mercoledì 9 dicembre 2009

L'Accademia di Brera

La Pinacoteca di Brera ha sede in un grandioso palazzo barocco, che contiene altre istituzioni culturali.
Tra queste, l'Osservatorio di Brera, la Biblioteca Braidense, l'Orto Botanico, l'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e la famosa Accademia di Belle Arti.

L'edificio richiederebbe un serio intervento di restauro.
Il palazzo di Brera si apre su un cortile circondato da un elegante porticato.
Al centro di esso campeggia il monumento bronzeo di Napoleone Bonaparte, ideato da Antonio Canova.
Il museo si trova al secondo piano.
Vi si accede salendo le monumentali rampe di scale che partono in fondo al cortile.

All'ingresso si trovano il bookstore e il servizio informazioni.
Sulla destra inizia un ampio corridoio, dove si incontra la biglietteria e la sequenza di opere della collezione Jesi.
Il palazzo di Brera sorge sul luogo di un antico convento dell'ordine degli Umiliati, una delle più potenti associazioni religiose del milanese.
L'edificio ha subito numerosi rimaneggiamenti.
Passato ai Gesuiti nel 1572, nel 1591 fu ridisegnato su progetto di Martino Bassi, cui si devono la definizione del portico e del loggiato.A Francesco Maria Richini, si deve l'ampia scala a duplice rampa e la nobile struttura classicheggiante, realizzati a partire dal 1651. Alla morte di Richini (1658), i lavori furono portati a termine dal figlio Domenico, da Gerolamo Quadrio e Giorgio Rossone
Abolito l'ordine dei Gesuiti nel 1773, il palazzo passò al governo.L'imperatrice Maria Teresa d'Austria lo adibì a sede delle Scuole Palatine, vi collocò una biblioteca, e decise l'ampliamento dell'Orto Botanico.
Nel 1776 vi venne installata l'Accademia di Belle Arti.
Tra questa data e il 1784 Giuseppe Piermarini fu incaricato di apportare numerose modifiche al palazzo, tra cui l'apertura del nuovo portale su via Brera (1780) e la sopraelevazione dei cortili minori.
Il Palazzo dove ha sede l'Accademia di Belle Arti deve il suo nome, Brera, al termine di origine germanica "braida" indicante uno spiazzo erboso.

La Funzione Innovatrice
Mentre l'architetto Giuseppe Piermarini curava il completamento dell'edificio, l'accademia iniziava così ad assolvere la sua funzione, secondo i piani dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, di sottrarre l'insegnamento delle Belle Arti ad artigiani e artisti privati sottoponendolo "alla pubblica sorveglianza ed al pubblico giudizio".
Il patrimonio culturale
Per poter insegnare architettura, pittura, scultura, ornato, la scuola doveva essere provvista di raccolte di opere d'arte (gessi tratti da statue antiche) che servissero da modelli agli studenti.
Per stabilire poi un legame tra la formazione artistica ed una più vasta preparazione culturale - secondo quanto era stato auspicato già da Giuseppe Parini - venne istituita la figura del segretario nella cui carica si succedettero l'abate Carlo Bianconi (1778-1802) e Giuseppe Bossi (1802-1807).
A quest'ultimo, geniale esempio di letterato artista dell'età neoclassica, si deve un potente impulso nella vita dell'Accademia che , durante il periodo napoleonico, conosce un momento di straordinario vigore vedendo finalmente istituita una propria Biblioteca e la propria Pinacoteca (con i quadri che venivano sottratti a tutta Italia tra cui lo "Sposalizio della Vergine"di Raffaello), riattivata la scuola di incisione e rinsaldato il legame con il mondo parigino ed europeo grazie alle nomine di soci onorari che nel giro di pochi anni comprendevano David, Benvenuti, Camuccini, Canova, Thorvaldsen e l'archeologo Ennio Quirino Visconti.

Il romanticismo e l'unità d'Italia
Durante la Restaurazione, l'Accademia registra progressivamente le tendenze, spesso contraddittorie,della cultura romantica: in pittura trionfa il quadro storico grazie al magistero di Francesco Hayez e si istituisce la scuola di paesaggio (Giuseppe Bisi) sul modello dei paesaggi storici dipinti da Massimo D'Azeglio, la cattedra di estetica prende a trasformarsi in un insegnamento di storia dell'arte vera e propria. Siamo ormai alle soglie della crisi dell'Accademia che diventerà evidente subito dopo l'Unità d'Italia quando il mutato clima culturale (per l'avvento della fotografia e il rifiuto a imparare dai modelli antichi) porteranno ad abolire il famoso pensionato a Roma riservato agli allievi migliori e a separare (nel 1882) la gestione della Pinacoteca da quella dell'Accademia.

Le esposizioni annuali
Sempre alla gestione di Bossi risale l'inizio delle esposizioni annuali (1805), che furono davvero la maggior manifestazione di arte contemporanea in Italia durante l'Ottocento perchè offrivano una rassegna tanto dei lavori degli studenti, stimolati dalla prospettiva dei premi messi a concorso, quanto delle opere di artisti italiani ed europei, nonchè l'attività della Commissione di Ornato che svolgeva un controllo sui pubblici monumenti simile a quello delle odierne Sopraintendenze.

Le avanguardie
Dal 1891 le esposizioni diventeranno triennali mentre la cultura architettonica consolida i propri modelli (dal 1897 al 1914 è presidente dell'Accademia Camillo Boito che aveva avuto tra i suoi allievi Luca Beltrami) fino a rendere autonomo il proprio insegnamento. A vivere il difficile periodo delle avanguardie, per l'insegnamento di pittura, è Cesare Tallone, che fu maestro di Carrà e di Funi.
Adolfo Wildt
Nel 1923, con la riforma della scuola promossa da Giovanni Gentile, viene istituito accanto all'Accademia il Liceo Artistico: negli stessi anni la scuola di scultura è tenuta da Adolfo Wildt (cui succederanno Francesco Messina e Marino Marini) che avrà trai suoi allievi due tra i massimi rinnovatori dell'ambiente artistico milanese negli anni a venire, Lucio Fontana e Fausto Melotti, mentre per Funi sarà istituita la cattedra di affresco.

Il Secondo Dopoguerra
La difficoltà di trovare un assetto istituzionale rispondente alle sempre mutate condizioni culturali (già prima dell'ultima guerra esisteva un insegnamento di pubblicità alla serale Scuola degli Artefici) diventa sempre più evidente nel secondo dopoguerra quando l'Accademia riapre i suoi corsi grazie alla direzione di Aldo Carpi: se ne è fatto interprete negli ultimi decenni Guido Ballo, come professore di Storia dell'Arte, e accanto a lui maestri di scultura come Alik Cavaliere e Andrea Cascella e di pittura come Mauro Reggiani, Domenico Cantatore, Pompeo Borra e Domenico Purificato.

martedì 8 dicembre 2009

Milano a Natale : la vera Ville Lumière !


Da piazza Scala alla Galleria, il primo festival delle luci!

Spara baci Letizia Moratti. Sotto l’enorme vischio che so­vrasta l’Ottagono.

Ogni bacio si ac­cende una luce in Galleria, ogni ba­cio un euro per aiu­tare gli agricoltori dell’Uganda. Mila­no si accende per il Natale. Da piazza Duomo, alla Galle­ria a piazza della Scala. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa azzarda. «Milano meglio di Parigi, questa è la vera Ville Lumière».

La Moratti accetta l’iperbole e rilancia. «È un fe­stival di luci che non ha para­goni in Europa. Questo è il primo grande festival a cui partecipano architetti della lu­ce da tutto il mondo e gli allie­vi delle nostre scuole». Le luci resteranno accese fi­no al 10 gennaio. Fino a quel­la data Milano ospiterà la pri­ma edizione del Festival inter­nazionale della luce che ha portato in città creativi dell'il­luminazione da tutto il mon­do con il compito di dare alla città una veste nuova all'inse­gna della sostenibilità am­bientale, visto che ogni installa­zione utilizza la tecnologia led.


