domenica 13 dicembre 2009

Giacomo Leopardi

(In ricordo del primo indirizzo della mia vita :
via Leopardi 11 a Seregno (Milano) !
Aggiungo che da sempre la vita di Leopardi mi ha commossa..
La sua debole salute, il suo fisico ingrato,la sua tristezza
e malinconia espresse nelle sue poesie hanno toccato la mia sensibilità.)

Giacomo Leopardi nacque a Recanati, una piccola città di provincia dell'entroterra marchigiano, il 29 giugno 1798. Sua madre, Adelaide dei marchesi Antici, era nota per la sua esagerata parsimonia, al punto (si dice) da rallegrarsi della morte di un figlio neonato, in prospettiva del risparmio che ne sarebbe derivato. Forse per compensare questa maniacale avarizia, suo padre, il conte Monaldo, nobile reazionario e intellettuale conservatore, si dedicò a dissipare la fortuna di famiglia. In compenso accumulò una vastissima biblioteca.

Cresciuto con una rigida educazione religiosa, Giacomo Leopardi trovò presto la strada dell'accogliente biblioteca paterna che occupò il posto dei giochi dell'infanzia.


A 15 anni Giacomo Leopardi conosceva già diverse lingue e aveva letto quasi tutto: lingue classiche, ebraico, lingue moderne, storia, filosofia e filologia (nonché scienze naturali e astronomia).
Gli insegnanti che avrebbero dovuto prepararlo al sacerdozio dovettero presto ammettere di non avere molto da insegnargli.


Nei sette anni che seguirono, Leopardi si buttò in uno studio «matto e disperatissimo», in cui tradusse i classici, praticò sette lingue, scrisse un dotto testo di astronomia e scrisse un falso poema in greco antico, sufficientemente convincente da ingannare un esperto.
Il culto della gloria modellato sugli eroi antichi generava nel giovane Leopardi un forte desiderio di primeggiare, che lo spingeva a cimentarsi in opere di vario genere.
Risalgono a questo periodo le tragedie La virtù indiana e Pompeo in Egitto; La storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno 1811 (1813); il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815), e infine l’Orazione degli italiani in occasione della liberazione del Piceno (1815), in cui, allontanandosi dall’ideologia reazionaria del padre, traduce in chiave antitirannica l’adesione al cattolicesimo e al legittimismo politico.
Divenne saggista e traduttore, specialmente di classici. Del 1816 fu il suo passaggio «dall'erudizione al bello», ossia dallo studio alla produzione poetica. Tra le prove poetiche più originali, ricordiamo l’idillio Le rimembranze e la cantica Appressamento della morte.
Nello stesso anno è da datare la sua missiva alla «Biblioteca italiana», con la quale il Leopardi difendeva le posizioni dei classicisti in risposta a Madame de Stäel.


L'anno dopo avviò una fitta corrispondenza con Pietro Giordani — che gli aprì più vasti orizzonti culturali — e iniziò la stesura dello Zibaldone; sempre in questo periodo s’innamorò della cugina del padre, Geltrude Cassi, alla quale dedicò la poesia Diario del primo amore e L’elegia prima.
Non gli fu concesso di uscire di casa da solo finché non compì vent'anni. Le sue ambizioni accademiche furono compromesse dall'insistenza del padre perché diventasse sacerdote. Esasperato dall'ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle Marche, governate dal retrivo Stato Pontificio, cercò di fuggire da casa, ma suo padre riuscì a prevenirlo e a sventare i suoi piani.


Cominciò a soffrire di una salute cagionevole, che egli attribuì ai suoi studi sregolati. Aveva una vista debole, soffriva d'asma ed era effetto da una forma di scoliosi. Si autodefiniva un «sepolcro ambulante» ed era consapevole dell'effetto che il suo aspetto provocava sulle persone che incontrava.


Ciò nonostante, non cessò di invaghirsi di fanciulle che non ricambiavano il suo affetto o lo ignoravano totalmente.
Del '18 sono le canzoni «civili» All'Italia e Sopra il monumento di Dante, nonché lo scritto Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, testi nei quali è già presente il cosiddetto pessimismo storico, ossia quell’atteggiamento agonistico verso la società contemporanea, considerata come corruttrice dei valori autentici della natura.
Persa la fede, Leopardi rivolse le sue attenzioni alla filosofia sensistica e materialistica (Pascal, Voltaire, Rousseau). Si compì così la sua conversione filosofica. A questo periodo (1819-1823) appartengono anche la composizione degli idilli L'infinito, Alla luna e altre Canzoni (pubblicate poi a Bologna nel 1824) e la sua conversione «dal bello al vero», con il conseguente intensificarsi delle sue elaborazioni filosofiche, tra cui la teoria del piacere.
Quando finalmente, nel 1822, i suoi genitori gli concessero di far visita a un cugino a Roma, la capitale lo deluse e perfino lo disgustò. La vita e l’ambiente letterario romano gli apparvero meschini e mediocri, privi di qualsiasi problematicità. Tuttavia i suoi scritti trovarono numerosi estimatori nei migliori circoli letterari di Roma, molti dei quali egli trovava insopportabili, né si curava di dissimulare il suo fastidio.
Nel 1823 fece ritorno nelle Marche, dove nel 1824 iniziò a comporre le Operette morali. Proprio le Operette segnarono, con il rifiuto dell’impegno agonistico e della partecipazione politica, la piena formulazione del «pessimismo cosmico»: la Natura veniva accusata di essere la fonte delle sventure umane, in quanto instilla nelle persone un continuo desiderio di felicità destinato ad essere sistematicamente frustrato.
Oltre alle Operette morali, come pure, più tardi, ai Canti, il trattato di filosofia politica Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (1824) racchiude la sintesi del pensiero del poeta di Recanati. Il punto di partenza della riflessione leopardiana è l'influsso che la diffusione dell’Illuminismo ha avuto sulla morale comune: «la distruzione o indebolimento de’ principi morali fondati sulla persuasione».
Nel 1825 Leopardi riuscì a lasciare Recanati grazie all'avvio di una collaborazione con l'editore milanese Stella che gli garantì una certa indipendenza economica: fu a Milano, a Bologna (dove conobbe il conte Carlo Pepoli e pubblicò un'edizione di Versi), a Firenze (dove incontrò Manzoni e scrisse altre due operette morali) e a Pisa (dove compose Il risogimento e A Silvia).
Mangiava disordinatamente, prediligendo i dolci, si lavava poco e si cambiava raramente d'abito. Ridicolizzava chi gli stava antipatico, non importa quanto lo ammirassero, e diceva peste e corna sia della visione secolare e liberale del mondo che della consolazione della religione. Costretto a tornare a Recanati nel 1828, proseguì la produzione lirica che aveva iniziato a Pisa con l'approfondimento delle tematiche della «natura matrigna» e della caduta delle illusioni.
Nel 1827 uscirono presso l’editore Stella la prima edizione delle Operette morali e la Crestomazia italiana, un’antologia della prosa d’arte italiana, seguita l’anno successivo dalla Crestomazia poetica italiana.
Nel '30 uno stipendio mensile messogli a disposizione da alcuni amici gli permise di lasciare nuovamente Recanati e di stabilirsi a Firenze, dove iniziò una vita di più intesi rapporti sociali. Qui s'innamorò di Fanny Targioni Tozzetti (la delusione scaturita dall'amore per lei gli ispirerà il ciclo di Aspasia) e strinse amicizia con Antonio Ranieri. Nel 1831 uscì la prima edizione dei Canti e iniziò probabilmente a lavorare ai Pensieri e ai Paralipomeni della Bratacomiomachia (conclusi nel 1835). Sempre più lucida e impetuosa divenne in questi anni la sua critica delle ideologie spiritualistiche e della civiltà borghese contemporanea. Su questo sfondo nacquero nel 1832 le ultime operette il Dialogo di Tristano e di un amico e Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.
Aggravatasi la sua malattia agli occhi, nel 1833 si trasferì a Napoli con Ranieri.


