domenica 19 giugno 2016

De la mythique Mini Cooper à la nouvelle version néo-rétro SD 5 portes





Pour commencer il y a eu la classique Austin Mini Cooper
Impossible de ne pas la voir sur un parking. 
Depuis sa naissance, la Mini est la préférée des plus grandes célébrités, comme cette Austin Cooper S Mini psychédélique ayant appartenu au Beatle George Harrison
Initialement pensée en coloris noir métallique, la star a fait repeindre la voiture en ajoutant des scènes mystiques indiennes inspirées du célèbre livre « Tantrum Art ». 
L’artiste a également fait peindre la façade de sa maison dans le même style – pour le plus grand bonheur de ses voisins, c’est certain. 
Jetez un coup d’œil au modèle funky à quatre roues dans le film du groupe de 1967 « Magical Mystery Tour ».


Et maintenant il y a la nouvelle Austin Mini Cooper SD 5 portes



Tout d’abord, il y a le style, élément capital sur une Mini. 
Et en version 5 portes, les avis sont assez opposés : soit vous craquez complètement pour ces portes miniatures à l’arrière et l’empattement long qui donne un certain « sérieux » à la voiture, soit vous maudissez cette fichue Mini qui n’en finit pas de rallonger et qui porte de plus en plus mal son nom ! 
Avec environ 4 mètres de long, cette Mini 5 portes n’a plus grand-chose à voir avec la petite puce du siècle dernier… 

Mais dans les versions Cooper S et SD, il faut bien avouer que les gimmicks de style (double échappement, touches chromées, écopes d’air agrandies) lui donnent une allure assez craquante…

Les aspects pratiques

Avec cette version, Mini entend s’adresser aux familles.
Du côté des bagages, avec 278 litres disponibles banquette en place, cette Mini se situe convenablement face aux véhicules de même taille.
Pour les passagers arrière, l’histoire se corse un peu : si l’habitabilité est en progrès avec une belle garde au toit et un espace aux jambes acceptable, ne comptez surtout pas installer un cinquième larron.



La Mini à 5 portes reprend les motorisations de sa sœur à 3 portes. 
La boîte automatique à 6 rapports est une merveille de réactivité, ce qui participe aux performances de premier plan.

Accélérer est très agréable : réactivité et vigueur impressionnantes !
Voilà qui donne un esprit très « grande routière » à cette Mini ! Hélas, en dépit d’une double sortie d’échappement très prometteuse, les claquements du diesel n’ont rien de suggestif.
A ce titre, le 3 cylindres de la version Mini Cooper D paraît plus feutré.

Dans le pedigree de Mini, on retrouve une victoire au Monte Carlo en… 1967 !

Reste à voir si la nouvelle venue, en dépit de son empattement long, La nouvelle SD est toujours une adepte de la marche très rapide sur petites routes sinueuses.

Un plaisir facile et accessible, seulement tempéré par un freinage plutôt médiocre.
Même si ce gros diesel plombe un peu le train avant, la vivacité reste à l’ordre du jour.


Le prix : pour 16 centimètres et deux portes, comptez 1.000 euros de plus.
Ce qui ne paraît pas le bout du monde, sauf si l’on jette un œil sur le tarif final : près de 30.000 € pour une Mini Cooper SD à boîte auto sport !
Et ce, sans compter les d’options habituelles qui donnent un exemplaire d’essai à environ… 40.000 € !

Et à ce prix-là, il n'y a ni l’affichage tête haute, ni le toit ouvrant !
A la pompe, cette Mini réclame une moyenne de 6,5 l/100 km.
Ce qui est très correct pour les performances.
Sans plus

Conclusion
Cette nouvelle Mini est plus pratique, plus habitable et aussi très agréable.
Heureusement, la flamme est toujours présente, avec un comportement réjouissant et, dans cette version Austin Mini Cooper SD, une mécanique pleine de punch !
Dommage que la tradition Mini signifie également un tarif élitiste…

Les qualités
Plus pratique
Plus confortable
Performances
Excellente boîte auto
Comportement routier sympa
 
Les moins
Tarif élitiste/Options chères
Équipement de série
Accès aux places arrière
Sonorité moteur
Freinage moyen


 

sabato 18 giugno 2016

Buoni consigli per mettersi al running con piacere.