E visto che di Festival si tratta, non poteva mancare la provocazione. In via Marino, a due passi dalla Scala cam­peggia una luminaria solita­ria. Che non ti aspetti. È un crocifisso di luce. Al posto di Gesù c’è una scritta: 2000 an­ni. Nell’intenzione della gio­vane artista Valentina Mam­moli rappresenta il tempo del­la nostra civiltà cristiana. Fat­to sta che per Natale non ti aspetti di vedere un crocifis­so luminoso in mezzo alle strade del centro: «Abbiamo voluto il crocifisso anche a Natale - spiega l’assessore al­l’Arredo Urbano - per sottoli­neare e riscoprire quelli che sono i nostri valori. Solo così non si ha paura delle altre cul­ture». Il viaggio nella luce parte da piazza Fontana. Con il sin­daco che inaugura il tram lu­minoso di Atm. Un breve tra­gitto fino a via Dogana.

All’ar­rivo in Duomo si alzano in cie­lo 450 lanterne di carta.

Le ve­trate del Duomo proiet­tano decori. La Moratti accende il grande albe­ro di Natale. La gente applaude. E il sindaco appoggia l’appello del­la Veneranda Fabbrica per aiutare la Cattedra­le milanese.
Ci si sposta in Galle­ria e si ripete la cerimo­nia all’Ottagono.

Sotto un enorme vischio il sindaco bacia Ignazio La Russa e la Galleria si illumina. «Vogliamo ar­rivare a un milione di baci» sottolinea il sin­daco.

Che significa un milione di euro per l’Uganda. Si procede in piazza della Scala. Il Piermarini si anima. Si tra­sforma in un enorme scaffale pieno di libri. Le immagini si susseguono, aquile, uomini che si siedono sul cornicione. La gente resta a bocca aperta. Ma non sarà un po’ trop­po? Non sarebbe stato meglio dopo le parole del Cardinale Tettamanzi una maggiore so­brietà? «Incontro tante fami­glie in questi giorni - attacca la Moratti - e tante persone sole. Nel periodo delle festivi­tà la solitudine si sente anco­ra di più. E tutto ciò che aiuta le persone a sentirsi meno so­le, anche le luminarie, va nel senso della solidarietà».

Rias­sume tutto Cadeo: «La luce nella nostra città vuole essere un invito ai milanesi a risco­prire le proprie tradizioni e a guardare al futuro con orgo­glio e fiducia».

Quando "fare la spesa" é un'avventura..


Trovato in un blog, che condivido a 100% !

Il signor Valerio Visintin scrive :

Da molti anni ho maturato l'idea che mangiare bene a Milano sia un progetto complicato, affidato a un pacchetto di scelte percentualmente esiguo.
Ma ritenevo che mangiare e basta - cioè nutrirsi, soddisfare un impulso primario e inderogabile – fosse questione ordinaria, senza confini di prezzo o di scelta, risolta e archiviata ogni santo giorno sino ai limiti estremi e dolorosi di quelle che chiamiamo mense dei poveri.
Mi sbagliavo. E l'ho compreso soltanto in questi sei giorni di domicilio coatto per decorso influenzale.
Da un momento all'altro, io e mia moglie ci siamo ritrovati con la febbre alta, il frigorifero vuoto e tutto il cibo di Milano fuori dalla porta.

Trent'anni fa, nel medesimo quartiere nel quale abito oggi, in caso di necessità mia madre telefonava al signor Astolfi se voleva latte e formaggi, alle sorelle Grignani per il pane, ai Redondi per la carne, al Vismarket per scatolette e conserve.
Ora, le piccole botteghe con consegna e conto aperto non esistono più, costrette in ritirata di fronte alla sovrabbondanza della grande distribuzione.

Nella modernissima città della moda e dell'Expo basta qualche linea d'influenza per staccare la spina dal resto del pianeta alimentare.
Un paio di tentativi si fanno con quei pochi marchi che promettono servizio a domicilio. Succede, però, che il più importante sembra preso d'assalto, e non dà disponibilità per i tre giorni successivi. Mentre il market sotto casa mi fornisce una versione surreale:
“Certo, le portiamo la spesa a casa, se lei viene qui a sceglierla”. “...non ci siamo capiti: a me serve la consegna proprio perché non posso uscire...”, “In tal caso, mi spiace, ma non possiamo aiutarla”.
Si corre ai ripari, allora, come si può. E dopo aver dilapidato la buona volontà di amici, vicini e parenti stretti, si spendono piccoli capitali in pizze e sushi, che arrivano, questi sì, diritti a casa, contro ogni logica dietetica.

Poi, finiscono anche i contanti e gli ultimi fornitori si pagano con una raccolta di monete da 2 euro accumulata nel salvadanaio.
Finché, una mattina, ci si sveglia sfebbrati, ci si abbraccia commossi e ci si avventura fuori casa per fare la spesa, mano nella mano, come due fidanzatini.

Il Pirellone di Milano vestito di arte e di luce


La facciata del grattacielo Pirelli, sede della Regione Lombardia, si é trasformato da mercoledì 2 dicembre all'8 in un grande schermo su cui saranno proiettati alcuni dipinti dell'arte lombarda dal Rinascimento al Barocco, gli stessi che dal 3 dicembre al 28 febbraio saranno ospitati all'interno del Pirelli nell'ambito del progetto

«La Regione dà luce all'arte».

L'iniziativa mette in mostra 22 opere realizzate tra il Cinquecento e il Settecento da pittori come Giovanni Cariani, Moretto da Brescia, Romanino, Giovanni Battista Moroni, Camillo Procaccini, Frà Galgario. Si tratta di opere, come ha spiegato il presidente Roberto Formigoni, «di proprietà dei nostri ospedali».

«È un patrimonio enorme - ha precisato Formigoni - che conta oltre 20 mila oggetti, di cu più di 8mila quadri. Noi ne esponiamo 22 tra i più belli che saranno visitabili all'interno del grattacielo Pirelli».
Queste opere d'arte saranno anche proiettate sulla facciata del Pirelli «dall'imbrunire fino a mezzanotte. Tutte le sere - ha aggiunto il governatore lombardo - sarà così possibile vedere i capolavori dei nostri pittori in dimensione grandissima, quasi fossero un invito a entrare e vedere a tu per tu le opere in mostra».

Sempre nell'ambito del progetto, promosso dalla Regione insieme alla Fondazione Stelline, è previsto dal 3 dicembre al 25 aprile 2010 l'Artbox, uno spazio sempre allestito nella sede della Regione che ospiterà a rotazione, per un mese ciascuna fino alla primavera 2010, opere di Francesco Hayez, Antonello Da Messina, Tiziano Vecellio e Mario Sironi

Carmen alla Scala :applausi e fischi

14 minuti di applausi e fischi per la regista Emma Dante..

Una salve di applausi lunga quattordici minuti ha salutato il successo della Carmen di Bizet, diretta da Daniel Barenboim, che ha aperto la stagione della Scala.

Contestata però la regia, con molti fischi e «buu» soprattutto dal loggione. Gli applausi, le ovazioni e i bravo sono andati in crescendo man mano che sul palco si sono affacciati il coro, i cantanti e i due protagonisti, il soprano Anita Rachvelishvili e il tenore Jonas Kaufmann.

Il culmine è stato raggiunto quando a sorpresa Daniel Barenboim si è presentato sul palcoscenico con l’orchestra schierata alle spalle.
La gazzarra, come non si vedeva da anni, ha invece avuto inizio con l’uscita della regista Emma Dante, che è rimasta in piedi e si è inchinata al pubblico anche nei momenti di contestazione più accesa.
Chiuso il sipario Daniel Barenboim l’ha riportata sul palcoscenico, ma dopo i primi applausi sono tornate le contestazioni. La regista è stata però accolta con un boato clamoroso di applausi dai lavoratori della Scala, che si sono radunati dopo lo spettacolo nel retropalco. «Per me - ha detto la Dante - questo è l’applauso più bello».

