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"Gli hipster sono quelli che sogghignano quando
dici che ti piacciono i Coldplay. Sono quelli che indossano t-shirt con
citazioni tratte da film di cui non hai mai sentito parlare e sono gli
unici negli Stati Uniti a pensare ancora che la Pabst Blue Ribbon sia
un’ottima birra. Indossano cappelli da cowboy o baschi e tutto in
loro è attentamente costruito per darti l’idea che non lo sia"
Chi sono gli Hipster?
Sono ragazzi dal look vagamente nerd, malati di
tecnologia (l’i-Phone è il loro miglior alleato) e ossessionati nello
stare lontani dalla terribilissima “cultura di massa”.
Secondo lo Urban Dictionary, il più autorevole vocabolario online di linguaggio urbano, hipster, che deriva dal termine slang hip
ovvero “informato sulle ultime mode”, è una sottocultura di persone
tra i 20 e i 30 anni che crede nel pensiero indipendente,
nell’anticonformismo, nella creatività, nell’arte e nella musica indie.
Non rivendicano alcuna appartenenza politica, perché
volutamente indipendenti da ogni regola.
Non vogliono essere
catalogati e eludono l’attualità: tranne, ovviamente, per quel che
riguarda musica e moda.
L’unica religione che tutti gli hipster
riconoscono come tale sono i pantaloni attillati: le donne indossano
quelli super slim, stretti fino al polpaccio e gli uomini – per
risultare ancora più insaccati – si infilano a fatica nei modelli
femminili.
E’ uno stile presente soprattutto nelle grandi metropoli, Milano, Londra, Berlino…New York
Monopolizzano tutto quello che sia tendenza, odiano la moda anche se ne fanno decisamente parte.
Amano mescolarsi alla massa ma non riconoscersi in essa, si
ritagliano spazi personali di scelta e di pensiero, sono di ogni età,
usano oggetti che gli capitano a tiro (bicicletta, casco, cappelli,
occhiali da sole) che diventano parte integrante del loro look e
proprio modo di essere.
I capi d’abbigliamento che indossano sono vari e tutti elegantemente miscelati: t-shirt bianche, camicie nere smanicate,
grandi occhiali da vista e da sole, pantaloni attillati, cappelli,
sciarponi.
Impossibile omettere, quindi, le t-shirt.
In teoria
andrebbero indossate quelle vintage, con scritte che ricordano rock
band degli anni ’70 e ’80, anche se le maggiori catene di abbigliamento
vendono magliette nuove in puro stile vintage ma dal taglio
attillato.
Come detta New York, fonte di ispirazione per gli hipster
del mondo, anche le camicie a quadri stanno entrando nel loro
guardaroba: di flanella, come quelle grunge anni Novanta, ma sempre in
versione molto aderente.
Come dettaglio unisex, che l’hipster abbia o meno
carenza di diottrie, è fondamentale indossare un paio di occhialoni
che ricordano il modello Wayfarer della Ray-Ban. L’importante è che
siano da vista perché quelli da sole sono considerati troppo
“omologati”.
Per gli uomini è fondamentale sfoggiare i baffi. Ma
anche qui vale la regola dell’ironia e della leggerezza. Il taglio
dev’essere anni Ottanta: sottile, corto e poco folto. Insomma, più Burt
Reynolds che Tom Selleck. Per le donne, capelli spettinati e –
all’apparenza – poco curati, meglio se con una fascetta intorno alla
testa.
Quanto alle scarpe, maschili o femminili, le
regole sono due: suola ultrapiatta e stile minimal. Bene le All Star,
le Toms, una sorta di espadrillas fashion e solidali – per ogni paio
acquistato un paio viene regalato ad un bambino bisognoso – e le
ballerine.
Sono entrate di recente nell’armadio degli hipster anche le
scarpe da basket modello Reebok primi Novanta.
Per completare il look, perfetti un cardigan aderente
(alcuni sembrano appena usciti da un lavaggio sbagliato) e una kefiah
che, volutamente privata di qualsiasi significato politico, va
sfoggiata nei colori dal viola al rosa o fantasia, con cuori o
farfalle.
L’icona moderna dell’hips può essere considerato Johnny Deep col suo stile svagato e sempre cangiante, un po’ fuori moda anche se molto ricercato.