Chi ben comincia è a metà dell’opera . 
Ecco un proverbio veramente appropriato per definire i primi momenti fondamentali da attraversare, per diventare un corridore esperto.

Sascha Wingenfeld, runner e coach appartenente al Runtastic Team lo conferma: “Il primo scalino, quando si passa dalla camminata alla corsa, è sempre il più difficile. 
È un nuovo inizio e si deve dare al corpo il tempo necessario per abituarsi. 
Per raggiungere gli obiettivi, evitando di cadere nei tipici errori del principiante, ci sono delle linee guida da rispettare”. Anche se, linee guida permettendo, correre, si sa, fa parte del nostro DNA.


1. Alternare corsa e camminata. Il modo migliore per allenarsi a correre lunghi percorsi, minimizzando il rischio di traumi e lesioni ortopediche, è farlo con gradualità e con intensità crescente. “Si può, per esempio, la prima volta fare jogging per tre minuti e camminare per due per un totale di 20/25 minuti. La seconda, jogging per 4 minuti e camminata per due (totale di 30 minuti). E così via fino a raggiungere, all’ottavo allenamento, 10 minuti di corsa e due di camminata per 45 minuti. 
Leggi qui il piano completo.
2. Piccole distanze per grandi obiettivi. Chi va piano va sano e va, soprattutto, lontano. È il secondo proverbio utile a chi vuole diventare un bravo corridore. Cominciare a correre seguendo un ritmo di allenamento graduale, senza farsi prendere dall’entusiasmo degli inizi, senza sovraccarichi e fatica, incrementando lentamente la velocità e allungando poco alla volta il percorso, è ciò che permette al corpo di abituarsi e a ogni muscolo di risvegliarsi, aumentando le sue capacità. E a noi permette di apprendere le tecniche di corsa migliori.
3. La varietà è ricchezza. Non credere che, per essere degli abili runner, bisogni correre, correre, correre e basta. 
Per non annoiarsi, ripetendo sempre la solita attività sportiva, incrementare il sistema cardiovascolare e tonificare quei muscoli che ci consentiranno di perseguire prestazioni sempre migliori occorre alternare la corsa ad altri tipi di sport. 
Il nuoto, per esempio, è un valido alleato della corsa: aumenta coordinazione, flessibilità e resistenza. 
Per intensificare il consumo di calorie ci si può dedicare, invece, al Tabata Training: un’attività ad alta intensità, nata in Giappone, che consiste in squat, piegamenti ed esercizi vari.


Parlare correndo è il modo migliore di bruciare più calorie.
Chiaccherare è la condizione ideale che indica la giusta intensità di allenamento da tenere.
Processo metabolico che dura fino a tre ore dopo il termine della corsa. Per perdere più grammi possibili ci si può affidare anche a un trucco alimentare: ingerire, in quell’intervallo di tempo post allenamento, solo liquidi e una piccola porzione di proteine. 

Stesso obiettivo lo si raggiunge correndo al massimo per 40 minuti, la mattina, a stomaco vuoto oppure dopo una tazza di tè verde o un caffè, bevande che stimolano il metabolismo. 
Per stimolare i muscoli del corpo si può associare, una volta alla settimana, un allenamento ad alta intensità. 
La qualità del sonno e della dieta sono altri fattori importanti.

Nonostante l’entusiasmo, nonostante la costanza di allenamento e gli obiettivi raggiunti, dopo qualche settimana la motivazione comincia a calare. 
È in quel preciso momento che la mente, e il suo innegabile potere, deve entrare in gioco. 
Più la mente immagina che qualcosa si realizzi, più cresce la probabilità che quel qualcosa possa accadere davvero. 
Così, concentrandosi sugli obiettivi (che siano prestazioni sportive o perdita di chili) e immaginando il loro raggiungimento, sarà più facile non perdere la motivazione. 



