa aria viene prodotta all’interno delle acque pantanose e quindi sospetta che si tratti di un evento comune a tutte le paludi.

L'intuizione arriva quando Volta è in vacanza ad Angera, sulla sponda lombarda del lago Maggiore: è qui che le sue supposizioni trovano conferma.

Raccoglie l’aria prodotta in un canneto, tra laghi e stagni, dove riposano i resti di vegetali e di animali putrefatti, dimostrando che il gas non è un prodotto di origine minerale, ma organica.

Volta ribattezza questo gas "aria infiammabile nativa delle paludi", poi diventato noto come metano. 
In una delle sue lettere suggerisce di sostituire l’uso dell’olio come combustibile per le lampade con il gas delle paludi.



Un monumento a Como per commemorare Volta, l'orgoglio della città.

La Fontana monumentale venne commissionata dal Comune di Como per riqualificare uno dei luoghi d'ingresso alla città, piazzale Camerlata già allora transitata da molti veicoli in quattro direzioni di marcia. 
I progettisti, l'architetto Cesare Cattaneo e il pittore Mario Radice, data la destinazione urbanistica del monumento, idearono tale combinazione di anelli e di sfere ispirandosi alla pila di Alessandro Volta. 
110 metri quadrati di marciapiede in ghiaietto circondano il prato, intersecato da una passerella. 
Due vasche con zampillo di diversa misura sull'area erbosa, continuano il motivo del cerchio su cui tutto il complesso sviluppa volumi e linee. 
Quattro anelli si protendono a sbalzo, si susseguono fino a nove metri, si alternano a quattro sfere e fronteggiano un quinto più piccolo, verticale e diametralmente opposto. 

Tutti gli elementi insistono sull'inverosimile staticità assicurata da un traliccio metallico, da un pilastro che attraversa le sfere e da quattro mensole anulari. 
La base che disegna - tra il prato e la ghiaia - una vasta area piatta, e la sospensione dell'enorme peso nel vuoto, sono i tratti di questo ardito compendio di scultura e architettura.

Woinic le colosse des Ardennes !



Woinic est le plus grand sanglier du monde et il fait figure, aujourd'hui, d'emblème incontesté du département des Ardennes



La sculpture de l'Ardennais Eric Sleziak, installée sur une aire d'autoroute de l'A34 dans la commune de Saulces-Monclin, entre Rethel et Charleville-Mézières, mesure 8,5 mètres de haut, 5 mètres de large et 14 mètres de long pour un poids de 50 tonnes. 


Monté sur une plate-forme pivotante sur fond de collines et de forêts, ce sanglier géant représente une halte étonnante et inoubliable, notamment pour les plus petits, aux portes des Ardennes françaises.

Réalisé par le sculpteur ardennais Eric Sleziak entre le 1er janvier 1983 et le 18 décembre 1993, il s'agit d'une œuvre monumentale en petits carrés de fer soudés (10 cm × 10 cm) entre eux.  

Onze années et 12 000 heures de travail furent nécessaire à sa réalisation, ainsi que 430 bobines de fil et 325 bouteilles de gaz.

Woinic è la contraction de Woidouche et Nicole, les prénoms des parents du sculpteur.

mercoledì 18 febbraio 2015

L'affascinante Lucrezia Borgia






Lucrezia Borgia è una delle figure femminili più affascinanti ed enigmatiche  del Rinascimento italiano.

Figlia del cardinale spagnolo Rodrigo Borgia, arcivescovo di Valencia, diventato Papa nel 1492 con il nome di Alessandro VI e di Vannozza Cattanei di origine mantovana, cresce in un mondo di intrighi e di congiure. 

Bella e intelligente, Lucrezia sopravvive ai suoi numerosi mariti e dimostra grande abilità nella gestione del potere. 

Nominata dal Papa governatrice di Spoleto e in seguito duchessa  di Ferrara, si guadagna rispetto e obbedienza. 

La sua vita si confonde spesso con il mito: quello di una donna desiderata da molti, traditrice e tradita, simbolo di un’epoca attraversata da complesse trame per la conquista o la conservazione del potere.  