LA REGISTA: NON HO FORZATO» -
«Forse ci sono idee che non sono state capite, perché non si ritrovano nel libretto, ma che non sono comunque forzature», ha spiegato la regista Emma Dante. «Io comunque non mi preoccupo, sono contenta del lavoro che ho fatto - ha aggiunto - soprattutto del lavoro di squadra che abbiamo fatto, quanto alle contestazioni tutto sommato sono reazioni vitali». Alla domanda se tornerà a una regia operistica, ha risposto: «Credo che passerà molto tempo». E poi scherzando di nuovo sui fischi la regista ha risposto: «Non so se dipende dall'età o dalla digestione, ho sempre suggerito che bisogna mangiare dopo lo spettacolo, non prima».
BARENBOIM: «DIVENTERA' LEGGENDA» -
«Vengo dal paese dei profeti (Israele, ndr) e vi posso assicurare che questa Carmen diventerà una leggenda. Sono molto contento e molto soddisfatto di averla fatta», ha detto Barenboim subito dopo la conclusione dell'opera. Il direttore ha espresso soddisfazione per la prova della giovane mezzosoprano Anita Rachvelishvili e ha avuto parole di elogio per la regista Emma Dante. Riguardo alle contestazioni ha detto: «E' normale che ci siano. Ci sarebbe da preoccuparsi se l'opera non piacesse a nessuno - ha aggiunto - ma se a qualcuno piace e altri la contestano è nell'ordine naturale delle cose, perché sono giudizi individuali». Lo spettacolo «sarà capito tra due anni, ci vorranno due o tre riprese», ha affermato il sovrintendente della Scala Stephane Lissner, ricordando che anche la leggendaria Traviata diretta da Luchino Visconti fu fischiata.
NAPOLITANO: «GIOVANI TALENTI»
«Questa Carmen non è tradizionale ma è la consacrazione di giovani talenti nel canto.
Un'opera bellissima sotto la guida di un grande direttore come il maestro Barenboim», è il commento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Ai giornalisti che chiedevano se la Scala debba diventare teatro nazionale ha poi risposto: «Non mi fate domande così difficili a quest'ora».
Sulla giovinezza degli interpreti il vice presidente della Scala, Bruno Ermolli, ha dichiarato: «Solo una grande realtà come la Scala può permettersi di far debuttare un mezzo soprano e una regista che finora non aveva mai fatto la lirica. Abbiamo innovato nella tradizione».
CONFALONIERI: «BRAVISSIMI»
Positivo il commento del presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, soprattutto per quanto riguarda i protagonisti Anita Rachvelishvili e Jonas Kaufmann che definisce «bravissimi».
Il numero uno di Mediaset, replicando ai cronisti, si è anche soffermato sul tema della sobrietà, più volte invocato in tempo di difficoltà dell'economia.
«La crisi c'è - ha argomentato Confalonieri - però la musica c'è sempre stata e la Scala c'è sempre stata, anche in tempo di guerra.
In tempi di crisi come questi bisognerebbe essere più sobri e mi sembra che la sobrietà ci sia stata».
BAZOLI: «REGIA TROPPO CARICA»
«Protagonisti eccezionali, regia troppo carica»: questo, in estrema sintesi, il giudizio di Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, banca tra i soci fondatori e gli sponsor più rilevanti del teatro. «L’opera - ha detto - mi è piaciuta molto. Trovo i due protagonisti di grandissimo livello. A me poi piace molto il direttore Daniel Barenboim».
Per quanto riguarda la regia di Emma Dante, ha continuato, «distinguerei: la scena mi piace molto, mentre la regia è molto forte. Si sapeva ma la trovo un po’ invadente. Carica molto. E’ sicuramente una rappresentazione molto interessante, però è troppo carica. Complessivamente si tratta comunque di un bello spettacolo».
LA BRAMBILLA: «REGIA FORTE»
La regia di Emma Dante è «una scelta coraggiosa, forte, che va apprezzata», ha invece commentato il ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla. «E’ una Carmen, quella della Dante - ha continuato il ministro - che aiuta a diffondere l’immagine dell’Italia nel mondo».
BORRELLI: «QUANTI REATI!»
«È la bella sorpresa. Sull'opera forse ci si aspettava qualcosa di più pepato, ma è ammirevole dal punto di vista tecnico», ha commentato l'ex pm Francesco Saverio Borrelli.
Conversando con i giornalisti a proposito della trama dell'opera, Borrelli ha sottolineato come «dal primo all'ultimo atto vi siano così tanti reati che potrebbero star benissimo in un tribunale eanche in Corte d'Assise».

mercoledì 2 dicembre 2009

Marketing tribal : les nouvelles adolescentes


Collégiennes, fashionistas et expertes en nouvelles technologies, les ados utilisent sans complexe tous les nouveaux modes de communication.

Ubisoft observe cette génération où l'identité numérique a toute son importance.

Un jour, elles rient et blaguent et le lendemain elles boudent ou pleurent... Qui peut comprendre les adolescentes?
Certainement pas les parents!
Car elles forment tout un monde, insaisissable, à elles seules.
Un monde, bien à elles, découvert avec l'entrée au collège, à la fois redoutée et source de nouvelles préoccupations.

Puberté oblige, entre 9 et 13 ans, les «ados» s'affranchissent du cocon familial pour se choisir une «tribu».
Objectifs : ne pas négliger ses nouveaux amis, vivre de nouvelles passions, se découvrir et surtout affirmer son look à l'interclasse!... Bref, «être enfin libres».

Alors un œil sur l'«ordi», l'oreille rivée au téléphone, elles peuvent en même temps -mais oui !- éplucher les blogs et sites de mode ou de people, chatter sur les réseaux sociaux et jouer aux jeux vidéo.
Rien ne leur échappe de leurs stars préférées et elles intègrent les codes de féminité - accessoires, maquillage, marques - à la vitesse «numérique» comme pour mieux les reproduire. Ainsi 66% (1) des collégiens utilisent une messagerie instantanée, 63% (1) des e-mails, 74% (1) ont une Nintendo DS et 71% (2) des 12-14 ans, un portable essentiellement pour les SMS et les photos... où l'on se met en scène et... en valeur.

Des chiffres éloquents, preuves que les nouvelles technologies sont le moyen privilégié d'expressions pour les collégiennes.
En écho à ces «it girls», Ubisoft (déjà l'éditeur de Lea Passion et Alexandra Ledermann) sort, dès novembre, «Girls life», une nouvelle gamme comprenant 4 jeux :
B experience, Fashion touch, Strass & Diamonds et Pyjama Partyeauty.
Un vrai programme ouvert à la créativité, au partage des expériences et au meilleur choix pour soi.

«Tout va très vite et les jeunes sont de plus en plus précoces», souligne Pauline Jacquey, producteur exécutif « jeux casual » d'Ubisoft, «d'où l'importance pour nous d'étoffer notre offre auprès des adolescentes sur le registre du glam et du rock, mais aussi auprès des petites filles de 4 à 6 ans avec Princesse Mélodie, fonctionnant entièrement par navigation vocale».
Quoi de mieux pour rendre autonomes de futures petites fashionistas avant même qu'elles ne sachent lire ?

(1) Etude Kids Teen's Mirror 2008, Junior City
(2) L'Observatoire sociétal du téléphone mobile, AFOM/TNS Sofres.

domenica 29 novembre 2009

Un'artiste

Ajee, l’univers féminin privilégié
Quand on aborde le thème de diversité culturelle, cette artiste touche-à-tout dit sans hésitation que « c’est la France », « une mixité qu’on vit au quotidien ».
La diversité est un thème qu’elle connaît bien, sur lequel elle a déjà travaillé auparavant.

« Mon sujet de prédilection est la femme » confie la jeune artiste, « c’est vrai que je dessine des femmes mais je ne sais pas pourquoi ».

Etre une femme est quelque chose qui la fait avancer au quotidien dans sa vie artistique. « Au début, je ne pensais pas avoir le droit d’être une femme dans ce milieu qui m’impressionnait. La diversité, c’est plus qu’un thème, qu’une richesse des matériaux, des couleurs ou des points de vue. »

A son échelle – le milieu de l’art urbain est essentiellement masculin – la diversité, c’est « être une femme dans un monde d’homme.

C’est valable pour tout le monde, finit-elle par conclure. On a tous besoin de faire sa place ».

sabato 28 novembre 2009

La rivincita della cerniera







Forse siamo abituate a darla per scontata, ma finalmente è arrivato il momento della sua rivincita!
Stiamo parlando della cerniera: allacciatura passepartout, nobilitata al rango di dettaglio must-have del guardaroba invernale.
La sua data di nascita risale già al 1893, quando l’inventore della macchina da cucire, William Litcomb Judson, brevetta un sistema di chiusura ultrarapido, poi migliorato fino all’arrivo degli stivali zipper boots nel 1923, ai quali si deve la più nota definizione di “zip”.