Nel 1835 vennero pubblicati la Palinodia al marchese Gino Capponi e la seconda edizione dei Canti, che l’anno successivo venne sequestrata dalla polizia.
Del '36 è La ginestra, del '37 Il tramonto della luna e probabilmente I nuovi credenti, in cui satireggia lo spiritualismo ottimistico degli intellettuali napoletani.


Durante questo soggiorno napoletano Leopardi approdò a un nuovo senso della comune sorte degli uomini, ossia a quel senso della solidarietà umana fondata sulla conoscenza del «vero».
Quando la sua salute peggiorò, gli amici e la sorella Paolina lo assistettero con grande affetto. Un attacco d'asma ebbe la meglio su di lui, esaudendo l'unico desiderio che pensava un uomo potesse sinceramente custodire.
Morì a Napoli, dove infuriava il colera, il 14 giugno del 1837. Venne sepolto nella chiesetta di San Vitale e nel 1839 le sue spoglie vennero trasferite presso la cosiddetta «tomba di Virgilio» a Mergellina.

Il Verrocchio


Andrea di Francesco di Cione detto Il Verrocchio
(Firenze, 1437 – Venezia, 1488)
è stato uno scultore, pittore e orafo italiano.
Fu attivo soprattutto alla corte di Lorenzo de' Medici. Alla sua bottega si formarono come allievi Leonardo da Vinci, Perugino, Domenico Ghirlandaio, Francesco Botticini, Francesco di Simone Ferrucci.
Rivestì un ruolo importante nella tendenza a misurarsi con diverse tecniche artistiche, manifestatasi nella Firenze di fine Quattrocento, e infatti la sua bottega divenne polivalente, con opere di pittura, scultura, oreficeria e decorazione, così da poter far fronte all'insistente domanda proveniente da tutta l'Italia di prodotti fiorentini.

Tecnicamente molto esperto e curato (grazie anche alla sua lunga attività di orefice), fu consapevole dell'importanza fondamentale e dell'inarrivabilità dell'opera di Piero della Francesca, da cui assimilò l'uso della linea, che in lui diventò marcata e incisiva, indagatrice del dinamismo psicologico dei soggetti (soggetti spesso tipizzati in base alla loro categoria di appartenenza).

Nacque a Firenze tra 1434 ed il 1437 nella parrocchia di Sant'Ambrogio (la sua casa natale si trova oggi tra via dell'Agnolo e via de' Macci). Sua madre Gemma mise al mondo otto figli ed Andrea fu il quinto.

Il padre, Michele di Cione, era fabbricante di piastrelle e successivamente esattore delle tasse. Andrea non si sposò mai e dovette provvedere al sostentamento di alcuni tra i suoi fratelli e sorelle, a causa dei problemi economici della sua famiglia. La sua notorietà crebbe notevolmente quando venne accolto alla corte di Piero e Lorenzo de' Medici, dove rimase fino a pochi anni prima della sua morte, quando si spostò a Venezia, pur mantenendo la sua bottega fiorentina.

Il primo documento che lo cita risale al 1452 ed è relativo ad una rissa dove un giovane perse la vita a causa di una sassata di Andrea.
Suo fratello Simone fu un monaco di Vallombrosa e divenne abate di San Salvi. Un fratello fu operaio tessile e una sorella sposò un barbiere.
Iniziò a lavorare come orafo, nella bottega di Giuliano Verrocchi, dal quale sembra che Andrea abbia in seguito preso il cognome. I suoi primi approcci alla pittura risalirebbero alla metà degli anni 1460 quando lavorò a Prato con Fra Filippo Lippi nel coro del Duomo.

Resta famosa una denucia anonima di sodomia che coinvolse gli allievi della sua bottega, fra gli altri anche il giovane Leonardo da Vinci.

Nel 1465 circa scolpì il lavabo della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, mentre tra il 1465 e il 1467 eseguì il monumento funebre di Cosimo de' Medici nella cripta sotto l'altare della stessa chiesa e nel 1472 terminò il monumento funebre per Piero e Giovanni de' Medici, ancora nella Sagrestia Vecchia. tutte le opere di questo periodo sono a tempera su tavola. Lo stile del Verrocchio in pittura è intensamente realistico, con modi ripresi dalla pittura fiamminga, costruito da una linea espressiva e ricca di pathos.
Tra il 1474 e il 1475 realizzò il Battesimo di Cristo, ora agli Uffizi, con il giovane allievo Leonardo da Vinci, che dipinse quasi sicuramente l'angelo di sinistra e i fondali paesistici. In quest'opera la composizione è triangolare con al vertice la ciotola nella mano di san Giovanni Battista e come base la linea che collega il piede sinistro del Battista a quello dell'angelo inginocchiato; in essa è inscritta e funge da centro visivo la figura del Cristo in piedi che da alla scena un movimento rotatorio, accentuato dalla posizione di tre quarti dell'angelo sulla sinistra, che volge le spalle all'osservatore.
In questo angelo è stata riconosciuta la mano di Leonardo, diversa per la grazia e morbidezza rispetto alle altre figure monumentali e definite dalla linea incisiva del contorno; allo stesso modo il paesaggio sullo sfondo aperto su di un'ampia valle percorsa da un fiume, reso con valori atmosferici che ne hanno ammorbidito e sfumato le forme, si differenzia dalle rocce rozzamente squadrate.

L'unico dipinto, totalmente autografo, giunto ai giorni nostri di cui è praticamente certa l'attribuzione al Verrocchio è la Madonna e bambino con i santi che si trova nella Cattedrale di Pistoia. Del 1468 è il candelabro, ora ad Amsterdam, realizzato per un corridoio di Palazzo Vecchio. La base è formata da tre lati su due è scritto rispettivamente MAGGIO e GIUGNO, sul terzo vi è la data in numeri romani, 1468. Nei primi anni settanta del Quattrocento compì un viaggio a Roma.