Fu davvero così bella Lucrezia Borgia, come asseriva Pietro Bembo tanto da conservare un suo ricciolo d'oro tra le proprie carte?


Non si hanno dati precisi sulla sua nascita, il più attendibile la farebbe risalire al 18 aprile 1480 a Subiaco (in provincia di Roma), terzogenita di Rodrigo Borgia e Vannozza Cattanei, ebbe tre fratelli: Juan, Cesare e Jofrè.   


Lucrezia viene educata nel convento di San Sisto e in seguito affidata alla cure della cugina del Papa, Adriana Mila.
A dodici anni viene fatta fidanzare, per procura, con Don Gaspare da Procida, un nobile spagnolo. 

Vincolo che sarà poi sciolto dal padre che la diede in moglie a Giovanni Sforza.


Il matrimonio, avvenuto nel 1493, non nasce sotto i migliori auspici. 
Nella primavera del 1494 la coppia, che vive a Roma, si trasferisce a Pesaro, non si sa se a causa di un'epidemia di peste o per paura dei francesi. 

Il Papa impone che la sua amante Giulia Farnese con la suocera si unisca alla coppia.

Tuttavia Giulia contravvenendo agli ordini papali raggiunge il marito Orsino e nonostante Alessandro VI la rimproveri aspramente, non si fa convincere a tornare da lui.
Successivamente, dopo la pace tra i due amanti, saranno proprio i francesi a catturare le donne mentre rientrano a Roma e solo grazie alla mediazione degli Sforza e ad un cospicuo riscatto, Alessandro VI potrà riavere le sue donne.

Al Papa le nozze della figlia non sono più tanto convenienti, questo lo intuisce anche Giovanni che torna a Roma per reclamare la moglie. 
Tutto inutile. E capisce che non gli conviene mettersi contro i Borgia che potrebbero toglierlo di mezzo molto in fretta.


Cerca allora appoggio dallo zio Ludovico il Moro, a Milano, ma è tutto inutile ed iniziano gli scontri e le ingiurie.

I Borgia accusano Giovanni di essere un marito solo di nome, quest'ultimo accusa Lucrezia di essere l'amante del padre e del fratello.

I Borgia vogliono annullare il matrimonio, perché non consumato, Giovanni non cede. 

A Roma, intanto, si decide di far visitare Lucrezia che viene dichiarata virgo intacta. Il matrimonio viene annullato il 20 dicembre 1497, Lucrezia aveva 17 anni. 

Che motivo aveva il Papa per annullare il matrimonio, suscitando tanto clamore ed esponendo la figlia ai pettegolezzi ?





Lucrezia si rifugia in convento, ma voci insistenti dicono che c’è un'altra la ragione.
Lucrezia deve partorire. 
Ma se il matrimonio non è stato consumato, se lei è stata dichiarata "virgo intacta" com'è possibile tutto ciò?


Si dice che  che il bambino sia di suo padre o di suo fratello Cesare Borgia, altri fanno svariati nomi. 

Non si ha nemmeno la prova che Lucrezia sia la vera madre, ma che il bambino sia figlio del Papa e della sua amante Giulia Farnese.
  




Il piccolo, battezzato Giovanni, passerà alla storia come "l'infante romano".

Il 15 giugno 1497 il duca di Gandia, Juan, fratello di Lucrezia, viene ripescato cadavere nel Tevere; subito i sospetti si addensano su Cesare Borgia che ha sempre ambito al posto di capitano delle truppe pontificie occupato da Juan. 

Alcuni invece affermano che Cesare abbia ucciso Juan, perché quest'ultimo era l'amante di Lucrezia e padre dell'infante romano.

Il 21 luglio 1498 Lucrezia si sposa nuovamente. 
Anche le nozze celebrate in Vaticano con Alfonso d'Aragona, duca di Risceglie, finiscono tragicamente.



Cesare Borgia, che era stato rifiutato da Carlotta d'Aragona, sposa Carlotta d'Albert di Navarra, re Luigi lo nomina duca di Valentinois in cambio dell'aiuto di Cesare a riconquistare il regno di Napoli.