È solo agli inizi degli Anni 30 che, attraverso la complicità della geniale Elsa Schiaparelli, la cerniera si guadagna le luci della ribalta nell’universo couture.

Il che ci traghetta magicamente alla sua attualissima funzione decorativa su abiti da cocktail, silhouette elegantissime e tessuti preziosi. Quanto ai capispalla, tirano fuori letteralmente i denti (orgogliosamente argentati) e si aprono a inediti trompe l’œil, come sperimentato dal divertente scollo black & gold dell’abito di John Richmond, che apre questa gallery. Lampo… di originalità!
Metalliche e luminose, le cerniere trasmettono un messaggio chiarissimo: velocità, modernità, grinta. E quest’inverno la più rapida delle chiusure esce allo scoperto, decisa a conquistare con il suo fascino “eversivo” anche gli accessori più snob e a catturare l’attenzione delle fashionistas “minimaliste”.

Perché l’offerta è davvero multiforme: si parte dall’eleganza delle maxibag estendibili con molteplici aperture a soffietto o degli ankle boots in camoscio rigorosamente a tema, per arrivare alle proposte punk/rock di stivaletti, borse borchiate e pochette, che delle cerniere fanno un leitmotiv imprescindibile.

Come interpretare questo dettaglio must?
Con jeans, blazer e completi strutturati: capi dalla raffinatezza understated, per un perfetto equilibrio di originalità tutta metropolitana.

L'Italie s'expose à Nantes




"Fascinante Italie, de Manet à Picasso, 1853-1917" s'expose à Nantes.
Le Musée des Beaux-Arts de Nantes propose jusqu'au 1er mars une exposition inédite qui dévoile l'influence italienne sur les arts en Europe entre 1853 et 1917, de Manet à Picasso en passant par Van Gogh et Renoir dans une exposition truffée de chefs d'oeuvres.
Le Musée des Beaux-Arts de Nantes propose jusqu'au 1er mars une exposition inédite qui dévoile l'influence italienne sur les arts en Europe entre 1853 et 1917, de Manet à Picasso en passant par Van Gogh et Renoir dans une exposition truffée de chefs d'oeuvres.

Le Musée des Beaux-Arts de Nantes propose jusqu'au 1er mars une exposition inédite qui dévoile l'influence italienne sur les arts en Europe entre 1853 et 1917, de Manet à Picasso en passant par Van Gogh et Renoir dans une exposition truffée de chefs d'oeuvres.

Deux années de travail ont été nécessaires pour monter cette exposition à laquelle ont participé 35 prêteurs dont le Musée d'Orsay avec "L'Italienne" de Vincent Van Gogh.
"Van Gogh n'a jamais été en Italie, il a quand même fait son Italienne", à l'époque un modèle issu de l'immigration italienne à Paris, précise Blandine Chavanne, commissaire de l'exposition et directrice du musée.
Une centaine d'oeuvres sont présentées avec une première partie appelée "le voyage en Italie" qui débute en 1853, date du premier voyage en Italie d'Edouard Manet.
Le visiteur peut ainsi découvrir ses "Gondoles de Venise" dans une salle dédiée à Venise avec notamment "La Voile jaune" de Paul Signac et les "Venise" n° 3 et 4 de Vassili Kandinsky.
La seconde partie évoque les maîtres italiens du passé dans cette peinture de la deuxième moitié du XIXème siècle, avec un double portrait d'Edgar Degas, qui fait référence à la tradition du double portrait de la Rennaissance italienne ("Portrait de l'artiste avec Evariste de Valernes").
"L'Ivresse de Noé" de Paul Baudry est une copie réalisée d'après l'une des scènes peintes par Michel-Ange à la voûte de la chapelle Sixtine au Vatican.
Le voyage se termine par un rideau de scène conçu par Pablo Picasso. L'artiste reprend le fond d'un décor réalisé par un artiste allemand pour l'aquarium de Naples, et y ajoute des personnages tels que l'arlequin.
"Picasso après 1917 va avoir sa grande période classique et là on sait très bien que c'est le fait d'être venu en Italie", explique Mme Chavanne.
"Fascinante Italie, de Manet à Picasso, 1853-1917", au musée des Beaux-Arts de Nantes du 20 novembre au 1er mars.
Tarif: 6 euros.
Informations sur le site musee-beaux-art@mairie-nantes.fr

Dorian Gray versione 2000




E' uscito nelle sale italiane venerdì 27 novembre il film che farà rivivere sul grande schermo il mito di Dorian Gray, opera del grande Oscar Wilde (1891).

Per l’occasione il regista Oliver Parker (L’importanza di chiamarsi Ernesto, 2002), ha voluto come protagonista il nuovo sex symbol del cinema inglese, Ben Barnes.

L’attore ventottenne Ben Barnes , tolti i panni del bel Principe Caspian di "Le cronache di Narnia" (2008) veste qui quelli (quasi) immortali dell’uomo che non voleva invecchiare.
Fascino dandy e aria efebica rendono Ben il perfetto Dorian Gray degli anni 2000.
Accanto a Ben Barnes compare l’attore inglese Colin Firth, nei panni dell’amico tentatore Lord Henry Wotton. Sarà lui a spingere Dorian a desiderare l’eterna giovinezza. Per i due è il secondo lungometraggio assieme: hanno infatti già recitato nella spassosa commedia "Un matrimonio all'inglese"
Dorian Gray
Regia: Oliver Parker Anno: 2009
Genere: Drammatico
La ricerca della bellezza eterna diventa ossessione diabolica per Ben Barnes alias il Dorian Gray degli Anni 2000.

Niente riccioli biondi e occhi azzurri, nemmeno labbra color porpora dell’originale ottocentesco: ma i puristi di Oscar Wilde perdoneranno la virata fantastica del regista Oliver Parker, noto per aver portato sul grande schermo altre opere dello scrittore inglese tra cui Un marito ideale (1999) e "L’importanza di chiamarsi Ernesto" (2002).
Questa volta, però, i toni da dramma vittoriano si trasformano in un avvincente incubo gotico.

E se la forma è quella dell’horror soprannaturale, la sostanza non cambia: il ragazzo ingenuo e bellissimo appena arrivato a Londra viene sedotto dalle parole del cinico (e invidioso) conte Henry Wotton (Colin Firth in inedita versione bad) che con la formula magica «Sei giovane e bello. Hai diritto a tutto. Puoi permetterti tutto.» abbaglia il cuore e la mente di Dorian permettendosi così, in virtù del suo aspetto, di desiderare, sedurre e uccidere.
Ma il rovescio della medaglia è nascosto in soffitta, coperto da un velo nell’oscurità.

In quel ritratto (realizzato con la nuova tecnologia 3D) che non solo invecchia, ma letteralmente si consuma, fino al duello finale – con sorpresa – Dorian contro Dorian.

venerdì 27 novembre 2009

buon compleanno Tina !

70 candeline per una bomba !
Il 26 Novembre 1939, a Nuthbush, Tennessee, nasce Anne Mae Bullock, una bambina destinata a diventare una delle più grandi icone rock al femminile del panorama musicale mondiale.

A molti anni di distanza, Tina Turner, la leonessa del palcoscenico, con la sua voce a dir poco grintosa e una carica vitale inesauribile, ha raggiunto la soglia dei 70 anni!

Dalla prima hit ‘A fool in love’, i tempi in cui portava il caschetto e il tubino, ai minidress e capelli cotonati che l’hanno contraddistinta negli anni successivi, Tina Turner è diventata un’icona, un successo mondiale, una star ineguagliabile.