Intorno al 1474 fu chiamato ad eseguire il monumento Forteguerri per il Duomo di Pistoia, che lasciò incompiuto. A partire dalla seconda metà degli anni 1470 il Verrocchio si dedicò principalmente alla scultura, secondo le leggende narrate dal Vasari per via del confronto con il suo allievo Leonardo che aveva superato il maestro. Attenendosi in un primo tempo ai modelli canonici fiorentini, come nel David bronzeo del Bargello, su commissione di Lorenzo e Giuliano de' Medici del 1475 circa, riprese lo stesso soggetto di Donatello, ma stilisticamente, vista l'idealizzata e goticizzante bellezza, si rifece al Ghiberti, risolvendo il tema dell'eroe cristiano in un paggio cortese.

Nel 1478 circa realizzò il Putto alato con delfino, originariamente destinato a una fontana per la villa medicea di Careggi, dove l'acqua usciva dalla bocca del delfino e spruzzava in alto ricadendo, ora conservato a Palazzo Vecchio. In esso si percepiscono echi del dinamico naturalismo appreso da Desiderio da Settignano, che lo indirizzò verso la trasfigurare della materia scultorea in morbide forme levigate, mentre il soggetto deriva dall'antico, ma reinterpretato in sorridente un putto danzante, in precario equilibrio, con il manto che si incolla alla schiena e il ciuffo bagnato, appiccicato alla fronte. Dello stesso periodo è il busto della Dama col mazzolino, dove per evitare una rigida visione frontale e per rendere più dinamica la composizione girò il volto della donna e, grazie all'espediente del taglio del ritratto all'altezza dell'ombelico, poté inserirvi anche le mani.

Sempre dello stesso periodo è il rilievo per il monumento funebre di Francesca Tornabuoni per la chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma (ora al Bargello). Nel 1479 la Repubblica di Venezia decretò la realizzazione di un monumento equestre per il condottiero Bartolomeo Colleoni, morto tre anni prima, da collocarsi in campo SS. Giovanni e Paolo, nel 1480 ne affidò l'esecuzione ad Andrea Verrocchio, nel 1481 il modello di cera venne mandato a Venezia, dove nel 1486 si trasferì l'artista per attendere alla fusione in bronzo del gruppo. Andrea morì nel 1488 a lavoro non terminato, l'artista aveva nominato erede ed esecutore Lorenzo di Credi, ma la Signoria veneziana gli preferì Alessandro Leopardi, artista locale.
Per la realizzazione del gruppo Andrea si rifece alla statua equestre del Gattamelata di Donatello, alle statue antiche di Marco Aurelio, dei cavalli di San Marco e del Reggisole, ma tiene anche presente l'affresco con Giovanni Acuto di Paolo Uccello in Santa Maria Novella.

È la prima statua equestre in bronzo a ritrarre una delle gambe del cavallo in posizione sollevata. In altre parole, l'intero peso della statua è sorretto da tre gambe invece che quattro.
La statua è inoltre notevole per l'espressione attentamente osservata sul volto del Colleoni: il condottiero, rivestito dall'armatura, si erge in posa solenne e con lo sguardo, sottolineato dalla zona d'ombra data dal cimiero, aggrottato, l'effetto dinamico del gruppo è dato dall'incrocio di due diagonali una quella formata dal profilo superiore del corpo del cavallo l'altra quella che va dal busto del condottiero alla dalla zampa anteriore sinistra del cavallo, piegata ad angolo retto.

Gli viene inoltre attribuita la Madonna Ruskin della National Galleries of Scotland a Edimburgo, datata al 1470 e alla sua bottega sono da riferire le tavole della National Gallery di Londra con Tobiolo e l'angelo, realizzata tra il 1470 e il 1480 e la Madonna col Bambino e due angeli del 1470 circa.

giovedì 10 dicembre 2009

Lacroix c'est fini ?




« La Couture c'est fou, contradictoire, imprévisible et, surtout, c'est plus fort que moi. ».

C’est ce que déclarait Christian Lacroix aux prémices de son aventure Mode.

Une passion à la limite de l’amour fou unissant le couturier à sa maison de Couture.

Aujourd’hui, faute de repreneur capable de présenter les garanties financières à leurs offres de reprises, le tribunal a donc suivi le plan proposé par les propriétaires américains de la maison. Bilan, une centaine de salariés licenciés et des petites mains effondrées.
Se sont elles qui portent sur le devant de la scène médiatique leur tristesse à l’idée d’abandonner leur Maison de cœur.

Les signes avant-coureurs étaient légions : un défilé Haute-Couture dont beaucoup disaient qu’il serait le dernier, des banderoles et des badges arborés par les équipes créatives et les journalistes.
La disparition de la maison Lacroix des deux calendriers (Haute-Couture et Prêt-à-Porter) est bien plus qu’une « simple » affaire de société déficitaire.

C’est une partie du patrimoine et de la Culture Luxe et Mode de la France qui disparait.

Paris 1971 :
le jeune Christian Lacroix « monte » à Paris pour faire un mémoire autour du « Costume à travers la peinture du XVIIème siècle » et préparer le concours des Conservateurs.
Il aimait créer de manière libre de tous engagements et de toute pression.
Créateur et homme d’affaire , il avait une vision pourtant juste du milieu :
« Dans cette fin du XXe siècle, la couture survivra si elle trouve sa cohérence entre le prêt-à-porter de luxe qu'elle ne doit pas être et la créativité radicale qui n'est pas son rôle, la clientèle, même nouvelle, n'échappe pas à certains codes. »
Garder son âme, essayer, oser et être rentable, mot de la fin à Lacroix, visionnaire malheureux d’une fin qui nous touche :

« Certains créateurs font un travail de couturier, d'autres proposent une image obsolète de la femme. Une jupe droite à la main ne signifie pas grand chose. L'avenir est entre les deux car l'envie individuelle d'un vêtement unique et artisanal existera toujours et d'autant plus qu'on aura à refuser l'uniforme. Dans ma maison en tous cas : c'est l'éphémère, le particulier, l'unique qui sont les meilleurs signes de l'identité. Le luxe en soi doit justement déboucher sur une individualité, une différence, un dandysme - et pas sur une bourgeoisie esthétiquement désuète. Je crois que l'on n'a qu'une seule chose à dire mais que cette chose évolue sans cesse. C'est cette constance dans le changement qui détermine un style. »

Les macarons Ladurée habillés par Marni !


On connaissait déjà le macaron inimitable de Ladurée, son croquant, sa douceur, sa saveur en bouche qui dès qu’on l’évoque met en émoi nos papilles…
On connaissait déjà la griffe Marni et ses collections ultra-luxe, glamours et avant-gardistes.

