Ho scoperto, vagando su internet, che a San Vito lo Capo, in Sicilia, ogni anno si festeggia il festival del cous cous.
Secondo la leggenda, anche se le versioni sono molto contrastanti, il cous cous sarebbe nato per consolare il re Salomone che aveva il cuore distrutto a causa dell’amore non corrisposto della regina di Saba.
Più probabile la sua origine tra le popolazioni berbere del Nord Africa, che hanno cominciato a cuocere al vapore delle pappe di cereali.
Se il passato del cous cous resta un mistero, il presente di questo piatto prelibato e versatile è glorioso.
Granata, assessore al Turismo di San Vito lo Capo, dice “il festival è un grande impegno per noi, perché non si limita certo ai giorni della manifestazione, ma ci tiene impegnati per tutto l’anno. Anche solo per tenere i contatti con i giornalisti e le delegazioni”.
“Il festival ha dato visibilità alla cittadina di San Vito”, spiega l’assessore, “e la mia città, una volta che viene scoperta, si pubblicizza da sola.
Il mare è pulito, il posto bellissimo. Chi ha conosciuto San Vito grazie al Festival non ha smesso di tornarci, durante tutto l’anno. Ogni giorno si parla di crisi del turismo in Sicilia, ma noi non abbiamo nulla di cui lamentarci”.
Il festival è nato nel 1998, da un’iniziativa privata subito sposata dalle istituzioni di San Vito.
Nel piccolo paese in provincia di Trapani s’incontrano delegazioni provenienti da tutti i paesi nei quali la cultura del cous cous è radicata: Algeria, Marocco, Tunisia, Palestina, Israele, Costa d’Avorio, Senegal e Italia.
Già l’Italia, perché negli anni la condivisione dello spazio mediterraneo ha creato uno scambio culturale e quindi anche gastronomico infinito.
Così anche nel nostro Paese si è diffuso l’amore per questo piatto gustoso.
Un rapporto intenso. Questo rapporto trova in San Vito lo Capo la sua capitale.
Un rapporto intenso. Questo rapporto trova in San Vito lo Capo la sua capitale.
Ma come vive un piccolo paese come San Vito tutta questa visibilità? Come si rapporta la popolazione locale con le delegazioni che arrivano da ogni parte del Mediterraneo e non solo? “Ogni anno l’entusiasmo è alle stelle”, racconta Granata, “soprattutto le donne di San Vito si fanno coinvolgere e si mescolano alle delegazioni per dare una mano.
Il clima è disteso e qui i cuochi israeliani e quelli palestinesi vivono fianco a fianco durante la manifestazione in allegria”. Questi rapporti sopravvivono alla durata della manifestazione? “Certamente, qui ormai siamo amici e così pensiamo alle delegazioni che vengono a prendere parte al concorso.
Le faccio un esempio: se vada in vacanza in Tunisia, mi viene assolutamente naturale chiamare i membri della delegazione di quel Paese che per me sono amici. Mi creda: quando il festival finisce, più di un membro delle delegazioni ha le lacrime agli occhi quando saluta tutti prima di partire”.
La manifestazione consiste in una serie di degustazioni che alla fine, a insindacabile giudizio della giuria qualificata, premiano il miglior cous cous. “Ma le iniziative non si esauriscono con la gara”, racconta l’assessore, “visto che sono previste una serie d’iniziative collaterali. Per esempio, in collaborazione con Arezzo Wave, abbiamo tutta una sezione dedicata alla world music. Perché qui, più che il cous cous, si celebra la multiculturalità”.
Il festival ha avuto un grande successo negli anni e qualcuno ha provato a esportare l’idea. “Molti ci hanno contattato, come il comune di Vercelli per una sorta di festival del gusto. Vedremo, ma le confesso che San Vito è molto geloso del suo festival!”, sorride l’assessore, e visti i risultati ha ragione lui.
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