Ecco le nuove leccornie raffinate e insolite per un Natale gourmet che senza dimenticare la tradizione delizia i sensi, non solo con il gusto ma anche con vista e olfatto.
Tendenza e lusso per scatole preziose e prelibatezze decorate con un gusto squisito.
Oltre ai tradizionali dolci natalizi - Panettone,
Pandoro e Veneziana - Armani/Dolci propone una gamma di confetture con
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stellato Davide Oldani e che contiene eccellenze gastronomiche
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la ricetta dello Chef per dar vita a una versione inusuale del “risotto
alla milanese”.
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Gianduiotti, Nocciolotti, Sferette in una scatola in metallo con grafica Christmas in
rilievo per un Natale un po' nostalgico.
Di Caffarel
Le nuove confezioni natalizie di Baci, per gli innamorati o semplicemente per esprimere l'affetto, rinnovano la dolce sensazione di un bacio.
Di Perugina
Un piccolo scrigno racchiude monoporzioni dei famosi pasticcini di pasta di mandorle senesi: Ricciarelli in Bauletto. Di Sapori.
Riassumere
in poche righe le abitudini e la cultura di un popolo è impresa ardua.
La vita in Serbia scorre con relativa calma, senza particolare fretta.
Il
livello generale di stress è ben distante da quello che invece soffoca e
logora, ormai da tempo, noi italiani.
Ne derivano ritmi più lenti, meno frenetici e un atteggiamento in linea di
massima positivo, sia nella vita quotidiana, sia nel lavoro. Tutto ciò malgrado
le situazioni economiche ed occupazionali siano più critiche di quelle di altri
paesi europei, Italia compresa.
Le feste, i ritrovi e le cene di gruppo, sono
(quasi) all’ordine del giorno.
Se qualcosa manca, si porta pazienza e ci si
dorme sopra, riponendo le proprie speranze in un domani migliore.
I serbi, quindi, preferiscono vivere alla giornata, preoccupandosi il giusto
del presente e un po’ meno del futuro: la loro filosofia di vita li porta ad
essere fiduciosi in ciò che verrà e ironici rispetto a ciò che è già stato.
Capita, durante le serate trascorse in compagnia a sorseggiare rakija (Distillato di prugne [Šljivovica]),
di rivivere nelle parole di chi racconta i tempi e le difficoltà delle guerre
più recenti, narrati però come fossero fatti piacevoli da ricordare.
Questo atteggiamento, molto diffuso nelle aree rurali e distanti dalla sempre
crescente frenesia della vita cittadina, fa sì che la popolazione serba risulti
simpatica, interessante e piacevole da trattare.
A questo modo di essere, va
poi aggiunta l’innata ospitalità che caratterizza tutto il paese, talvolta
spinta a livelli che, agli occhi di chi proviene da ambienti più chiusi e
diffidenti, sembrano quasi esagerati.•
L’ospite, in Serbia, è sacro e va trattato con il massimo rispetto, provvedendo
a fornirgli tutto quello di cui ha bisogno: all’arrivo viene di solito accolto
con lo slatko insieme a un bicchiere d’acqua naturale o frizzante (kisela
voda, cirillico: кисела вода).
Si tratta di pezzi di frutta (fichi, uva, prugne, etc.) cotta in acqua e
zucchero, quindi molto gradevole sia per i bambini sia per gli adulti, servita
in una coppetta di vetro trasparente, quindi su un piccolo vassoio da portata.
La sua comparsa prescinde dall’ora della giornata e rappresenta il modo più
tradizionale, per un serbo, di accogliere il proprio ospite.
Il rifiuto è da
evitare, sempre e comunque: anche il degustarne un solo pezzetto rende felice
chi ve lo offre.
Quasi sempre la quantità di cibo posta in tavola va ben oltre le comuni
capacità umane: meglio alzarsi sazi da una tavola ancora imbandita e pronta a
soddisfare le esigenze di chi per caso dovesse ancora sopraggiungere, che
rischiare di finire le scorte con gli ospiti ancora intenti alla degustazione.
Non di rado ci si trova di fronte a piatti che non rientrano nelle proprie
abitudini alimentari.