Non è sempre stato tutto facile per Tina, separatasi dal primo marito Ike Turner , con il quale si affacciò alla popolarità duettando nei primi 15 anni di carriera, dopo aver sopportato anni di maltrattamenti.
Da questo momento però, la sua rinascita diventa inarrestabile, e la porta a scalare le classifiche planetarie, anche grazie agli indimenticabili duetti con altri ‘mostri sacri’ del panorama musicale internazionale, da Mick Jagger a Elton John.
Insomma, una vita vissuta a tutta birra, con un’energia che, anche oggi, alla soglia del settantesimo compleanno, la innalza a ineguagliabile icona rock.
Buon Compleanno Tina!

giovedì 26 novembre 2009

le curseur original

Changer le curseur de la souris sur un article
Publié le 18 novembre 2009 par Philippe Laurent

Voici comment changer le curseur de la souris sur les articles de votre blog
C'est un petit code bien utile car il fait de l'effet et ne manquera pas d'épater vos visiteurs !
1. Trouver des curseurs animés
Vous trouverez facilement des curseurs animés sur la grande toile.
Je vous conseille d'ailleurs de faire plutôt votre recherche avec le mot "cursor", soit curseur en anglais, car il y a beaucoup plus de sites qui en offrent.
J'ai sélectionné le site Andy Animated Cursors, qui offre un large choix, dans des catégories assez différentes.
2. Enregistrer les curseurs animés
2.1 Enregistrement sur votre ordinateurUne fois votre curseur trouvé, enregistrer le en cliquant dessus, puis en sélectionnant l'endroit de sauvegarde sur votre PC.
Vérifier que l'extension de ce fichier est bien ".ani"
2.2 Enregistrement du curseur animé sur une page webPour fonctionner, ce curseur doit être enregistré sur unepage web.
Sur Overblog, si vous avez la possibilité d'enregistrer "Autres documents", dans le menu "Documents", alors c'est ici qu'il faudra sauvegarder le fichier du curseur, puis copier son adresse url.Sinon, il faut l'enregistrer sur un site de sauvegarde sur internet.
De mon côté, j'utilise Archive-Host, site gratuit et pratique.
Mes curseurs y sont enregistrés et j'ai noté leur adresse.
2.3 Insérer un curseur animé sur un article de votre blog
Dans votre administration OverBlog, aller sur l'article voulu et passer en mode avancé (Onglet Edition avancée" puis sélectionner HTML à gauche du menu.
Ajouter alors, tout à la fin de votre code, les lignes suivantes :

et mettre votre adresse de curseur.
3. Quelques curseurs animés à utiliser facilement

3.2 Curseur animé globe terrestre :

3.3 Curseur animé sourire :

mercoledì 25 novembre 2009

Zoopsie Comedi, un ovni au Théatre Musical de Besançon


Zoopsie Comedi
mise en scène Dominique Boivin et Dominique Rebaudchorégraphie compagnies Beau Geste et Lolita
costumes : Christian Lacroix

Absent des défilés de mode, le créateur, qui négocie la reprise de sa maison de couture, a remplacé les podiums par une scène, pour lequella il a recréé une jubilante revue colorée entre modern’dance, jazz et hip-hop.

Cela s’appelle Zoopsie Comedi ; cela n’a aucune traduction dans aucune langue ; cet ovni, objet plus dansant que volant, est non identifié.

Véritable patchwork glamour, il tient à la fois de la revue, du défilé, de la danse, de la comédie musicale.
Il est né voilà 23 ans à la Biennale de Lyon et c’est à partir de là que le directeur de théâtre Olivier Meyer l’avait entraîné à Paris au Bataclan où il connut des semaines de succès.
Les ans ont passé et Olivier Meyer ainsi que les deux chorégraphes Dominique Boivin et Dominique Rebaud, à l’origine du projet, retrouvant un enregistrement VHS oublié, suggérèrent à Christian Lacroix de reprendre et de remonter ce feu d’artifice vestimentaire.
« Mais sans nostalgie. Tout est nouveau, explique Olivier Meyer, aujourd’hui directeur du théâtre de Suresnes. En fait, pour ne pas oublier, il faut tout réinventer. »
En quelques semaines, Christian Lacroix a dessiné soixante-huit costumes extravagants, confectionnés par cinq couturières installées dans le théâtre.

« Dans les années soixante-dix, explique-t-il, j’ai été marqué par les spectacles de Chéreau et de Strehler, mais pour moi, le théâtre c’est ce que je faisais enfant. J’avais pris l’habitude quand je revenais d’un spectacle de redessiner les costumes, de changer d’harmonie de couleurs, de volumes ».
Robes tutus et chapeaux carrés, des couleurs, des volumes..
Il y en a de toutes sortes, avec des plumes, des robes tutus rouges, d’autres structurées dans des matières plastiques, des chapeaux carrés, ronds, chinois.
Ils vêtissent douze jeunes danseurs dont huit sont issus du hip-hop
La musique est elle aussi un patchwork de rythmes pleins de références au jazz anglais des Melody Four, aux musiques cinématographiques et électro-pop de Karl Biscuit : tout cela remasterisé.
L’histoire se déroule en quinze tableaux que l’on découvre entre deux rideaux en forme d’éventail, comme dans les music-halls des années vingt.
Il s’agit des amours impossibles entre un magicien et une star, arbitrées par un cocasse majordome.
Le charme du spectacle, mené à toute allure pendant une heure et quart, fait penser par son humour bon enfant, l’anticonformisme populaire et l’extravagance vestimentaire, à un retour de l’époque des zazous.
Zoopsie Comedi a investit hier soir Besançon et résume la joie de danser et de s’amuser : un bol d’air frais face à la crise.

Passé et présent de la communauté juive de Besançon. La contribution des familles Weil et Veil-Picard




Résumé réalisé par Clarisse CATY (Diplômée du Master 2 en Histoire contemporaine et licenciée de Philosophie, Université de Besançon)d'après Sébastien Tank-Storper,
« En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », dans l'ouvrage Quand Besançon se donne à lire.
Essais d'anthropologie urbaine, Anne Raulin (dir.), L'Harmattan, Collection Dossiers Sciences Humaines et Sociales, Paris, 1999


Besançon est une ville visiblement catholique ; témoins de l'implantation de l'Église romaine au fil de l'histoire, la cathédrale Saint-Jean, l'église Saint-Pierre, l'église de la Madeleine - parmi d'autres édifices religieux - s'élèvent sur la capitale comtoise.
Le judaïsme, explique Sébastien Tank-Storper(1), n'est rendu visible qu'en fonction de la présence des hommes, du peuple juif, « peuple du Livre, du temps, de l'exil »(2).

Rendre compte de la présence juive à Besançon, c'est explorer l'histoire et les traces que la communauté juive a donné à voir d'elle-même : des monuments au cimetière de la rue Anne Frank, en passant par la synagogue et le centre communautaire, la référence à des personnalités marquantes, c'est ainsi de façon multiple qu'il s'agit de la rencontrer.

I. Brèves d'une histoire des Juifs à Besançon
De longue date, la population juive bisontine est implantée dans les quartiers situés à l'extérieur de la boucle du Doubs; les actuels quais de Strasbourg et Veil-Picard, les rues Marulaz et Richebourg, les alentours du fort Griffon et la Grapille de Battant. Déjà au Moyen Âge (XIIIème et XIVème siècles), les sources répertoriées par le rabbin René Gutman mentionnent une « rue des Juifs »(3).
Peu nombreux, ils habitent essentiellement dans l'actuelle rue Richebourg et ont un cimetière porte de Charmont.

Durant le bas Moyen Âge, leur statut se détériore et, au-delà des polémiques doctrinales, ils sont accusés des troubles et calamités du temps (grande peste noire en Europe notamment) et sont frappés d'ostracisme.
C'est à la fin du XVIIIème siècle surtout que l'on retrouve la trace de familles juives à Besançon, subissant les mesures restrictives envers la population juive de l'époque (droit de séjour limité, cantonnement à certains métiers...).

Suite à l'émancipation de 1791 et à la série d'actes législatifs qui reconnaissent aux Juifs la citoyenneté française, la Troisième République transforme le statut des confessions minoritaires par « des critères plus méritocratiques »(4)).

Habitant le quartier d'Arènes, quartier de commerçants et de marchands ambulants essentiellement (colporteurs), la vie des familles juives paraît centrée sur la communauté, autour de la synagogue à l'angle de la rue de la Madeleine et de la rue de Vignier.

Aux alentours de 1850, la population juive de Besançon est plus dispersée dans la ville, partagée entre les quartiers populaires et fréquentés de Battant et de la Madeleine et l'intérieur de la boucle du Doubs (Grande-Rue notamment).

Cette nouvelle répartition par quartier marque les différences sociales; « les négociants, les riches artisans, les professions libérales, les rentiers et les propriétaires résidaient principalement à l'intérieur de la boucle »(5)).
Quittant ainsi Battant et la Madeleine pour les deux grandes artères du centre-ville (Grande-Rue et rue des Granges), une partie de la population juive marque sa réussite économique et, plus implicitement, sa volonté d'être reconnue et intégrée à la société bourgeoise bisontine comme à la modernité de l'époque, privilège des plus aisés.