Les coupes zéro défaut, un style inimitable, une vraie originalité.
En revanche, on découvre cette année une boîte en édition limitée réalisée par Marni pour accueillir les délicats Macarons de Ladurée.
Ces luxueux coffrets dessinés par Consuelo Castiglioni révèlent les éléments caractéristiques de Marni, comme les pois et la fleur et affichent raffinement et perfection dans les moindres détails.
La boîte est disponible en deux tailles: pour huit ou dix-huit macarons et contient, toujours en édition limitée, des macarons au chocolat ornés d’une feuille d’or.
Les passionnés pourront également personnaliser les boîtes choisissant leurs saveurs favorites.

Boîte de 8 macarons : 25 €
Boîte de 18 macarons : 52,70 €

mercoledì 9 dicembre 2009

L'Accademia di Brera

La Pinacoteca di Brera ha sede in un grandioso palazzo barocco, che contiene altre istituzioni culturali.
Tra queste, l'Osservatorio di Brera, la Biblioteca Braidense, l'Orto Botanico, l'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e la famosa Accademia di Belle Arti.

L'edificio richiederebbe un serio intervento di restauro.
Il palazzo di Brera si apre su un cortile circondato da un elegante porticato.
Al centro di esso campeggia il monumento bronzeo di Napoleone Bonaparte, ideato da Antonio Canova.
Il museo si trova al secondo piano.
Vi si accede salendo le monumentali rampe di scale che partono in fondo al cortile.

All'ingresso si trovano il bookstore e il servizio informazioni.
Sulla destra inizia un ampio corridoio, dove si incontra la biglietteria e la sequenza di opere della collezione Jesi.
Il palazzo di Brera sorge sul luogo di un antico convento dell'ordine degli Umiliati, una delle più potenti associazioni religiose del milanese.
L'edificio ha subito numerosi rimaneggiamenti.
Passato ai Gesuiti nel 1572, nel 1591 fu ridisegnato su progetto di Martino Bassi, cui si devono la definizione del portico e del loggiato.A Francesco Maria Richini, si deve l'ampia scala a duplice rampa e la nobile struttura classicheggiante, realizzati a partire dal 1651. Alla morte di Richini (1658), i lavori furono portati a termine dal figlio Domenico, da Gerolamo Quadrio e Giorgio Rossone
Abolito l'ordine dei Gesuiti nel 1773, il palazzo passò al governo.L'imperatrice Maria Teresa d'Austria lo adibì a sede delle Scuole Palatine, vi collocò una biblioteca, e decise l'ampliamento dell'Orto Botanico.
Nel 1776 vi venne installata l'Accademia di Belle Arti.
Tra questa data e il 1784 Giuseppe Piermarini fu incaricato di apportare numerose modifiche al palazzo, tra cui l'apertura del nuovo portale su via Brera (1780) e la sopraelevazione dei cortili minori.
Il Palazzo dove ha sede l'Accademia di Belle Arti deve il suo nome, Brera, al termine di origine germanica "braida" indicante uno spiazzo erboso.

La Funzione Innovatrice
Mentre l'architetto Giuseppe Piermarini curava il completamento dell'edificio, l'accademia iniziava così ad assolvere la sua funzione, secondo i piani dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, di sottrarre l'insegnamento delle Belle Arti ad artigiani e artisti privati sottoponendolo "alla pubblica sorveglianza ed al pubblico giudizio".
Il patrimonio culturale
Per poter insegnare architettura, pittura, scultura, ornato, la scuola doveva essere provvista di raccolte di opere d'arte (gessi tratti da statue antiche) che servissero da modelli agli studenti.
Per stabilire poi un legame tra la formazione artistica ed una più vasta preparazione culturale - secondo quanto era stato auspicato già da Giuseppe Parini - venne istituita la figura del segretario nella cui carica si succedettero l'abate Carlo Bianconi (1778-1802) e Giuseppe Bossi (1802-1807).
A quest'ultimo, geniale esempio di letterato artista dell'età neoclassica, si deve un potente impulso nella vita dell'Accademia che , durante il periodo napoleonico, conosce un momento di straordinario vigore vedendo finalmente istituita una propria Biblioteca e la propria Pinacoteca (con i quadri che venivano sottratti a tutta Italia tra cui lo "Sposalizio della Vergine"di Raffaello), riattivata la scuola di incisione e rinsaldato il legame con il mondo parigino ed europeo grazie alle nomine di soci onorari che nel giro di pochi anni comprendevano David, Benvenuti, Camuccini, Canova, Thorvaldsen e l'archeologo Ennio Quirino Visconti.

Il romanticismo e l'unità d'Italia
Durante la Restaurazione, l'Accademia registra progressivamente le tendenze, spesso contraddittorie,della cultura romantica: in pittura trionfa il quadro storico grazie al magistero di Francesco Hayez e si istituisce la scuola di paesaggio (Giuseppe Bisi) sul modello dei paesaggi storici dipinti da Massimo D'Azeglio, la cattedra di estetica prende a trasformarsi in un insegnamento di storia dell'arte vera e propria. Siamo ormai alle soglie della crisi dell'Accademia che diventerà evidente subito dopo l'Unità d'Italia quando il mutato clima culturale (per l'avvento della fotografia e il rifiuto a imparare dai modelli antichi) porteranno ad abolire il famoso pensionato a Roma riservato agli allievi migliori e a separare (nel 1882) la gestione della Pinacoteca da quella dell'Accademia.

Le esposizioni annuali
Sempre alla gestione di Bossi risale l'inizio delle esposizioni annuali (1805), che furono davvero la maggior manifestazione di arte contemporanea in Italia durante l'Ottocento perchè offrivano una rassegna tanto dei lavori degli studenti, stimolati dalla prospettiva dei premi messi a concorso, quanto delle opere di artisti italiani ed europei, nonchè l'attività della Commissione di Ornato che svolgeva un controllo sui pubblici monumenti simile a quello delle odierne Sopraintendenze.

Le avanguardie
Dal 1891 le esposizioni diventeranno triennali mentre la cultura architettonica consolida i propri modelli (dal 1897 al 1914 è presidente dell'Accademia Camillo Boito che aveva avuto tra i suoi allievi Luca Beltrami) fino a rendere autonomo il proprio insegnamento. A vivere il difficile periodo delle avanguardie, per l'insegnamento di pittura, è Cesare Tallone, che fu maestro di Carrà e di Funi.
Adolfo Wildt
Nel 1923, con la riforma della scuola promossa da Giovanni Gentile, viene istituito accanto all'Accademia il Liceo Artistico: negli stessi anni la scuola di scultura è tenuta da Adolfo Wildt (cui succederanno Francesco Messina e Marino Marini) che avrà trai suoi allievi due tra i massimi rinnovatori dell'ambiente artistico milanese negli anni a venire, Lucio Fontana e Fausto Melotti, mentre per Funi sarà istituita la cattedra di affresco.