È meglio vivere la situazione come un’occasione per
provare e allargare la propria cultura culinaria, piuttosto che opporre un
rifiuto o mostrarsi scettici.
Non c’è da aspettarsi stoviglie in plastica,
considerate offensive nei confronti di chiunque.
Il saluto dei serbi, al risveglio, è il classico “buongiorno” (dobro jutro,
cirillico: добро јутро). Poco dopo si passa
al buongiorno di mezza mattina (dobar dan, cirillico: добар дан), quindi al buonasera (dobro veče,
cirillico: добро вече). Fra giovani, o
comunque quando il rapporto è informale e stretto, si utilizza l’universale
“ciao” (ćao oppure zdravo). Quando ci si lascia, il saluto di commiato, ovvero
il classico arrivederci diventa doviđenja. Il saluto più affettuoso prevede tre
baci e non due come si usa fare in Italia e in diversi paesi d’Europa.
Dopo lo slatko, è l’ora del caffè. Niente espresso o caffè ristretto: il caffè
serbo è lo stesso che si consuma in Turchia, quindi non è filtrato ed è molto
lungo.
Si chiama turska kafa.
La regola, il più delle volte violata, vuole che
la consumazione del caffè duri un’ora o giù di lì: il sorseggio è lento,
lentissimo, intervallato da discorsi di ogni tipo. Il detto locale recita:
“jedna kafa, jedna sata” ovvero “un caffè, un’ora”.
Se si consumano alcolici e si brinda alla salute dei presenti, si pronuncia la
parola Živeli! (equivale al nostro modo di dire Salute!), si toccano i
bicchieri e, regola da non dimenticare mai, ci si guarda negli occhi.
Il bicchiere, una volta vuoto, viene riempito ancora, per una seconda volta,
una terza, una quarta, etc…
Se non siete in grado di reggere tanto alcool, è
buona norma conservarne un po’, proprio per evitare che il padrone o la padrona
di casa, provvedano a fornirvene ancora.
Meglio ricorrere a questo semplice
stratagemma, piuttosto che rifiutare.
Gli inviti a pranzo e a cena si sprecano e sarebbe un vero peccato non
accettare.
In Serbia si mangia, tanto e bene! La gran parte dei piatti, a base
di verdure e di carne suina, incontra spesso i gusti di noi italiani.
La carne é squisita, preparata alla griglia o al girarrosto: il maiale intero,
cotto sul fuoco vivo, è uno dei simboli della cucina serba.
• La Slava
Un’esperienza indimenticabile è senza dubbio la Slava (cirillico: Слава). Prenderne parte deve essere considerato un
grande onore, trattandosi della glorificazione del Santo protettore di
famiglia.
E’ quindi una festa religiosa ortodossa e ricorre una volta all’anno.
I suoi festeggiamenti durano da uno a tre giorni, in funzione della
disponibilità e delle forze messe in campo dai padroni di casa.
Sveti Nikola,
Sveti Đurđica, Sveti Stefan e via dicendo, sono soltanto alcuni dei Santi che i
serbi elevano a protettori delle loro case e famiglie. La tradizione e
l’assegnazione del Santo si trasmette di padre in figlio (maschio).
Specie nelle aree e nei villaggi rurali, i partecipanti alla Slava possono
facilmente superare le cento unità: parenti e amici sopraggiungono quando
vogliono o possono, senza che ci sia un orario prestabilito e a tutti è
riservato lo stesso trattamento d’onore.
La tavola è sempre imbandita e non può
essere sparecchiata fino a quando l’ultimo ospite non avrà abbandonato la casa.
L’intera giornata è illuminata da una candela che brucia in onore del proprio
Santo. Il padrone di casa, stando alla tradizione, resta in piedi fino a quando
la stessa non sia spenta, quindi al calar del sole.
I preparativi che precedono i festeggiamenti e il pranzo della Slava: una
candela viene posta in una base raffigurante il Santo protettore della famiglia.
L’augurio da portare al padrone e alla padrona di casa è “Srećna slava
domaćini i domaćice”, ovvero “felice Slava al padrone e alla padrona di casa”.