Cette intégration est aussi le signe d'un éloignement de la vie communautaire juive et de la pratique religieuse.
Au contraire, les journaliers, colporteurs et brocanteurs aux revenus plus précaires, résident à l'extérieur de la boucle, là où les traditions juives restent les plus vivaces.
Plus tard, dans l'entre-deux-guerres, les Révolutions russes, la croissance de l'antisémitisme en Europe centrale, puis la montée du nazisme en Allemagne poussent les populations juives d'Europe centre-orientale à migrer vers l'ouest.
À Besançon, ces nouveaux arrivants s'installent aux alentours des rues Battant et Bersot, pour ensuite se diriger vers le centre-ville.
Pourtant, si la communauté juive est fondue dans la ville, elle reste présente par son implication culturelle s'exprimant à travers le centre communautaire « Maison Jérôme Cahen(6)) »

Ouvert dans les années 1970, le centre organise et concentre les actions communautaires; repas shabbatiques, répétition de théâtre, cours de Talmud-Torah...

L'espace est ouvert à toutes les associations juives telles que l'Association Culturelle Israélite, les Amitiés judéo-chrétiennes, les Éclaireurs Israélites de France, etc. ainsi, l'enseignement religieux est assuré, tout comme les cours d'hébreu moderne et même un approvisionnement en produits cashers.

(1) Sébastien Tank-Storper, « En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », dans l'ouvrage Quand Besançon se donne à lire. Essais d'anthropologie urbaine, Anne Raulin (dir.), L'Harmattan, Collection Dossiers Sciences Humaines et Sociales, Paris, 1999, p. 35 à 54.
(2) Sébastien Tank-Storper, « En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », op. cit., p. 35.
(3) Documents Choisis par René Gutman, Centenaire du consistoire israélite de Besançon, J. Berda, Besançon, 1982, cité dans l'article de Sébastien Tank-Storper, « En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », op. cit., p. 46. Si la « rue des Juifs » est mentionnée, il n'est pas possible d'en définir son emplacement exact.
(4) Pierre Birnbaum, Les Fous de la République, histoire politique des Juifs d'État de Gambetta à Vichy, Fayard, Paris, 1992, p. 7.
(5) Sébastien Tank-Storper, « En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », op. cit., p. 46.
(6) En hommage au rabbin de Besançon exerçant dans les années 1960.


La communauté juive de Besançon a laissé des traces sensibles de sa présence dans la ville comme le révèle le monument Veil-Picard de la place Granvelle dont l'inscription rend hommage au « bienfaiteur Adolphe Veil-Picard »(8)). Installée depuis 1922 1822. à Besançon, la famille Veil-Picard(9)) voit ses affaires prospérer et se diversifier. C'est en 1846 que Aaron Veil-Picard et son fils, Adolphe, fondent une société de banque avec Régis Girardot, financier: « grâce à cette institution, il facilite l'installation à Besançon d'une succursale de la Banque de France dont il devient l'un des administrateurs »(10)).

L'ouverture d'une caisse d'épargne municipale lui permet de prêter de l'argent aux maisons de commerce locales lors de la crise de 1848(11)), les sauvant ainsi de la faillite. Parallèlement à ses actions de banquiers, Aaron Veil-Picard subventionne des travaux dans la ville : agrandissement de l'hôpital Saint-Jacques, construction de l'actuel quai de Strasbourg, etc. Par la suite, son fils, Adolphe (1824-1877) prend la direction de la banque paternelle qui devient la « Banque Adolphe Veil-Picard et Cie ».

Cette entreprise prospère participe au développement de l'horlogerie à Besançon et de l'industrie locale en général. Outre ses fonctions publiques et honorifiques, Adolphe Veil-Picard s'illustre par ses dons et actions charitables.

C'est ainsi que la ville se voit attribuer une somme importante pour la construction du Quai d'Arènes (actuel quai Veil-Picard) et un don pour l'aménagement de la place Bacchus.
Il aide également à l'installation de canalisations d'eau en banlieue et permet, par un financement, le début des recherches archéologiques du Square Castan. De la même manière, il finance -entre autres- la construction de l'asile Saint-Paul, la restauration des écoles de Saint-Ferjeux et aide à la création de bibliothèques. Dans le passé, au lendemain de la seconde Guerre mondiale, le bâtiment de la Vieille Intendance qui sert en partie de local à la banque de la famille Veil-Picard, est vendu à la famille Weil, membre de la communauté juive de Besançon.
Ce bâtiment qui « vit naître les plus florissantes entreprises de la ville »(12) (banque, ateliers LIP, ateliers de confection) loge alors les vêtements Weil, l'une des plus importantes entreprises de confection pour homme françaises.
La maison Weil, installée à Besançon depuis 1872 et fondée par Joseph Weil, se lance dans la confection industrielle en 1878. Elle ne cessera de s'agrandir jusqu'à devenir la plus grosse entreprise de confection pour homme de France en 1965 et devra quitter le centre-ville pour le quartier de Chaillot à Fontaine -Ecu.

Une inscription dans la géographie de la villeLa synagogue de Besançon, bâtiment consacré au culte israélite, est inaugurée le 18 novembre 1869 en présence d'une foule nombreuse et de personnalités officielles.
Elle vient alors remplacer la synagogue de Charmont, trop étroite pour une communauté de 600 personnes environ en ce milieu de XIXème siècle.
La communauté accepte alors de couvrir les frais nécessaires à la construction d'un nouveau lieu de culte en échange d'un terrain. La municipalité propose tout d'abord une place square Saint-Amour mais se heurte au refus des habitants.

Le second choix sera le quai de Napoléon (actuel quai de Strasbourg), au sein du quartier Battant.
D'une architecture arabo-mauresque(13) propre à l'engouement orientaliste du XIXème siècle, la synagogue est dotée d'une grille offerte par Adolphe Veil-Picard en 1869 et, si le nombre de pratiquants et habitués est en baisse, elle reste un lieu très fréquenté lors des offices de Pessah (la Pâque) et de Kippour (jour d'expiation et de pardon consacré à la prière et à la pénitence(14).
Le cimetière de la communauté juive de Besançon se trouve en contrebas de Palente, rue Anne Franck. Sa partie la plus ancienne est acquise par la communauté en 1796 par deux notables, Nathan Lippmann et Pierre Picard, chargés d'obtenir une propriété aux alentours de la ville où la population juive serait libre d'enterrer ses morts. Une parcelle supplémentaire y est ajoutée en 1839 tandis que le Consistoire Israélite de Besançon se charge d'acquérir une terre adjacente pour y construire une maison de gardien.
Le cimetière recueille les sépultures des membres de la communauté dont les plus anciennes et les plus modestes datent de 1849.
Celles-ci côtoient les caveaux imposants des riches familles Veil-Picard, Picard, Hauser-Picard et le mausolée de la famille Haas(15).

Les tombes les plus récentes éclairent sur les migrations nouvelles ; les noms séfarades (originaires d'Afrique du Nord) se mêlent alors aux noms d'origine ashkénaze (d'Europe occidentale et centrale).
Enfin, un monument aux morts est érigé à la mémoire des membres de la population juive bisontine tués au combat pendant la Première Guerre mondiale.
L'implantation juive à Besançon, passée et présente, marque des territoires différents ; à la boucle du Doubs, territoire de l'économie, de la finance (où les Juifs s'intégreront à la société dominante et participeront à la vie de la cité en étant des acteurs primordiaux de son développement économique et urbain(16) s'oppose l'espace du religieux, de la vie communautaire autour de la synagogue, des anciens cimetière et « quartier juif » médiévaux. L'époque contemporaine est marquée par une affirmation culturelle comme un par un regain cultuel.