Il Secondo Dopoguerra
La difficoltà di trovare un assetto istituzionale rispondente alle sempre mutate condizioni culturali (già prima dell'ultima guerra esisteva un insegnamento di pubblicità alla serale Scuola degli Artefici) diventa sempre più evidente nel secondo dopoguerra quando l'Accademia riapre i suoi corsi grazie alla direzione di Aldo Carpi: se ne è fatto interprete negli ultimi decenni Guido Ballo, come professore di Storia dell'Arte, e accanto a lui maestri di scultura come Alik Cavaliere e Andrea Cascella e di pittura come Mauro Reggiani, Domenico Cantatore, Pompeo Borra e Domenico Purificato.

martedì 8 dicembre 2009

Milano a Natale : la vera Ville Lumière !


Da piazza Scala alla Galleria, il primo festival delle luci!

Spara baci Letizia Moratti. Sotto l’enorme vischio che so­vrasta l’Ottagono.

Ogni bacio si ac­cende una luce in Galleria, ogni ba­cio un euro per aiu­tare gli agricoltori dell’Uganda. Mila­no si accende per il Natale. Da piazza Duomo, alla Galle­ria a piazza della Scala. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa azzarda. «Milano meglio di Parigi, questa è la vera Ville Lumière».

La Moratti accetta l’iperbole e rilancia. «È un fe­stival di luci che non ha para­goni in Europa. Questo è il primo grande festival a cui partecipano architetti della lu­ce da tutto il mondo e gli allie­vi delle nostre scuole». Le luci resteranno accese fi­no al 10 gennaio. Fino a quel­la data Milano ospiterà la pri­ma edizione del Festival inter­nazionale della luce che ha portato in città creativi dell'il­luminazione da tutto il mon­do con il compito di dare alla città una veste nuova all'inse­gna della sostenibilità am­bientale, visto che ogni installa­zione utilizza la tecnologia led.


E visto che di Festival si tratta, non poteva mancare la provocazione. In via Marino, a due passi dalla Scala cam­peggia una luminaria solita­ria. Che non ti aspetti. È un crocifisso di luce. Al posto di Gesù c’è una scritta: 2000 an­ni. Nell’intenzione della gio­vane artista Valentina Mam­moli rappresenta il tempo del­la nostra civiltà cristiana. Fat­to sta che per Natale non ti aspetti di vedere un crocifis­so luminoso in mezzo alle strade del centro: «Abbiamo voluto il crocifisso anche a Natale - spiega l’assessore al­l’Arredo Urbano - per sottoli­neare e riscoprire quelli che sono i nostri valori. Solo così non si ha paura delle altre cul­ture». Il viaggio nella luce parte da piazza Fontana. Con il sin­daco che inaugura il tram lu­minoso di Atm. Un breve tra­gitto fino a via Dogana.

All’ar­rivo in Duomo si alzano in cie­lo 450 lanterne di carta.

Le ve­trate del Duomo proiet­tano decori. La Moratti accende il grande albe­ro di Natale. La gente applaude. E il sindaco appoggia l’appello del­la Veneranda Fabbrica per aiutare la Cattedra­le milanese.
Ci si sposta in Galle­ria e si ripete la cerimo­nia all’Ottagono.

Sotto un enorme vischio il sindaco bacia Ignazio La Russa e la Galleria si illumina. «Vogliamo ar­rivare a un milione di baci» sottolinea il sin­daco.

Che significa un milione di euro per l’Uganda. Si procede in piazza della Scala. Il Piermarini si anima. Si tra­sforma in un enorme scaffale pieno di libri. Le immagini si susseguono, aquile, uomini che si siedono sul cornicione. La gente resta a bocca aperta. Ma non sarà un po’ trop­po? Non sarebbe stato meglio dopo le parole del Cardinale Tettamanzi una maggiore so­brietà? «Incontro tante fami­glie in questi giorni - attacca la Moratti - e tante persone sole. Nel periodo delle festivi­tà la solitudine si sente anco­ra di più. E tutto ciò che aiuta le persone a sentirsi meno so­le, anche le luminarie, va nel senso della solidarietà».

Rias­sume tutto Cadeo: «La luce nella nostra città vuole essere un invito ai milanesi a risco­prire le proprie tradizioni e a guardare al futuro con orgo­glio e fiducia».

Quando "fare la spesa" é un'avventura..


Trovato in un blog, che condivido a 100% !

Il signor Valerio Visintin scrive :

Da molti anni ho maturato l'idea che mangiare bene a Milano sia un progetto complicato, affidato a un pacchetto di scelte percentualmente esiguo.
Ma ritenevo che mangiare e basta - cioè nutrirsi, soddisfare un impulso primario e inderogabile – fosse questione ordinaria, senza confini di prezzo o di scelta, risolta e archiviata ogni santo giorno sino ai limiti estremi e dolorosi di quelle che chiamiamo mense dei poveri.
Mi sbagliavo. E l'ho compreso soltanto in questi sei giorni di domicilio coatto per decorso influenzale.
Da un momento all'altro, io e mia moglie ci siamo ritrovati con la febbre alta, il frigorifero vuoto e tutto il cibo di Milano fuori dalla porta.

Trent'anni fa, nel medesimo quartiere nel quale abito oggi, in caso di necessità mia madre telefonava al signor Astolfi se voleva latte e formaggi, alle sorelle Grignani per il pane, ai Redondi per la carne, al Vismarket per scatolette e conserve.
Ora, le piccole botteghe con consegna e conto aperto non esistono più, costrette in ritirata di fronte alla sovrabbondanza della grande distribuzione.

Nella modernissima città della moda e dell'Expo basta qualche linea d'influenza per staccare la spina dal resto del pianeta alimentare.
Un paio di tentativi si fanno con quei pochi marchi che promettono servizio a domicilio. Succede, però, che il più importante sembra preso d'assalto, e non dà disponibilità per i tre giorni successivi. Mentre il market sotto casa mi fornisce una versione surreale:
“Certo, le portiamo la spesa a casa, se lei viene qui a sceglierla”. “...non ci siamo capiti: a me serve la consegna proprio perché non posso uscire...”, “In tal caso, mi spiace, ma non possiamo aiutarla”.
Si corre ai ripari, allora, come si può. E dopo aver dilapidato la buona volontà di amici, vicini e parenti stretti, si spendono piccoli capitali in pizze e sushi, che arrivano, questi sì, diritti a casa, contro ogni logica dietetica.

Poi, finiscono anche i contanti e gli ultimi fornitori si pagano con una raccolta di monete da 2 euro accumulata nel salvadanaio.
Finché, una mattina, ci si sveglia sfebbrati, ci si abbraccia commossi e ci si avventura fuori casa per fare la spesa, mano nella mano, come due fidanzatini.