Segue, come cibo di benvenuto, lo žito, un dolce preparato con grano cotto,
noci, zucchero e cannella, servito con vino, quindi il segno della croce che
apre a tutti i brindisi e ai festeggiamenti.
Si ritiene che la Slava sia stata
introdotta in passato dall’arcivescovo della Chiesa Ortodossa Serba Sava,
divenuto poi santo (San Sava).
Vale il detto: “Gde je Slava, tu je Srbin”,
ovvero “ovunque si festeggi la Slava, vi è un serbo”.
Vette aguzze, vallate verdi, pianure fertili, colline viticole, fiumi
navigabili e torrenti tumultuosi, laghi miti e litorali sabbiosi, città
d’arte e borghi incantevoli: questi sono gli ingredienti che fanno del
Veneto una regione ricca di sfumature e di variabili, capace offrire
scorci naturali e spunti storico architettonici a chiunque volesse
avvicinarvisi.
Il Veneto è anche conosciuto come regione operosa e in
forte sviluppo, le cui imprese sono orientate alla ricerca e sono
all’avanguardia nelle tecnologie e nell’innovazione.
Questi due aspetti
sono in apparenza contrastanti.
Invece il Veneto, e la sua gente, hanno
saputo conciliare un forte legame con il territorio e le radici storico
culturali che ne hanno disegnato i confini, con la spinta
imprenditoriale, anche e soprattutto nello sviluppo di identità locali,
quale il Made in Italy e il Made in Veneto.
La cucina regionale è lo
specchio di questa doppia identità, fondendo con maestria i sapori delle
produzioni ricercate con il gusto per la sperimentazione e
l’innovazione ed a sua volta il settore caseario esprime appieno questa
tendenza.
Ecco spiegato come, accanto a realtà casearie destinate a
prodotti di nuova generazione, standardizzati e conformi tra loro, volti
a soddisfare un consumatore generico, rimane salda, e di grande
rilevanza, quella realtà che si dedica alle produzioni casearie
appartenenti alla tradizione, spesso squisitamente locale, che vengono
prodotte nel rispetto dei requisiti di sicurezza alimentare ma anche di
tutela del territorio.
Oltre agli otto Formaggi DOP (Asiago, Casatella Trevigiana, Grana, Monte Veronese, Piave, Provolone Valpadana, Taleggio)
già conosciuti ed apprezzati a livello nazionale ed internazionale, il
Veneto è ricco di formaggi tradizionali, realizzati da piccole realtà
casearie a livello locale, che puntano sulla qualità e sulla tipicità
dei loro prodotti.
In queste realtà viene lavorato in prevalenza il
latte proveniente da stalle del territorio.
Si crea così la stretta
relazione tra microclima, alimentazione degli animali, caratteristiche
della materia prima e ricetta, spesso tramandata di generazione in
generazione, dai casari, rendendo unico il binomio formaggio-territorio.
Ogni formaggio tipico Veneto ha una sua storia da raccontare attraverso i sensi... non resta che saperla assaggiare.
l nome del formaggio "Piave" deriva dall'omonimo fiume
la cui sorgente si trova sul monte Peralba in Val Visdende, nel
territorio del Comelico, la parte più settentrionale della provincia di
Belluno.
Un percorso tortuoso porta il Piave verso il fondovalle,
dapprima nel Cadore e poi nella conca bellunese, tra Belluno e Feltre,
dove il fiume scorre più lento fino ad incontrare la pianura ai piedi
delle Prealpi Venete in provincia di Treviso.
Nessun nome meglio di
"Piave" potrebbe dunque identificare il più importante formaggio
bellunese, nato da un'antica tradizione lattiero casearia.
Esistono 3 tipologie del Piave DOP che si differenziano
per la durata della stagionatura:
il "Fresco" dura dai 20 ai 60 giorni,
il "Mezzano" dai 61 ai 120 giorni e
il "Vecchio" oltre i 120 giorni.
Le
materie prime impiegate ed il processo di caseificazione e maturazione
impiegati ne determinano il profilo organolettico e nutrizionale.
In
particolare la materia prima è rappresentata sicuramente dal latte,
prodotto nel territorio bellunese, dove la razza bovina preponderante è
rappresentata dalla Bruna, piuttosto rustica e solida, adatta ad un
ambiente impervio come quello di montagna e versatile nelle sue
prestazioni, ossia in grado di soddisfare sia i fabbisogni di latte sia
quelli di carne della popolazione agricola.