Sono di fondamentale aiuto alla mente anche questi quattro trucchi
1) allenarsi con un amico
2) cambiare, di volta in volta, percorso e luogo dell’allenamento; 
3) scegliere la musica giusta, quella che stimola di più; 
4) ripetere incoraggianti frasi fatte (leggi qui quali sono le migliori dieci consigliate da Runtastic, da quella pronunciata da Nelson Mandela a quella di Walt Disney).
Se un giorno non si ha il tempo per allenare il corpo conviene far lavorare la mente
I ricercatori hanno scoperto, infatti, che soltanto al pensiero di flettere i propri muscoli il cervello manda loro dei segnali. 
Impulsi che contribuiscono, in piccola parte, alla loro crescita. 

Ci sono sempre più donne che per varie ragioni si sono messe al running.
Le incontriamo lungo i percorsi, nei parchi, a volte in piena città..
Qui sotto una piccola lista delle tipologie più frequenti :



La fashionista
Perfetta dalla pettinatura alle scarpe (tecnicissime e di gran marca). Fra l'altro tutto è di marca, dalla maglietta al calzoncino, dal calzino agli accessori. Trucco leggero, smalto nature, playliste perfetta..insomma impeccabile.



La iper-tecnologica
Sempre connessa: smartphone su un braccio, per registrare percorso attraverso qualche app. Cardiofrequenzimetro con GPS, altimetro, barometro e capacità di fare anche il caffé, se opportunamente settato. Ovviamente tiene un diario dei propri allenamenti. Che condivide attraverso i social e di cui discute con il proprio coach (virtuale).



La green runner 
Abbigliamento in cotone biologico, ecoresponsabile. 
Naomi Klein é la sua musa, il barefoot il suo sogno. Corre nella natura, la mattina all'alba. Mangia solo cibi a chilometro zero e dopo la corsa beve frullati e bevande detox, bio, ovviamente.






La runner per caso
Si mette alla corsa prima dell'estate perché ha letto i consigli del suo magazine preferito che afferma che la corsa è il metodo ideale per sfoggiare i nuovi costumi della stagione sulla spiaggia e passare delle vacanze senza complessi. Non sa cosa sia una scarpa tecnica, e pensa che sudare molto fa bene. Quindi corre come una matta e il giorno dopo non puo' più muovere una gamba.






giovedì 16 giugno 2016

Dove un miliardario italiano puo' attraccare il suo mega yacht ?

 

 

Miliardari si nasce, o si diventa..

Uno dei segni esteriori di ricchezza è, fra l'altro, lo yacht. 

Se è super o mega, ancor meglio !

E uno yacht deve attraccare nei porti più in vista del Mediterraneo, per godersi delle belle vacanze con gli amici, la modella, la donna del cuore..

Qui c'è una lista dei 10 porti ai quali bisogna attraccare, assolutamente !

 

1. Campania | Marina Grande, Capri

 

Anni cinquanta e dolce vita

È dagli anni Cinquanta che l’isola di Capri è sinonimo di eleganza e esclusività. 
Il porto, all’interno di un’insenatura naturale, si trova nella località di Marina Grande, lontano dalla storica piazzetta, che è comunque facilmente raggiungibile con autobus, taxi e funicolare.
Arrivati con la propria imbarcazione oppure con il traghetto, una passeggiata al porto è obbligatoria.
Per i proprietari di un super-yacht approdare a Capri può essere difficile perchè esistono solo dieci posti e il costo può arrivare fino a 2900 euro giornalieri.
Da non perdere, per la varietà di barche presenti, la Rolex Capri Sailing, ovvero l’annuale gara che si tiene nel mese di maggio e che prevede 4 giorni di regata nelle acque turchesi  di Capri.