Il Pirellone di Milano vestito di arte e di luce


La facciata del grattacielo Pirelli, sede della Regione Lombardia, si é trasformato da mercoledì 2 dicembre all'8 in un grande schermo su cui saranno proiettati alcuni dipinti dell'arte lombarda dal Rinascimento al Barocco, gli stessi che dal 3 dicembre al 28 febbraio saranno ospitati all'interno del Pirelli nell'ambito del progetto

«La Regione dà luce all'arte».

L'iniziativa mette in mostra 22 opere realizzate tra il Cinquecento e il Settecento da pittori come Giovanni Cariani, Moretto da Brescia, Romanino, Giovanni Battista Moroni, Camillo Procaccini, Frà Galgario. Si tratta di opere, come ha spiegato il presidente Roberto Formigoni, «di proprietà dei nostri ospedali».

«È un patrimonio enorme - ha precisato Formigoni - che conta oltre 20 mila oggetti, di cu più di 8mila quadri. Noi ne esponiamo 22 tra i più belli che saranno visitabili all'interno del grattacielo Pirelli».
Queste opere d'arte saranno anche proiettate sulla facciata del Pirelli «dall'imbrunire fino a mezzanotte. Tutte le sere - ha aggiunto il governatore lombardo - sarà così possibile vedere i capolavori dei nostri pittori in dimensione grandissima, quasi fossero un invito a entrare e vedere a tu per tu le opere in mostra».

Sempre nell'ambito del progetto, promosso dalla Regione insieme alla Fondazione Stelline, è previsto dal 3 dicembre al 25 aprile 2010 l'Artbox, uno spazio sempre allestito nella sede della Regione che ospiterà a rotazione, per un mese ciascuna fino alla primavera 2010, opere di Francesco Hayez, Antonello Da Messina, Tiziano Vecellio e Mario Sironi

Carmen alla Scala :applausi e fischi

14 minuti di applausi e fischi per la regista Emma Dante..

Una salve di applausi lunga quattordici minuti ha salutato il successo della Carmen di Bizet, diretta da Daniel Barenboim, che ha aperto la stagione della Scala.

Contestata però la regia, con molti fischi e «buu» soprattutto dal loggione. Gli applausi, le ovazioni e i bravo sono andati in crescendo man mano che sul palco si sono affacciati il coro, i cantanti e i due protagonisti, il soprano Anita Rachvelishvili e il tenore Jonas Kaufmann.

Il culmine è stato raggiunto quando a sorpresa Daniel Barenboim si è presentato sul palcoscenico con l’orchestra schierata alle spalle.
La gazzarra, come non si vedeva da anni, ha invece avuto inizio con l’uscita della regista Emma Dante, che è rimasta in piedi e si è inchinata al pubblico anche nei momenti di contestazione più accesa.
Chiuso il sipario Daniel Barenboim l’ha riportata sul palcoscenico, ma dopo i primi applausi sono tornate le contestazioni. La regista è stata però accolta con un boato clamoroso di applausi dai lavoratori della Scala, che si sono radunati dopo lo spettacolo nel retropalco. «Per me - ha detto la Dante - questo è l’applauso più bello».

LA REGISTA: NON HO FORZATO» -
«Forse ci sono idee che non sono state capite, perché non si ritrovano nel libretto, ma che non sono comunque forzature», ha spiegato la regista Emma Dante. «Io comunque non mi preoccupo, sono contenta del lavoro che ho fatto - ha aggiunto - soprattutto del lavoro di squadra che abbiamo fatto, quanto alle contestazioni tutto sommato sono reazioni vitali». Alla domanda se tornerà a una regia operistica, ha risposto: «Credo che passerà molto tempo». E poi scherzando di nuovo sui fischi la regista ha risposto: «Non so se dipende dall'età o dalla digestione, ho sempre suggerito che bisogna mangiare dopo lo spettacolo, non prima».
BARENBOIM: «DIVENTERA' LEGGENDA» -
«Vengo dal paese dei profeti (Israele, ndr) e vi posso assicurare che questa Carmen diventerà una leggenda. Sono molto contento e molto soddisfatto di averla fatta», ha detto Barenboim subito dopo la conclusione dell'opera. Il direttore ha espresso soddisfazione per la prova della giovane mezzosoprano Anita Rachvelishvili e ha avuto parole di elogio per la regista Emma Dante. Riguardo alle contestazioni ha detto: «E' normale che ci siano. Ci sarebbe da preoccuparsi se l'opera non piacesse a nessuno - ha aggiunto - ma se a qualcuno piace e altri la contestano è nell'ordine naturale delle cose, perché sono giudizi individuali». Lo spettacolo «sarà capito tra due anni, ci vorranno due o tre riprese», ha affermato il sovrintendente della Scala Stephane Lissner, ricordando che anche la leggendaria Traviata diretta da Luchino Visconti fu fischiata.
NAPOLITANO: «GIOVANI TALENTI»
«Questa Carmen non è tradizionale ma è la consacrazione di giovani talenti nel canto.
Un'opera bellissima sotto la guida di un grande direttore come il maestro Barenboim», è il commento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Ai giornalisti che chiedevano se la Scala debba diventare teatro nazionale ha poi risposto: «Non mi fate domande così difficili a quest'ora».
Sulla giovinezza degli interpreti il vice presidente della Scala, Bruno Ermolli, ha dichiarato: «Solo una grande realtà come la Scala può permettersi di far debuttare un mezzo soprano e una regista che finora non aveva mai fatto la lirica. Abbiamo innovato nella tradizione».
CONFALONIERI: «BRAVISSIMI»
Positivo il commento del presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, soprattutto per quanto riguarda i protagonisti Anita Rachvelishvili e Jonas Kaufmann che definisce «bravissimi».
Il numero uno di Mediaset, replicando ai cronisti, si è anche soffermato sul tema della sobrietà, più volte invocato in tempo di difficoltà dell'economia.
«La crisi c'è - ha argomentato Confalonieri - però la musica c'è sempre stata e la Scala c'è sempre stata, anche in tempo di guerra.
In tempi di crisi come questi bisognerebbe essere più sobri e mi sembra che la sobrietà ci sia stata».
BAZOLI: «REGIA TROPPO CARICA»
«Protagonisti eccezionali, regia troppo carica»: questo, in estrema sintesi, il giudizio di Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, banca tra i soci fondatori e gli sponsor più rilevanti del teatro. «L’opera - ha detto - mi è piaciuta molto. Trovo i due protagonisti di grandissimo livello. A me poi piace molto il direttore Daniel Barenboim».
Per quanto riguarda la regia di Emma Dante, ha continuato, «distinguerei: la scena mi piace molto, mentre la regia è molto forte. Si sapeva ma la trovo un po’ invadente. Carica molto. E’ sicuramente una rappresentazione molto interessante, però è troppo carica. Complessivamente si tratta comunque di un bello spettacolo».
LA BRAMBILLA: «REGIA FORTE»
La regia di Emma Dante è «una scelta coraggiosa, forte, che va apprezzata», ha invece commentato il ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla. «E’ una Carmen, quella della Dante - ha continuato il ministro - che aiuta a diffondere l’immagine dell’Italia nel mondo».
BORRELLI: «QUANTI REATI!»
«È la bella sorpresa. Sull'opera forse ci si aspettava qualcosa di più pepato, ma è ammirevole dal punto di vista tecnico», ha commentato l'ex pm Francesco Saverio Borrelli.
Conversando con i giornalisti a proposito della trama dell'opera, Borrelli ha sottolineato come «dal primo all'ultimo atto vi siano così tanti reati che potrebbero star benissimo in un tribunale eanche in Corte d'Assise».