Alfonso allarmato si rifugia dai suoi parenti, abbandonando Lucrezia che aspetta un bambino.
Sconvolgendo gli alti prelati, il Papa per risollevare il morale di Lucrezia, la nomina governatrice di Spoleto, dove svolgerà diligentemente il suo incarico.

Il 19 settembre 1489 Alfonso, dietro pressione del padre, raggiunge Lucrezia ed insieme tornano a Roma, dove nel mese di Novembre Lucrezia dà alla luce un maschietto che viene chiamato Rodrigo.
Il 15 luglio 1500 Alfonso viene ferito gravemente. 

Il colpevole è Cesare Borgia, motivo la gelosia nei confronti della sorella.


Assistito dai migliori medici del Papa, nonostante le gravi ferite, con grande gioia di Lucrezia, Alfonso riuscirà a guarire.

Durante la degenza Lucrezia non ha mai abbandonato il suo sposo, tuttavia il 18 agosto dopo averla fatta allontanare con un pretesto, Michelotto da Corella, sicario di Cesare Borgia, uccide Alfonso proprio nelle stanze di Lucrezia. 

Interviene nuovamente il Papa a consolare la vedova nominandola governatrice di Nepi.
Intanto, mentre Lucrezia è lontana, il Papa pensa ad un nuovo matrimonio per lei in cerca di nuove alleanze e incarica Cesare di raggiungerla a Nepi per comunicarglielo. 

Il candidato è Alfonso d'Este di Ferrara. Lucrezia, a 21 anni, può sperare una nuova vita lontana dalla sua famiglia.

Tuttavia gli Este non la pensano così: troppe sono le maldicenze su Lucrezia. 
Ma nonostante tutte le contrarietà il 30 dicembre 1501 le nozze vengono celebrate: Lucrezia riuscirà, se non proprio a farsi amare dal marito, almeno a farsi rispettare, anche se verrà tradita ripetutamente.

Gli darà sette figli, tre dei quali moriranno subito dopo la nascita. 

A Ferrara Lucrezia è finalmente serena, per quanto le sarà possibile continuerà a proteggere il fratello. Lucrezia Borgia muore di setticemia a Ferrara, in seguito ad un parto, il 24 giugno 1519 a 39 anni.

martedì 17 febbraio 2015

Le bleu Jacques Monory exposé à Landernau




Jacques Monory à Landerneau.
Isabelle Maeght, dont la famille a toujours soutenu l’artiste  a inspiré l’exposition rétrospective.


Concrétisée par Pascale Le Thorel, critique d’art et auteur d’une monographie sur le « peintre-cinéma ». 
Ouvert avec Gérard Fromanger, le Fonds Hélène et Édouard Leclerc invite donc jusqu’au 17 mai 2015 un  illustre membre du mouvement des Figurations narratives : Jacques Monory.
 
Nombreux sont ceux qui comme Michel-Édouard Leclerc ressentent « l’impression d’avoir toujours vécu avec l’œuvre de Jacques Monory. Depuis la fréquentation des galeries dans les années 70 jusqu’à la lecture des polars dont certaines de ses peintures faisaient les couvertures, ses “images” s’imposaient à notre génération ». 
Et de préciser : « il ne s’agit pas simplement d’une esthétique, de la réminiscence d’une couleur ou d’un procédé ». Il parle de ses thèmes, de ses obsessions (le cinéma, l’Amérique, les bagnoles, la femme…) et des mythes de la société moderne dont il s’est inspiré. 
Michel-Édouard Leclerc était allé voir la grande expo de la Figuration narrative au Grand Palais en 2008, puis l’expo inaugurale du Mac/Val confiée à Monory. 


Depuis, il se l’était juré : « c’est à Landerneau, foi de Breton, qu’on lui offrira sa plus belle exposition ».
Jacques Monory, enthousiasmé par les possibilités qu’offrent les volumes des Capucins a gambergé sur l’accrochage depuis son atelier. 

Durant six mois, avec ses proches, il a recensé les tableaux, les carnets et les collectionneurs. 
De son côté, Éric Morin, l’architecte-scénographe rennais, travaille à la mise en espace. 

Son idée force : créer des effets de miroir en plaçant des surfaces réfléchissantes sur les tranches des cimaises.