La population juive s'exprime ainsi, au fil du temps, en cette succession de pratiques différentes qui s'articulent et cohabitent à Besançon.
(7) Sébastien Tank-Storper, « En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », op. cit.
(8) (9L'inscription exacte est: « Au bienfaiteur Adolphe Veil-Picard, ses concitoyens ».
(9) Aaron Veil-Picard et son épouse Pauline Hauser-Picard possèdent alors un commerce d'étoffe Grande-Rue.
(10) Sébastien Tank-Storper, « En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », op. cit., p. 38.
(11) La révolution de 1848 est précédée par une crise du monde agricole et une déstabilisation des milieux financiers et industriels.
(12) Sébastien Tank-Storper, « En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », op. cit., p. 40.
(13) La conception du bâtiment est déléguée à l'architecte Marnotte.
(14) Sébastien Tank-Storper, « En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », op. cit., p. 45.
(15) Emmanuel Hass a été vice-président du Consistoire Israélite de Besançon.
(16) Sébastien Tank-Storper, « En quête d'une « urbanité » juive: une promenade dans la ville », op. cit., p. 51.
HISTOIRE

Au 14ème siècle, Besançon et ses environs sont une place privilégiée sur les routes de commerce entre l’Italie et l’Allemagne.
Aussi le gouvernement communal accorde aux juifs des autorisations de séjour moyennant un droit “d’entrage” et un “cens annuel”.
Si bien qu’en 1393, on trouve installées 12 familles juives qui entretiennent Joseph de Trèves pour “maistre de leur escole”.
L’année suivante, le roi Charles VI expulse les juifs de ses états. Le Duc Philippe le Hardi en fait de même pour son Duché de Bourgogne.

Mais Besançon est ville impériale : elle n’est pas touchée par ces mesures et sert de ville de refuge aux juifs expulsés des états voisins.
Le premier cimetière juif est situé à Calmoutier au nord de la cité : les membres de la communauté sont bouchers, banquiers, orfèvres. A plusieurs reprises, les plus riches d’entre eux avancent de l’argent à la Cité.
En 1465, la municipalité vend le terrain communal qui sert de cimetière aux juifs : c’est la fin de la communauté médiévale.
En 1693, les registres de délibérations municipales indiquent qu’il est interdit aux marchands juifs de fréquenter la ville sans s’être déclarés.
Ils ne peuvent y séjourner plus de trois jours consécutifs, ni faire aucune vente sans l’assistance de l’un des syndics municipaux.
En 1736, pour 8 jours de Mai, deux Juifs de Metz reçoivent l’autorisation de “trafiquer” (commercer).
En 1754, une tolérance de quelques mois de séjour est faite aux juifs Vidal, marchands de soieries (ils ont offert de verser à la caisse municipale le 2 du cent).
En 1768, la permission est donnée au juif Salomon SAX, graveur en pierre fines, d’exercer son art à Besançon “à charge pour lui de se renfermer dans sa profession et de ne faire aucun commerce”.
Au début de la Révolution Française, il est toujours interdit aux juifs de séjourner plus de trois jours à Besançon.
En Décembre 1790, Antoine Melchior NODIER (père de l’écrivain), Maire de Besançon, expulse par exploit d’huissier les Juifs WOLF et CAÏN pour avoir commercé plus longtemps, et il est approuvé par la municipalité.
Mais le 27 Septembre 1791, les juifs obtiennent la citoyenneté française par décret, sous condition de prestation du serment civique.
Des pogromes éclatent alors en Alsace : des juifs sont pendus aux crocs des boucheries. Les survivants fuient vers le sud et quelques familles s’installent à Besançon.
En 1792, ces familles adressent à la municipalité une pétition en vue d’obtenir une synagogue. Elles obtiennent peu après l’autorisation de se réunir dans l’ancien couvent des Cordeliers (à la place du Collège St-François Xavier, devenu le Lycée Pasteur).
Très vite, ces familles sont attaquées par le journal jacobin “La Vedette” qui leur reproche leur fidélité au judaïsme ; ces familles chôment le jour de Chabbat et travaillent les Décadis. En 1793, comme les catholiques, ils sont contraints de fermer leur lieu de prières.
CREATION DU CONSISTOIRE DE BESANÇON
En 1808, la structure des communautés juives est profondément modifiée suite à la création d’une organisation centralisée à laquelle adhèrent les différentes communautés.
Par décret du 24 Août 1857, la communauté de Besançon est rattachée au consistoire de Lyon, après avoir un temps été affiliée à la circonscription consistoriale de Nancy.
La nombre de familles juives s’installant à Besançon augmentant, il est crée un “siège rabbinique” par décret impérial du 1er Août 1864.
Le 13 Janvier 1881 est créé un Consistoire pour le Doubs et le Jura, regroupant les communautés de Montbéliard, l’Isle-sur-le Doubs, Baume-les-Dames, Dole et Lons-le-Saunier.
Le premier Grand Rabbin est Jacques Auscher, précédemment rabbin communal à Saint-Etienne. A son arrivée, il trouve une petite synagogue qu’une centaine de juifs parmi les plus fortunés avaient fait aménager en 1831 par l’architecte municipal Marnotte.
Elle était située au 19 rue de la Madeleine, avec une façade caractérisée par des fenêtres ogivales encore bien conservées.
Vu l’état de vétusté de cette synagogue, et tenant compte de l’accroissement du nombre de juifs à Besançon (120 familles représentant 650 personnes), le Rabbin Auscher et le Consistoire de Besançon donnent la priorité à la construction d’une nouvelle synagogue.
Le 17 Octobre 1865, le Consistoire décide l’acquisition d’un terrain à l’angle des rue Morand et Proudhon, dans le nouveau quartier du Clos St-Amour. Un plan de synagogue est dressé par M. Hirsch, architecte lyonnais.
Les propriétaires des terrains voisins manifestent leur opposition à ce projet, arguant que les terrains doivent être uniquement affectés à de l’habitation...
Le Conseil municipal demande alors à la Communauté de rechercher un autre emplacement pour sa synagogue.
A la même époque, la ville entreprend la construction du Quai Napoléon.
A la suite d’une transaction avec la ville et le propriétaire d’une fabrique de bougies qui devait déménager par suite de l’exhaussement du sol, le Consistoire s’engage à construire à ses frais “un temple suffisant pour le présent et l’avenir”.
Un décret impérial du 22 Mai 1867 autorise l’acquisition du terrain, et la Communauté confie à l’architecte bisontin Marnotte le soin de dresser “un monument de style mauresque”.
Après un premier projet jugé trop onéreux par la ville, un second projet d’un montant de 94.349,55 francs est accepté “non compris les dépenses supplémentaires occasionnées par les décorations de la façade destinées, à la demande de la municipalité, à embellir le nouveau Quai Napoléon...”.
La dépense totale s’éleva à 145.105,90 francs dont une participation de l’Etat de 10.000 francs.
Une souscription est ouverte par la communauté juive et rapporte 70.000 francs (dont 20.000 francs de la famille Veil-Picard). Un emprunt de 70.000 francs complète le financement. Un legs d’Alexandre Lipman permettra le paiement d’une partie des intérêts de l’emprunt qui représente une lourde charge pour la Communauté.
Le 18 Novembre 1869, la synagogue est inaugurée “au milieu d’un grand concours de peuple”.
A cette occasion, le banquier Veil-Picard met à la disposition de la Société de Bienfaisance de la Communauté, une somme de 1.000 francs “pour des distributions de viande aux familles indigentes catholiques et protestantes de la ville, le jour de la cérémonie”.
Ce généreux mécène fait également un don pour réaliser la grille qui entoure la synagogue.
Lors de l’inauguration, le Grand Rabbin de Besançon Jacques Auscher prononçe un discours qui fut imprimé sous le titre “L’avenir d’Israël”.
Le Quai Napoléon est devenu le Quai de Strasbourg. Après plus d’un siècle, l’imposante et originale construction qui a traversé sans encombre l’époque troublée de l’Occupation, dresse toujours sa façade “mauresque” le long du Doubs.
LA SYNAGOGUE DE BESANÇON
Celui qui découvre pour la première fois la façade de la synagogue est souvent perplexe quant à la destination de ce bâtiment.
Si ce n’était les Tables de la Loi sculptées qui ornent son fronton, aucun autre élément architectural ne fait référence au judaïsme.
La communauté juive avait demandé à l’architecte bisontin Marnotte de dresser les plans d’une synagogue “de style mauresque”.
Le premier projet de synagogue qui devait se construire au Clos St-Amour était d’une facture néo-classique, à l’image de nombreuses synagogues construites à l’époque en France.
Nous ne connaissons pas les raisons qui ont conduit la communauté de Besançon à ce choix stylistique étonnant, unique en Europe.
Les coupoles, les frises sculptées de motifs géométriques, sont des éléments architecturaux inspirés de ceux que l’on trouve sur certaines mosquées.
On entre dans la vestibule par un portail à deux vantaux ornés de vitraux dans leur partie supérieure.
De chaque côté du vestibule, un escalier mène aux galeries réservées aux femmes.
La galerie des femmes, qui fait partie intégrante de beaucoup de synagogues de l’époque moderne, n’existait pas toujours dans les synagogues antiques et médiévales.
On ne connaît pas les origines exactes de la séparation des hommes et des femmes pour la prière.
Dans le Temple, l’Ezrat Nachim - le secteur des femmes - ne leur était pas exclusivement réservé. C’était le secteur au-delà duquel les femmes ne pouvaient aller.
Dans les synagogues antiques, le secteur des femmes était sur le même plan et derrière celui des hommes.
Dans le judaïsme, la femme n’est pas astreinte aux horaires des offices de la synagogue, en raison de ses responsabilités familiales. Dans les temps anciens, les femmes ne se rendaient pas souvent dans les synagogues. Au fil des siècles, elles ont été de plus en plus nombreuses à venir prier, souvent accompagnées de leurs enfants.
On en vint progressivement à ajouter une salle pour les femmes, contiguë à celle des hommes, ou à construire des galeries pour les femmes.
C’est cette disposition que l’on retrouve dans la plupart des synagogues construites au 19ème siècle en France.
La balustrade de la galerie des femmes en bois peint est sculptée et ajourée suivant un motif étoilé que l’on retrouve dans d’autres parties de la synagogue.
Le type et la position du mobilier dans une synagogue ont autant évolué au cours des âges que son plan et son aspect extérieur.
L’arche (Aron Hakodech) et l’estrade (Bima) de la synagogue de Besançon sont accolées ; dans d’autres synagogues, la Bima est centrale, ou placée contre le mur opposé à l’arche.
L’ARCHE OU ARON HAKODECH
Lorsque, vers le 4ème siècle, l’arche devint un élément central et fixe de la synagogue, elle fut placée sur le mur Est, tournée vers Jérusalem.
Les prières étaient ainsi récitées en faisant face aux rouleaux de la Tora.
L’arche appelée Aron Hakodech est la partie la plus importante de la synagogue, l’objet de vénération de la communauté.
C’est là que la Communauté place les rouleaux de la Tora, qui sont sortis pour la lecture publique de la Loi.
La décoration de l’arche est éblouissante.
Le style est composite, avec des réminiscences de temples orientaux, des décors aux couleurs vives.
LE NER-TAMID
Une lumière suspendue devant l’arche brille sans interruption : c’est le Ner-Tamid (la lumière éternelle) qui symbolise la lumière éternelle du Temple de Jérusalem.
LA TEVA
Le terme Téva désigne le “coffre” dans lequel sont placés les rouleaux de la Loi.
La Téva de Besançon est une armoire en bois aux portes coulissantes sculptées et peintes pour rendre un effet de ferronnerie polychrome.
La Téva est placée dans une niche construite dans le mur.
Elle est isolée de la synagogue par un rideau appelé Paro’het.
(Dans le Temple de Jérusalem, le Paro’het séparait le Kodech Hakodachim - Saint des Saints - des autres salles).
La Téva renferme de nombreux rouleaux de la Tora, “trésor” de la Communauté.
Ceux-ci ont été sauvés de la destruction pendant l’occupation allemande grâce aux efforts conjugués de l’archevêque de Besançon, Mgr Dubourg, de son ami d’enfance le Dr Maxime Druhen et du Chanoine Rémillet, curé de l’église Sainte-Madeleine.
Ils cachèrent les précieux rouleaux de la Tora dans l’ouvroir de l’église jusqu’à la Libération.
Ils ont ainsi protégé de l’abandon et de la profanation les rouleaux de la Tora, fondements du judaïsme.
Leur action courageuse et généreuse fut un geste de fraternité à l’égard de notre communauté.
A l’occasion du 125ème anniversaire de notre synagogue, nous tenons à saluer leur mémoire.
LA BIMA
L’estrade devant l’arche est appelé Bima.
Sur la Bima est située une table inclinée devant laquelle se tient l’officiant.
C’est aussi sur cette table que l’on pose le rouleau de la Loi pour sa lecture.
(Cette table doit son origine à la plate-forme qui, pendant la période du Temple, servait à la lecture publique de la Loi).
L’accès à la Bima se fait par deux escaliers situés aux extrémités d’une balustrade en bois sculpté. Le rabbin s’adresse aux fidèles d’une chaire située au milieu de cette balustrade.
SIEGES, COUPOLES ET VITRAUX
Le plan de la synagogue de Besançon est caractéristique des synagogues françaises du 19ème siècle.
LES SIEGES
Les sièges en bois des fidèles sont disposés de part et d’autre d’une allée centrale face à l’arche.
Selon une ancienne tradition, certains sièges - ceux situés près de l’arche - sont considérés comme plus prestigieux que les autres, car situés plus près des rouleaux de la Loi.
A Besançon, deux places d’honneur encadrent l’arche : le siège à gauche de l’arche est réservé au Rabbin, celui à droite au président de la Communauté.
Deux “box”” situés de part et d’autre de la Téva sont réservés aux membres du Comité de la synagogue .
LES COUPOLES
L’éclairage naturel de l’édifice est assuré par cinq coupoles vitrées disposées suivant l’axe central.
La pierre utilisée pour les piliers, d’une couleur beige et bleue, est ainsi bien mise en valeur. Elle est caractéristique de nombreux édifices construits à la même époque à Besançon.
LES VITRAUX
Une maxime talmudique dit que l’on ne doit prier que dans un lieu comportant des fenêtres, de façon à voir le ciel ; d’après le Zohar, une synagogue doit comporter douze fenêtres.
24 vitraux de différentes formes aux motifs étoilés colorent les murs de la synagogue sur les deux niveaux, ainsi que le vestibule et les escaliers d’accès aux galeries.
Les coupoles et les vitraux éclairent la synagogue de Besançon d’une douce lumière, propice à la prière.
Informations Pratiques
Centre Communautaire "Maison Jérome Cahen" 10 rue Grosjean 25000 Besançon Tel et Fax : 81.80.82.82
Synagogue 23c quai de Strasbourg 25000 Besançon
Voir en ligne :
Judaicultures.info