Nella cucina povera della montagna bellunese, il
formaggio Piave rappresenta, oggi come per il passato, l'espressione di
una tradizione fatta di sapore e genuinità.
Da consumare senza moderazione come formaggio da tavola, o aggiunto a pezzetti in un’insalata di rucola.
Ma per gustarlo alla bellunese, bisogna friggerlo e accompagnarlo con polenta e crauti.
Molto apprezzato anche quello stagionato, da grattuggiare per arricchire di gusto le pietanze.
Per il sapore e le caratteristiche della pasta a dieci/dodici mesi di
stagionatura il Piave è molto apprezzato anche come formaggio da
grattugia, per arricchire di gusto i piatti tipici della cucina
nazionale.
Un pensierino per un formaggio veneto buonissimo,
l'Asiago !
L'Asiago é uno dei più conosciuti prodotti veneti e prende il suo nome dall'Altopiano di Asiago, detto "dei Sette Comuni", in provincia di Vicenza,
compreso tra l'Astico e il Brenta.
Già nell'alto Medioevo, sembra vi si
producesse un gustoso formaggio ricavato dal latte delle pecore.
Nel
corso degli ultimi secoli, con il miglioramento di prati e pascoli,
l'allevamento ovino lasciò lentamente posto a quello bovino ed il latte
vaccino divenne la base su cui applicare l'antica esperienza, dando
luogo alla moderna tecnica casearia che ancora oggi si pratica nelle
malghe dell'Altopiano.
Attualmente la zona di raccolta del latte e di produzione del formaggio Asiago D.O.P.,
delimitata per disciplinare, comprende l'intero territorio delle
province di Vicenza e Trento e una parte delle province di Treviso e
Padova.
Il formaggio Asiago - che nel 1996 ha ottenuto la Denominazione
di Origine Protetta - viene prodotto in due diverse tipologie: d'allevo e pressato.
I due formaggi si differenziano, oltre che per la stagionatura, anche per il tipo di lavorazione.
L'Asiago più vicino all'austera tradizione dei casari altopianesi è certamente quello d'allevo, le cui forme vengono tagliate solo dopo mesi di stagionatura.
È un formaggio da tavola che diventa mezzano dopo 4-6 mesi, vecchio con stagionatura superiore ai 10 mesi e stravecchio se stagionato oltre i 15 mesi. Il sapore è dolce e la pasta è compatta nel formaggio mezzano, mentre il tipo vecchio o stravecchio è più saporito e leggermente piccante e la pasta è più dura e granulosa.
Negli anni '20 è iniziata la produzione di un formaggio Asiago a più breve stagionatura, chiamato pressato
poiché le forme appena prodotte vengono sottoposte ad una pressatura
sotto torchi manuali o idraulici.
L'Asiago pressato è un formaggio da
tavola e con sapore tendente al dolce.
La Pedavena è una birra originaria del Bellunese, e prende il suo nome da Pedavena, la località in cui è situato lo stabilimento di produzione.
Fondata nel 1897 dai fratelli Luciani, nel 1974 diviene proprietà della azienda Heineken, la quale però, nel settembre 2004, decide la chiusura dello stabilimento di Pedavena.
In seguito a questa decisione i lavoratori della fabbrica si sono
mobilitati affinché si evitasse la chiusura dello stabilimento,
coinvolgendo anche i maggiori sindacati, il sindaco di Pedavena e
personalità come Beppe Grillo.
In seguito alla presentazione di circa 54.000 firme (cartacee e digitali) e all'interessamento addirittura del Parlamento Europeo, i lavoratori insieme a tutti i cittadini di Pedavena ottennero, il 10 gennaio 2006, la riapertura dello stabilimento.
Da quella data la Birra Pedavena è di proprietà del gruppo Birra Castello S.p.A. di Udine e ritorna ad essere una birra 100% italiana.
È una birra che ha gradazione alcolica di 5%. Caratterizzata da gusto equilibrato e armonioso con una tenue nota di luppolo, con schiuma persistente, e lucente colore dorato.