L’installation à caractère rétrospectif permet de découvrir des tableaux, dont de très grands formats, prêtés par de prestigieuses collections privées et publiques (Centre Pompidou, Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, Fonds National d’Art contemporain, Mac/Val, Musées de Marseille), ou fondations (Fondation Maeght, Fondation Salomon, Fondation Gandur pour l’Art). 

Elle présente aussi l’ensemble des films de Monory, des photographies, des collages et des objets, souvent inédits… 


On trouve là son esthétique unique dans le domaine des arts plastiques, proche de grands morceaux littéraires et cinématographiques du XXe siècle (filiation Borges, Pessoa, Modiano, Beinex). 
Sa quête du temps, son atmosphère poétique particulière, son écriture, tendues par un  « pessimisme-scepticisme-nihilisme-individualisme-anarchisme-désespoir » en font pour Pascale Le Thorel « l’un de ces artistes rares, dont l’ADN s’inscrit dans son époque et hors temps ».

Monory Landerneau
Expo Monory Landerneau au Fonds Leclerc

L’exposition Jacques Monory Landerneau révèle l’œuvre de celui qui nomme ses histoires des « scénarios thrillerés » et que son ami, le philosophe Jean-François Lyotard, a qualifié du titre baudelairien de « peintre de la vie moderne ». 

Créateur d’atmosphères, metteur en scène de fragments, Monory utilise la photographie pour rendre ensuite en peinture « le climat, l’impression, la sensation, le fait divers symbolique ».

Si le bleu Monory identifie immédiatement ses peintures, on voit dans ses tableaux du début des années 1960 une tendance à la monochromie allant des roses vers les bleus. 

Le répertoire graphique se constitue avec la silhouette du peintre, les femmes, les animaux, les voitures, le revolver, la mort qui rôde… travaillés toujours en série.
L’exposition Monory Landerneau s’ouvre avec des tableaux des premières années, oeuvres matrices rassemblées pour la première fois, aux titres évocateurs Astérion l’unique, Comme il vous plaira, Elle, 6 heures du matin, Un autre, Out of the blue… Suivent les séries devenues mythiques : les Meurtres et Ex-. (Voir notre diaporama au pied du présent article).


Le tableau For all that we see or seem, is a dream within a dream (Car tout ce que nous voyons ou sentons est un rêve à l’intérieur d’un rêve, 1967) ouvre l’ensemble des Meurtres. Son titre est tiré d’une nouvelle d’Edgar Poe. Choisi comme emblème de l’exposition, il formalise une rupture amoureuse, une fêlure dans la vie de l’artiste. L’homme et la femme sont isolés et séparés formellement par une ligne blanche, une fissure qui traverse la peinture. Pour « exécuter » les vingt-huit tableaux de la série Meurtre, Jacques Monory tira à balles réelles sur des miroirs ! L’effet « nature morte », ou scène de crime est saisissant. « J’ai peint les Meurtres pour indiquer ce que je vivais, une agression à mon égard ; je l’ai petit à petit élargie jusqu’à l’idée que cette agression était généralisée. Je n’étais plus particulièrement une victime, j’étais une victime comme les autres. Seulement, à un certain moment, je l’ai ressenti vis-à-vis de moi-même brutalement » dira Jacques Monory en 1972. 

La part autobiographique et la temporalité, rendues par différentes séquences « sur les principes des collages surréalistes », sont affirmées. Les éléments de rêve, de transposition, de catharsis sont mis en scène, colorisés. 


