Il 24 gennaio 2015 ricorre il dodicesimo anniversario della morte dell'Avvocato.
Così era comunemente chiamato Gianni Agnelli, il principale azionista Fiat, di cui comunemente veniva indicato come il padrone.
Nipote del fondatore omonimo della Fiat, Giovanni Agnelli, figlio di Edoardo morto prematuramente in un incidente aereo nel porto di Genova, ereditò l'industria più grande d'Italia.
Dovendo prendere le redini dell'impresa, ebbe un colloquio con l'allora presidente, Vittorio Valletta.
Sembra che Valletta gli abbia fatto presente che a comandare la Fiat non potevano essere due.
Quindi, prendere o lasciare: o Valletta o lui.
Se ci fu veramente questo colloquio, la decisione di Agnelli di lasciare comandare Valletta fu tra le più sagge della sua vita.
Nel ventennio di Valletta, la Fiat risorse dalle distruzioni della guerra, divenendo quel colosso industriale che tutti conosciamo.
Agnelli prese il comando dell'impresa dopo Valletta, nel 1966, e lo mantenne fino all'età di settantacinque anni, secondo lo statuto della società.
Con Agnelli presidente si alternarono amministratori e direttori di diverso valore, e si registrarono problemi finanziari, sindacali e industriali veri e propri.
L'internazionalizzazione dell'azienda fu una costante volontà di Agnelli, ma ci riuscì parzialmente.
Sta riuscendo dopo la sua morte, con Sergio Marchionne amministratore delegato. L'Avvocato iniziò il suo ruolo di presidente della Fiat quando aveva 45 anni.
Lo tenne per trent'anni.
Durante il suo periodo, a parte gli utili che gli venivano prima, durante e dopo, non si può dire che la Fiat si ingrandisse, anzi é stato un periodo di trasformazione non sempre ben governata.
Il governo libico di Muammar Gheddafi assunse una notevole partecipazione azionaria nell'industria di Torino.
I contrasti tra gli Stati Uniti e il governo libico, che sfociarono nel bombardamento di Tripoli nel 1986, influirono sulle esportazioni da Torino verso gli Usa.
Le commesse statunitensi diminuirono, e Agnelli dovette ricomprare le azioni libiche per ricuperare il mercato americano, forse perdendoci nella complessiva operazione. Intanto creava delle società finanziare per unificare in un unico portafoglio i pacchetti azionari dei vari membri della famiglia, diventati numerosi.
Quando lasciò la carica, la sua impresa si trovava in cattive acque, e si temette per il suo futuro.
Per fortuna, con l'arrivo di Marchionne sembra che le sia stata instillata una nuova vitalità. La giovinezza spensierata dell'Avvocato si protrasse a lungo fino a quando divenne presidente del gruppo, nel 1966. Inseguì, o si fece inseguire, da molte donne, tutte della più alta società.
Probabilmente non conobbe l'amore, se é vero che ripeteva che "l'amore é della servitù".
Sposò la nobildonna Marella Caracciolo, da cui ebbe due figli, Edoardo e Margherita.
Il primo si é suicidato gettandosi da un viadotto dell'autostrada.
La seconda, dopo la morte del padre, ha intentato una causa ereditaria, dalla quale sono venute notizie di capitali trasferiti dall'Avvocato all'estero, per sfuggire il fisco (beato lui se c'é riuscito).
E' stato molto amato dagli italiani, indipendentemente dal suo valore o disvalore come industriale.
Lo amavano vederlo assistere alle partite della Juventus.
La ricchezza non fece ombra al suo mito, perché non scese in politica, anche se nominato da Cossiga senatore a vita, non lasciò tracce nell'aula del senato, e si tenne equidistante dalla destra e dalla sinistra.
Anzi affermò, a proposito di un governo Prodi, che in Italia le riforme le poteva fare solo la sinistra.
Con quest'intelligente dichiarazione bloccò le critiche da sinistra e non poteva essere attaccato dalla destra perché era un grosso industriale.
Di lui si ricordano due eccentricità, che se non fossero state sue, si sarebbero dette stupide: l'orologio portato sopra il polsino della camicia, e la cravatta portata sopra il pullover.
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