Viene prodotta esclusivamente con l'acqua oligominerale dei Monti Porcilla e Oliveto ai piedi delle dolomiti bellunesi.
È disponibile in vari formati da 33, 50, 66 cl e 5 litri.
- In occasione del centenario della fondazione dell'azienda venne prodotta una speciale birra di tipo lager, non filtrata, con gradazione alcolica di 4,8%, a bassa fermentazione. La birra del Centenario è tuttora disponibile in esclusiva presso il locale Birreria Pedavena adiacente alla Fabbrica.
- Molto simile alla birra del centenario è la birra Pedavena "Prima Cotta",
che prevede due fermentazioni diverse, di cui la seconda avviene a
temperature più basse, e tempi molto lunghi di maturazione.
- Un'altra birra prodotta dallo stabilimento di Pedavena è la "Birra delle Feste", una doppio malto a bassa fermentazione, dall'alta gradazione alcolica (7,1%) e dal colore ambrato
- Il birrificio Pedavena è stato scelto come fornitore per la birra a marchio Coop che ne garantisce una produzione notevole anche in volumi.
- La birra Coop di Pedavena è disponibile anche nella versione analcolica.
La birra va in Cina
Non c’è solo il vino italiano che guarda all’enorme mercato cinese.
Anche la birra made in Italy sta muovendo passi importanti per piantare
bandierine oltre la Grande Muraglia.
Lo sta facendo con ottimi
risultati, ad esempio, Birra Castello, che ha tra i suoi marchi anche la
storica Pedavena e la “agricola” Birra Dolomiti, fatta con orzo locale,
coltivato ad hoc nei terreni della Valbelluna. risultato dell’incrocio
tra qualità, territorialità e lungimiranza nelle politiche di export,
una crescita in vistosa controtendenza del 20% del fatturato complessivo
e il taglio del traguardo del milione di litri prodotti.
A corollario, e
per ribadire l’importanza delle radici e della filiera integrata locale
– che permette di seguire e tracciare direttamente ogni tappa della
produzione, dalla semina del cereale al varo della bottiglia – ecco
anche i successi di Pedavena, Dolomiti e Castello in due paesi super
birrari come Asutralia e Stati Uniti.
Una frana di
grandi dimensioni si è staccata attorno alle 15.20 dal versante nord
ovest del monte Civetta.
Un testimone, che ha assistito all'evento, ha
lanciato l'allarme al 118.
Sul posto è stato inviato l'elicottero del
Suem di Pieve di Cadore per effettuare una ricognizione e verificare
l'eventuale presenza di persone coinvolte.
Durante il sopraluogo della zona interessata dalla frana, il cui
distacco è avvenuto 400 metri circa sopra lo zoccolo basale, sulla
parete a destra della Cima Su Alto, sono state individuate delle tracce
di escursionisti di passaggio, ma è stato escluso il coinvolgimento di
sciatori.
A Parigi e in tutta la Francia ecco la festa del vino novello .
Il Beaujolais Nouveau è un popolarissimo vino novello rosso francese,
prodotto a Beaujolais, non lontano da Lione.
La moda del Beaujolais Nouveau, ha da tempo oltrepassato i confini francesi.
A partire dalla mezzanotte del terzo giovedì
di novembre di ogni anno il Beaujolais Nouveau viene spedito in tutto
il mondo per accontentare tutti coloro che vogliono togliersi il
capriccio di bere questo vino nuovo.
Se siete a Parigi in questo periodo, soprattutto il terzo giovedì di
Novembre ed il week-end che segue, noterete che moltissimi bar e bistros
della capitale francese inviteranno ad assaggiare il Beaujolais con cartelli ed insegne appese fuori e dentro il locale: "Le Beaujolais Nouveau est arrivé"
Entrate e chiedete subito una bottiglia di Beaujolais, non ve ne pentirete!
Per la 15esima edizione del calendario Campari la bellissima Uma Thurman sarà, ritratta dal famoso fotografo di moda Koto Bolofo.
Attraverso il suo obiettivo vuole narrare le Worldwide Celebrations.
Il fil rouge fra i 12 scatti sono le feste più celebri e importanti intorno al mondo.