Le rapport à la photographie et au cinéma est établi par l’emploi des couleurs (le bleu de la nuit), les formats (l’horizontalité, l’écran, le principe des planches contact), l’arrêt sur image, les titres – fictionnels ou narratifs.
Cette esthétique très « roman-photo » restera sa signature, identifiable encore dans ses œuvres des années 2000. 
Si son inspiration aborde aussi ses proches (Antoine n°11) et ses découvertes (Arcachon, Pompéi…), sa rencontre avec les États-Unis engendre une fascination récurrente. On le voit avec ses photographies désormais vintage, confirmant son goût des lieux « border-line », comme cet étrange musée d’ethnographie de l’Utah mêlant cranes d’hommes et d’animaux. Que dire de ce sobre salon de barbier, une fois que le cartel révèle qu’il s’agit de celui de la prison de Rikers Island ? D’est en ouest, Jacques Monory parcourt l’Amérique, cet « enfant monstrueux qui nous fascine ».  
Elle lui inspirera un hommage à Edward Hopper – un de ses peintres de prédilection – et une œuvre extraordinaire, le grand triptyque Death Valley n°1, où il intègre la gravure du Chevalier et la mort de Dürer. 
Dans un autre ensemble, il représente « l’imbécilité de la richesse et du pouvoir » du monde hollywoodien.
Retour au cinéma, mais en France, Jacques Monory réalise en 1985, La Voleuse, où il rend hommage à son film culte : Gun Crazy, de Joseph H. Lewis. 


Quatre ans plus tôt, Beineix a réalisé Diva, directement inspiré de la série des Opéras glacés, peinte entre 1974 et 1975. Totalement fasciné, Beineix disait « ce sera bleu, ce sera un monochrome ». 
Ses techniciens s’inquiétaient : « trop bleu, cela va être trop ». Curieusement, les deux hommes ne se rencontreront que trente ans plus tard.

Expo Monory Landerneau Fonds Leclerc, Aux Capucins 29800 Landerneau, 4 décembre 2014 – 17 mai 2015, horaires tous les jours de 10h à 18h.


lunedì 16 febbraio 2015

Una mostra dedicata a Luisa Casati Stampa la musa di D'Annunzio e d'altri artisti


Venezia evoca il mito della donna che affascinò D’Annunzio e divenne la musa dei maggiori artisti del tempo: da Boldini a Bakst, da Marinetti a Balla, da Man Ray ad Alberto Martini. 

Luisa Casati Stampa fu soprannominata "la divina marchesa", dallo stesso D'Annunzio. 
Nei primi anni del secolo scorso con il suo trucco esagerato, le trasgressive ed eccentriche performance ed una vita sempre sopra le righe, divenne una leggenda vivente, nonchè un personaggio assolutamente moderno . 



Ora una mostra a Palazzo Fortuny ripercorre la personalità multiforme di questa donna attraverso un centinaio tra dipinti, sculture, gioielli, abiti e fotografie provenienti da musei e collezioni di tutto il mondo.  

Lungo sarebbe l'elenco di tutti i pittori, scultori e fotografi che la immortalarono, molti dei quali presenti in mostra. 

L'ideatrice dell'esposizione, Daniela Ferretti, ci presenta questo straordinario personaggio, musa dei futuristi ed amante di D'Annunzio, antesignana dell' arte performativa e della body art, che dilapidò tutto in travestimenti mozzafiato e  feste spettacolari il cui eco arrivava fino in Australia e che mori', a Londra, nel 1957,  nella miseria più nera.

" La Divina Marchesa. Arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Epoque agli anni folli". Venezia, Palazzo Fortuny, 4 ottobre 2014 - 8 marzo 2015 


Luisa Casati, nata Luisa Amman (Milano, 23 gennaio 1881 – Londra, 1º giugno 1957), è stata una nobildonna e collezionista d'arte italiana.

Seconda figlia del ricco produttore di cotone Alberto Amman e di Lucia Bressi, passò a Milano un'infanzia privilegiata ma isolata. 
Durante l'infanzia cominciò ad appassionarsi alla vita di personaggi come Ludwig II di Baviera, l'imperatrice Elisabetta d'Austria, Sarah Bernhardt, Cristina di Belgiojoso e Virginia Oldoini, contessa di Castiglione. 

Con la prematura morte dei genitori, Luisa e la sorella maggiore Francesca, divennero ricchissime ereditiere.

Nel 1900 Luisa Amman sposò il marchese milanese Camillo Casati Stampa di Soncino (Muggiò, 12 agosto 1877 - Roma, 18 settembre 1946); nel 1901 nacque la loro unica figlia, Cristina.