martedì 24 novembre 2009

adoro i bijoux design di Maria Cristina !







Maria Cristina Bellucci è un’artista italiana che progetta e realizza stupendi gioielli tra cui una collezione di anelli creati a partire dalle matite in legno colorate!



Maria Cristina Bellucci, designer, è una artista italiana nata nel 1964 che vive e lavora a Roma dal 1988. Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Roma ha frequento il corso di oreficeria alla scuola di Arti Ornamentali di Roma.
Dopo aver lavorato per diversi anni alla decorazione di abiti ed accessori teatrali e cinematografici, attualmente si dedica alla gioielleria contemporanea realizzando linee su commissione e collaborando con numerosi artisti e designer nella realizzazione di gioielli davvero originali.
Ha inoltre partecipato a diverse fiere di settore in Italia ed esposto le proprie creazioni in diverse mostre in Italia e all’estero.
Per le sue creazioni privilegia l’utilizzo di argento, ma spesso usa anche l’oro e i materiali non preziosi.
Dalla iniziale realizzazione di pezzi in metallo molto leggeri con lastre e fili sottili caratterizzati dalla prevalenza dei vuoti sui pieni, è successivamente passata a creare sottili lastre di metallo come fossero carta ottenendo pezzi voluminosi e leggeri allo stesso tempo.

Le ultime creazioni sono invece dei gioielli sorprendenti per la materia, le classiche matite da disegno colorate della nostra infanzia, la forma design, e i colori sorprendenti.
Realizzati a partire da matite colorate: frammenti di matite in legno e mine colorate vengono così lavorate e modellate fino ad ottenere anelli dalle fogge più diverse.
L’artista utilizza un oggetto estremamente comune, e lo decontestualizza e lo ripropone trasformato in gioielleria.
Il risultato sono anelli coloratissimi dalle linee originali ed eleganti al tempo stesso!