mercoledì 2 dicembre 2009

Marketing tribal : les nouvelles adolescentes


Collégiennes, fashionistas et expertes en nouvelles technologies, les ados utilisent sans complexe tous les nouveaux modes de communication.

Ubisoft observe cette génération où l'identité numérique a toute son importance.

Un jour, elles rient et blaguent et le lendemain elles boudent ou pleurent... Qui peut comprendre les adolescentes?
Certainement pas les parents!
Car elles forment tout un monde, insaisissable, à elles seules.
Un monde, bien à elles, découvert avec l'entrée au collège, à la fois redoutée et source de nouvelles préoccupations.

Puberté oblige, entre 9 et 13 ans, les «ados» s'affranchissent du cocon familial pour se choisir une «tribu».
Objectifs : ne pas négliger ses nouveaux amis, vivre de nouvelles passions, se découvrir et surtout affirmer son look à l'interclasse!... Bref, «être enfin libres».

Alors un œil sur l'«ordi», l'oreille rivée au téléphone, elles peuvent en même temps -mais oui !- éplucher les blogs et sites de mode ou de people, chatter sur les réseaux sociaux et jouer aux jeux vidéo.
Rien ne leur échappe de leurs stars préférées et elles intègrent les codes de féminité - accessoires, maquillage, marques - à la vitesse «numérique» comme pour mieux les reproduire. Ainsi 66% (1) des collégiens utilisent une messagerie instantanée, 63% (1) des e-mails, 74% (1) ont une Nintendo DS et 71% (2) des 12-14 ans, un portable essentiellement pour les SMS et les photos... où l'on se met en scène et... en valeur.

Des chiffres éloquents, preuves que les nouvelles technologies sont le moyen privilégié d'expressions pour les collégiennes.
En écho à ces «it girls», Ubisoft (déjà l'éditeur de Lea Passion et Alexandra Ledermann) sort, dès novembre, «Girls life», une nouvelle gamme comprenant 4 jeux :
B experience, Fashion touch, Strass & Diamonds et Pyjama Partyeauty.
Un vrai programme ouvert à la créativité, au partage des expériences et au meilleur choix pour soi.

«Tout va très vite et les jeunes sont de plus en plus précoces», souligne Pauline Jacquey, producteur exécutif « jeux casual » d'Ubisoft, «d'où l'importance pour nous d'étoffer notre offre auprès des adolescentes sur le registre du glam et du rock, mais aussi auprès des petites filles de 4 à 6 ans avec Princesse Mélodie, fonctionnant entièrement par navigation vocale».
Quoi de mieux pour rendre autonomes de futures petites fashionistas avant même qu'elles ne sachent lire ?

(1) Etude Kids Teen's Mirror 2008, Junior City
(2) L'Observatoire sociétal du téléphone mobile, AFOM/TNS Sofres.

domenica 29 novembre 2009

Un'artiste

Ajee, l’univers féminin privilégié
Quand on aborde le thème de diversité culturelle, cette artiste touche-à-tout dit sans hésitation que « c’est la France », « une mixité qu’on vit au quotidien ».
La diversité est un thème qu’elle connaît bien, sur lequel elle a déjà travaillé auparavant.

« Mon sujet de prédilection est la femme » confie la jeune artiste, « c’est vrai que je dessine des femmes mais je ne sais pas pourquoi ».

Etre une femme est quelque chose qui la fait avancer au quotidien dans sa vie artistique. « Au début, je ne pensais pas avoir le droit d’être une femme dans ce milieu qui m’impressionnait. La diversité, c’est plus qu’un thème, qu’une richesse des matériaux, des couleurs ou des points de vue. »

A son échelle – le milieu de l’art urbain est essentiellement masculin – la diversité, c’est « être une femme dans un monde d’homme.

C’est valable pour tout le monde, finit-elle par conclure. On a tous besoin de faire sa place ».

sabato 28 novembre 2009

La rivincita della cerniera







Forse siamo abituate a darla per scontata, ma finalmente è arrivato il momento della sua rivincita!
Stiamo parlando della cerniera: allacciatura passepartout, nobilitata al rango di dettaglio must-have del guardaroba invernale.
La sua data di nascita risale già al 1893, quando l’inventore della macchina da cucire, William Litcomb Judson, brevetta un sistema di chiusura ultrarapido, poi migliorato fino all’arrivo degli stivali zipper boots nel 1923, ai quali si deve la più nota definizione di “zip”.

È solo agli inizi degli Anni 30 che, attraverso la complicità della geniale Elsa Schiaparelli, la cerniera si guadagna le luci della ribalta nell’universo couture.

Il che ci traghetta magicamente alla sua attualissima funzione decorativa su abiti da cocktail, silhouette elegantissime e tessuti preziosi. Quanto ai capispalla, tirano fuori letteralmente i denti (orgogliosamente argentati) e si aprono a inediti trompe l’œil, come sperimentato dal divertente scollo black & gold dell’abito di John Richmond, che apre questa gallery. Lampo… di originalità!
Metalliche e luminose, le cerniere trasmettono un messaggio chiarissimo: velocità, modernità, grinta. E quest’inverno la più rapida delle chiusure esce allo scoperto, decisa a conquistare con il suo fascino “eversivo” anche gli accessori più snob e a catturare l’attenzione delle fashionistas “minimaliste”.

Perché l’offerta è davvero multiforme: si parte dall’eleganza delle maxibag estendibili con molteplici aperture a soffietto o degli ankle boots in camoscio rigorosamente a tema, per arrivare alle proposte punk/rock di stivaletti, borse borchiate e pochette, che delle cerniere fanno un leitmotiv imprescindibile.

Come interpretare questo dettaglio must?
Con jeans, blazer e completi strutturati: capi dalla raffinatezza understated, per un perfetto equilibrio di originalità tutta metropolitana.