Dall’Hanami giapponese dedicata alla fioritura dei ciliegi al Réveillon,
il Capodanno brasiliano: queste 12 foto sono un gioioso tour tra i 5
Continenti. Un viaggio che passa sempre, nel caso di Campari, anche per
lo stile creando ogni volta qualcosa che è molto più di un semplice
calendario: un autentico oggetto di collezione anche dal punto di vista
del costume e della moda.
Non a caso dietro le scelte di styling di
questa edizione si nasconde una delle stylist più celebri di Hollywood: Anna Bingemann.
Costumista per film come Vanilla Sky, è lei l’artefice dei cambi di
look di celebrities come Rachel Weisz, Claire Danes e Naomi Watts. Ed è
lei che cura personalmente lo stile di Uma Thurman, non solo per il
calendario Campari in cui ha dato un tocco very red a ogni look,
utilizzando creazioni di Versace, Stella McCartney e Chopard.
Ed ecco cosa ha raccontato in questa intervista esclusiva al giornale Elle Italia, tra ispirazioni fashion, i segreti di moda di Uma Thurman e alcuni suoi preziosissimi consigli in chiave what to wear.
Da quanto tempo collabori con Uma Thurman?
Da 7 anni
Come è stato lavorare al calendario Campari?
Un
progetto fantastico, abbiamo lavorato insieme per 6 giorni nel sud
della Francia e Koto Bolofo è stato magnifico, è il tipo di fotografo
che può trasmettere un pizzico di magia a ogni scatto. Probabilmente è
il miglior lavoro che abbia mai fatto da molti anni a questa parte. Sono
stata in grado di dare molto spazio alla mia creatività, più di ogni
red carpet.
Quale è stata l’ispirazione di moda per questo
calendario Campari e che tipo di donna hai voluto rappresentare con le
tue scelte di look?
Per ogni mese del calendario abbiamo
scelto uno stilista che avrebbe rappresentato un particolare stile e un
particolare momento della moda. Ho quindi ricercato designer che con le
loro collezioni e il loro DNA potessero raccontare bene quello stile e
quel particolare evento da rappresentare nell’immagine.
Ogni mese,
infatti, abbiamo celebrato una festa che identificasse un Paese. Per
esempio per l’Australia abbiamo scelto la Melbourne Cup (ndr: la più
importante corsa di cavalli in Australia) e in quel caso è stato
addirittura costruito un campo a grandezza naturale. A dire il vero
quasi più grande. Ho lavorato moltissimi anni con Versace e loro sono
stati estremamente gentili, abbiamo fatto un paio di prove e lo scatto è
venuto fuori come uno dei più belli che vedrete. Sono tutti
straordinari, ma questo è meraviglioso, uno scatto dall’effetto intenso e
drammatico.
Quali sono i pezzi forti del guardaroba e dei look che hai creato per Uma Thurman?
I
corsetti. Come dicevo, abbiamo lavorato a stretto contatto con Versace e
il brand ha realizzato dei pezzi veramente bellissimi per il
calendario. Quello che hanno disegnato per lo scatto dedicato agli USA e
ispirato al Carnevale di New Orleans è meraviglioso. Hanno fatto un
lavoro straordinario con i corsetti.
Raccontaci, c’è stato qualche episodio curioso e divertente quando eravate al lavoro per il calendario?
No non è successo nulla di strano, ma lavorando ci siamo divertiti moltissimo.
Passando,
invece, a qualche consiglio di stile per le nostre utenti/lettrici…
Quali sono secondo te i pezzi chiave che ogni donna dovrebbe avere nel
suo guardaroba?
L’intimo perfetto e una giacca nera a cui abbinare tutto
I tuoi stilisti preferiti?
Versace è sempre uno dei miei preferiti
Qual è l’accessorio vincente in ogni look?
Le scarpe sono i migliori accessori per una donna
Cosa indossare per una serata speciale?
Se
non vuoi indossare un abito da cocktail, la scelta può ricadere su un
favoloso tailleur con pantaloni. Penso sia una delle scelte più cool per
questo autunno inverno.
Che look consiglieresti per l’ ufficio?
Una giacca in seta con spalline accennate da abbinare a una gonna aderente al ginocchio oppure con pantaloni ampi.