La relazione con Gabriele D'Annunzio causò uno scandalo e Luisa Casati divenne particolarmente eccentrica, a partire dall'abbigliamento e dal vistoso trucco.
Nel 1910 acquistò a Venezia l'abbandonato palazzo Venier dei Leoni, oggi sede della fondazione e museo Peggy Guggenheim


Questo palazzo con ampi giardini fu la sua residenza fino al 1924. 
In questi giardini Luisa Casati accolse corvi albini, pavoni e ghepardi. 
Lì si tenevano anche feste ed appuntamenti mondani. 

Tra il 1919 e il 1920 visse nella Villa San Michele a Capri, inquilina del riluttante Axel Munthe.

Nel 1923 decise di acquistare una casa a Parigi, il Palais Rose da lei soprannominato Palais du Rêve, chateaux alle porte di Parigi appartenuto a Robert de Montesquiou

Nel 1930 aveva accumulato, a causa del suo stile di vita, un debito di 25 milioni di dollari; impossibilitata a soddisfare tutti i creditori fu costretta a vendere il Palais e tutti i suoi contenuti furono messi all'asta. 
Tra gli acquirenti all'asta ci fu anche Coco Chanel.

Da Parigi emigrò a Londra, dove vivevano la figlia Cristina, con la quale aveva sempre avuto un rapporto burrascoso, e la nipote. 
Qui visse in povertà fino alla morte avvenuta nel 1957. 
È sepolta a Londra nel Brompton Cemetery. 
Il suo epitaffio, scelto dalla nipote, recita: «L’età non può appassirla, né l’abitudine rendere insipida la sua varietà infinita». 
Sono le parole che usa Shakespeare per descrivere Cleopatra in Antonio e Cleopatra.
Il suo desiderio di diventare lei stessa un'opera d'arte attraverso la sua vita ed il suo aspetto estetico, la sua passione per l'arte la portarono a cercare artisti conosciuti ma anche a scoprire giovani talenti che la rappresentassero in quadri ad olio, schizzi, sculture e fotografie.
Molte delle opere sono andate perdute e molte altre appartengono a collezioni private. 


Di lei rimangono ritratti e sculture di Giovanni Boldini, Augustus John, Kees Van Dongen, Romaine Brooks, Ignacio Zuloaga, Drian, Alberto Martini, Alastair, Giacomo Balla, Catherine Barjansky, Jacob Epstein e foto di Man Ray, Cecil Beaton e del barone Adolph de Meyer.
Fu anche "musa" dei futuristi, Filippo Tommaso Marinetti, Fortunato Depero e Umberto Boccioni, e contribuì con loro ad uno spettacolo di marionette su musiche di Maurice Ravel.
 

domenica 15 febbraio 2015

Vinnie Woolston le seducteur qui porte le parfum "La Nuit de l'Homme"


La maison de luxe Yves Saint Laurent a choisi le top model néo-zélandais Vinnie Woolston comme nouveau visage de la campagne de l'un de ses parfums fétiches, 
"La Nuit de l'Homme".
A travers cette nouvelle campagne, la marque a souhaité mettre l'accent sur une nouvelle forme de seduction.

C'est l'homme d'expérience qui est désormais mis en avant.
Pour ce faire, Yves Saint Laurent Beauté a choisi Vinnie Woolston
Peu connu du grand public, ce mannequin charismatique a déjà posé pour des grandes marques, dont H&M, AllSaints, ou Diesel.
Cette campagne en noir et blanc a été réalisée par Kahlil Joseph. 
Elle met en scène un homme nouvelle génération, qui ne court plus après les femmes. 
C'est l'inverse qui se produit : une sublime brune se lance à sa poursuite dans un troublant jeu de séduction.

La campagne présente les deux versions de "La Nuit de l'Homme" et l'eau de toilette (81€ les 100 ml) et le parfum (92€ les 100 ml).


 Le Parfum :
Une nuit pleine de promesses. Un séducteur au charme ravageur, à la beauté ténébreuse qui emporte tout sur son passage. 
La nouvelle facette de la masculinité Yves Saint Laurent: Le Parfum, quintessence de la séduction. 
Un oriental boisé. Accents de poivre noir, labdanum et vétiver. Une évolution mystérieuse d’ombre et de lumière.