sabato 31 gennaio 2009
A Rovigo la mostra Art Déco
Mascolina o bajadera, essenziale o seducente, l’epoca che ha declinato l’eterno femminino
Art Déco. Arte in Italia 1919-1939
Rovigo, raccontando il mondo del Déco italiano tra il 1919 e il 1939 (quello insomma tra le due guerre), rende omaggio all’«eterno femminino». Trasformato in una sorta di collante capace di coagulare attorno a sé il gusto di un’intera epoca, ma anche il nuovo sentire delle avanguardie (a cominciare dal Futurismo).
Non a caso, dunque, il simbolo della mostra di Palazzo Roverella è il ritratto di Wally Toscanini, vera e propria icona del gusto del suo tempo, vestita alla maniera della Regina di Saba in un quadro di Alberto Martini (con tanto di copricapo a raggiera intarsiato di perle che potrebbe tranquillamente aver ispirato generazioni di Wande Osiris).
Non a caso, accanto a lei, sfilano (tra le altre), la «Soubrette » di Camillo Geranzani, la «Signora» ritratta da Marcello Dudovich, la «Giapponese » di Anselmo Bucci.
Non a caso ci sono le donne di Coco Chanel e quelle di Poiret «Le Magnifique».
"Da una parte" spiega Francesca Cagianelli curatrice con Dario Matteoni dell’esposizione "c’è quella essenziale e un po’ mascolina, dall’altra c’è quella che sembra volersi ispirare alle bajadere e che tanto ama gli atteggiamenti teatrali. Ma non esiste contraddizione, sono in fondo due facce dello stesso viaggio attraverso la modernità".
D’altra parte il Déco rappresenta da sempre, quasi per definizione, un grande crogiolo di idee, sollecitazioni, spunti, un momento della storia dell’arte davvero affascinante e «che in Italia non è ancora stato del tutto indagato».
Da qui nasce la sfida. «Dopo esserci occupati della Bella Epoque, quest’anno ci siamo dedicati a un "momento successivo", il Déco appunto, inteso non soltanto comemovimento artistico, ma piuttosto come "gusto collettivo", come "spirito del tempo" — chiarisce Matteoni, critico e storico dell’arte —.
Volutamente ci siamo soffermati non sul consueto filone delle arti applicate ma su pittura e scultura. Con due eccezioni: le porcellane di Gio Ponti per Richard Ginori e i vetri di Vittorio Zecchin». Allo stesso Ponti (presente con il mondo fantastico della sua «Velesca » e del suo Circo, con la sua Conversazione Classica e le Passioni prigioniere), a Fratta Polesine, sarà invece dedicato un approfondimento («per appunti» dicono gli organizzatori) della sua attività di designer.
Si passa così (nelle undici sezioni di Palazzo Roverella), da Galileo Chini ad Aristide Sartorio, da Arturo Martini a Elisabeth Chaplin, da Primo Conti a Ferruccio Ferrazzi, da Thayaht a Depero («con il suo geometrismo estremo»), da Umberto Brunelleschi («che traghetta le esuberanze floreali del liberty verso la "leggerezza" del déco»), da Balla a Prampolini, da Fillia a Djulgheroff, dalla metafisica di Casorati al monumentalismo di Sironi, da Campigli a RAM, da Libero Andreotti a Romano Romanelli, da Adolfo Wildt a Duilio Cambellotti.
Il tutto raccontato con «tecniche nuove» come quei pochoirs (svolta grafica del déco) che, raccolti in quaderni e album, finiranno per trasformarsi in veri e proprimanuali di bon ton. E che vedono protagonista principale (l’uomo in fondo resta un accessorio di contorno) ancora una volta la donna. Agghindata di boa (talvolta un po’ «sfioriti») e bigiotteria varia, di «baschetti geometrici» e di cappelli tagliati alla garçonne per inseguire un’altra modernità.
«Perché—spiegano i curatori — la "nuova" donna alla continua ricerca di una divisa, di una moda che le consenta di riaffermare la propria personalità». Forse per questo, tra le labbra, stringe l’immancabile sigaretta (naturalmente con bocchino, magari di madreperla). Il déco non è anche lo strumento per riaffermare, quindi, una nuova consapevolezza «al femminile».
E se la donna degli anni Venti e Trenta resta, sempre e comunque, al centro del desiderio maschile, allo stesso tempo sembra scoprire «di poter essere protagonista attiva della nuova società». Una donna moderna e soprattutto diversa. Quella stessa che si ritrova nello sguardo dell’ «Orizia agli specchi» (Ferrazzi), della «Mannequin» (RAM), della «Giulietta en coulotte de cheval» (Cavaglieri).
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