L'Italie s'expose à Nantes




"Fascinante Italie, de Manet à Picasso, 1853-1917" s'expose à Nantes.
Le Musée des Beaux-Arts de Nantes propose jusqu'au 1er mars une exposition inédite qui dévoile l'influence italienne sur les arts en Europe entre 1853 et 1917, de Manet à Picasso en passant par Van Gogh et Renoir dans une exposition truffée de chefs d'oeuvres.
Le Musée des Beaux-Arts de Nantes propose jusqu'au 1er mars une exposition inédite qui dévoile l'influence italienne sur les arts en Europe entre 1853 et 1917, de Manet à Picasso en passant par Van Gogh et Renoir dans une exposition truffée de chefs d'oeuvres.

Le Musée des Beaux-Arts de Nantes propose jusqu'au 1er mars une exposition inédite qui dévoile l'influence italienne sur les arts en Europe entre 1853 et 1917, de Manet à Picasso en passant par Van Gogh et Renoir dans une exposition truffée de chefs d'oeuvres.

Deux années de travail ont été nécessaires pour monter cette exposition à laquelle ont participé 35 prêteurs dont le Musée d'Orsay avec "L'Italienne" de Vincent Van Gogh.
"Van Gogh n'a jamais été en Italie, il a quand même fait son Italienne", à l'époque un modèle issu de l'immigration italienne à Paris, précise Blandine Chavanne, commissaire de l'exposition et directrice du musée.
Une centaine d'oeuvres sont présentées avec une première partie appelée "le voyage en Italie" qui débute en 1853, date du premier voyage en Italie d'Edouard Manet.
Le visiteur peut ainsi découvrir ses "Gondoles de Venise" dans une salle dédiée à Venise avec notamment "La Voile jaune" de Paul Signac et les "Venise" n° 3 et 4 de Vassili Kandinsky.
La seconde partie évoque les maîtres italiens du passé dans cette peinture de la deuxième moitié du XIXème siècle, avec un double portrait d'Edgar Degas, qui fait référence à la tradition du double portrait de la Rennaissance italienne ("Portrait de l'artiste avec Evariste de Valernes").
"L'Ivresse de Noé" de Paul Baudry est une copie réalisée d'après l'une des scènes peintes par Michel-Ange à la voûte de la chapelle Sixtine au Vatican.
Le voyage se termine par un rideau de scène conçu par Pablo Picasso. L'artiste reprend le fond d'un décor réalisé par un artiste allemand pour l'aquarium de Naples, et y ajoute des personnages tels que l'arlequin.
"Picasso après 1917 va avoir sa grande période classique et là on sait très bien que c'est le fait d'être venu en Italie", explique Mme Chavanne.
"Fascinante Italie, de Manet à Picasso, 1853-1917", au musée des Beaux-Arts de Nantes du 20 novembre au 1er mars.
Tarif: 6 euros.
Informations sur le site musee-beaux-art@mairie-nantes.fr

Dorian Gray versione 2000




E' uscito nelle sale italiane venerdì 27 novembre il film che farà rivivere sul grande schermo il mito di Dorian Gray, opera del grande Oscar Wilde (1891).

Per l’occasione il regista Oliver Parker (L’importanza di chiamarsi Ernesto, 2002), ha voluto come protagonista il nuovo sex symbol del cinema inglese, Ben Barnes.

L’attore ventottenne Ben Barnes , tolti i panni del bel Principe Caspian di "Le cronache di Narnia" (2008) veste qui quelli (quasi) immortali dell’uomo che non voleva invecchiare.
Fascino dandy e aria efebica rendono Ben il perfetto Dorian Gray degli anni 2000.
Accanto a Ben Barnes compare l’attore inglese Colin Firth, nei panni dell’amico tentatore Lord Henry Wotton. Sarà lui a spingere Dorian a desiderare l’eterna giovinezza. Per i due è il secondo lungometraggio assieme: hanno infatti già recitato nella spassosa commedia "Un matrimonio all'inglese"
Dorian Gray
Regia: Oliver Parker Anno: 2009
Genere: Drammatico
La ricerca della bellezza eterna diventa ossessione diabolica per Ben Barnes alias il Dorian Gray degli Anni 2000.

Niente riccioli biondi e occhi azzurri, nemmeno labbra color porpora dell’originale ottocentesco: ma i puristi di Oscar Wilde perdoneranno la virata fantastica del regista Oliver Parker, noto per aver portato sul grande schermo altre opere dello scrittore inglese tra cui Un marito ideale (1999) e "L’importanza di chiamarsi Ernesto" (2002).
Questa volta, però, i toni da dramma vittoriano si trasformano in un avvincente incubo gotico.

E se la forma è quella dell’horror soprannaturale, la sostanza non cambia: il ragazzo ingenuo e bellissimo appena arrivato a Londra viene sedotto dalle parole del cinico (e invidioso) conte Henry Wotton (Colin Firth in inedita versione bad) che con la formula magica «Sei giovane e bello. Hai diritto a tutto. Puoi permetterti tutto.» abbaglia il cuore e la mente di Dorian permettendosi così, in virtù del suo aspetto, di desiderare, sedurre e uccidere.
Ma il rovescio della medaglia è nascosto in soffitta, coperto da un velo nell’oscurità.

In quel ritratto (realizzato con la nuova tecnologia 3D) che non solo invecchia, ma letteralmente si consuma, fino al duello finale – con sorpresa – Dorian contro Dorian.

venerdì 27 novembre 2009

buon compleanno Tina !

70 candeline per una bomba !
Il 26 Novembre 1939, a Nuthbush, Tennessee, nasce Anne Mae Bullock, una bambina destinata a diventare una delle più grandi icone rock al femminile del panorama musicale mondiale.

A molti anni di distanza, Tina Turner, la leonessa del palcoscenico, con la sua voce a dir poco grintosa e una carica vitale inesauribile, ha raggiunto la soglia dei 70 anni!

Dalla prima hit ‘A fool in love’, i tempi in cui portava il caschetto e il tubino, ai minidress e capelli cotonati che l’hanno contraddistinta negli anni successivi, Tina Turner è diventata un’icona, un successo mondiale, una star ineguagliabile.

Non è sempre stato tutto facile per Tina, separatasi dal primo marito Ike Turner , con il quale si affacciò alla popolarità duettando nei primi 15 anni di carriera, dopo aver sopportato anni di maltrattamenti.
Da questo momento però, la sua rinascita diventa inarrestabile, e la porta a scalare le classifiche planetarie, anche grazie agli indimenticabili duetti con altri ‘mostri sacri’ del panorama musicale internazionale, da Mick Jagger a Elton John.
Insomma, una vita vissuta a tutta birra, con un’energia che, anche oggi, alla soglia del settantesimo compleanno, la innalza a ineguagliabile icona rock.
Buon Compleanno Tina!