2. Liguria | Portofino

Jet set e raffinatezza

Tra i borghi più incantevoli delle Cinque terre, Portofino conserva la tipica architettura ligure, con le caratteristiche case dai colori pastello. 
Amato dai turisti raffinati ed esigenti, è diventato meta del jet set internazionale. 
Sono passati da qui, a bordo dei loro lussuosissimi yacht, Rex Harrison e Liz Taylor, mentre altri, tra cui i duchi di Windsor, Greta Garbo e John Wayne, hanno soggiornato all’Hotel Splendido, affacciato sulla piccola baia.
Il porto rispecchia le dimensioni del comune (il più piccolo delle Cinque Terre): è costituito da un molo di circa 300 metri, con banchine dotate di bitte e di anelli. 

Esistono sei pontili destinati all’ormeggio di grandi imbarcazioni e di yacht il cui costo giornaliero è di circa 2350 euro.
Per gli appassionati d' imbarcazioni a vela in maggio c'è il Portofino Rolex Trophy, dedicato interamente alle barche d’epoca, tutte rigorosamente in legno.


3. Francia | Saint Tropez

Divi e bling bling

Meta mondana per eccellenza, Saint Tropez è il porto più amato dai miliardari, dagli artisti, dagli attori e dalle modelle. 
Fu proprio una diva del cinema, Brigitte Bardot, che negli anni Cinquanta fece del porticciolo sulla Costa Azzurra una vera e propria icona. 
In giugno si svolgono due importanti eventi legati al mondo della nautica: l’International Polo Cup e la Giraglia Rolex Cup
Quest’ultima, organizzata dallo Yacht Club Italiano in collaborazione con la Société Nautique de Saint-Tropez, prevede una serie di regate inshore nel golfo di St-Tropez e una regata di altura tra l’isolotto della Giraglia, l’estremità della Corsica e San Remo.
A Saint Tropez i megayacht sono i benvenuti: il porto è uno dei principali luoghi di scalo in tutto il Mediterraneo e ne può ospitare fino a 30 (tariffa media giornaliera circa 1300 euro).

Per gli altri tipi d'imbarcazione, meno lussuosi, esistono circa 800 ormeggi a disposizione.

4. Montecarlo | Porto Hercule

 La casa dei miliardari 

Il principato di Monaco è il domicilio preferito dei miliardari di tutto il mondo. A Montecarlo, si svolgono una serie di appuntamenti storici da non mancare – dal Rally (gennaio) al Gran Premio di Formula Uno (maggio) – e il Porto Hercule è la meta preferita di molti proprietari di grandi e lussuose imbarcazioni. 
Purtroppo sono solo una ventina i posti riservati ai maxi yacht che per ormeggiare nel porto, spendono intorno ai 1200 euro al giorno. 
Per farsi un’idea di quello che può offrire questo porto, bisogna andarci in settembre, quando si svolge il Monaco Yacht Show : una kermesse interamente dedicata ai charter esclusivi e ai super e mega yacht.

5. Sardegna | Porto Cervo

  Lusso italiano e esclusività  

Fondato dall' Aga Khan nel 1960, Porto Cervo è una delle mete preferite dei proprietari di yacht. 
Ben 60 i posti a loro disposizione per una tariffa media giornaliera che si aggira intorno ai 2500 euro.
Da non mancare l’appuntamento con la Maxi Yacht Rolex Cup, dal 5 al 9 settembre. 

L’evento, organizzato dallo Yacht Club Costa Smeralda, prevede la partecipazione di circa 45 imbarcazioni tra i 18 e i 24 metri (più di 30 metri per la categoria Supermaxi), selezionate tra i migliori yacht in circolazione, per tecnologia e rifinitura. 
Alla fine di giugno, da non mancare, la Deluxe Porto Cervo Rhapsody : un weekend di lusso tra golf, sfilate di moda, auto, gioielli, orologi, raffinati oggetti d’arredamento e naturalmente splendidi yacht.

6. Francia, Costa Azzurra | Cannes

 La città della festa del Cinema

La magnifica Costa Azzurra ha un porto famoso in cui vale la pena d'attraccare.  
Affollatissima durante il Festival del Cinema in maggio, Cannes è molto frequentata durante tutta la stagione estiva sia da turisti che da VIP, che fanno la spola tra la Croisette, lo yacht e i party esclusivi nelle prestigiose ville del litorale. 
In cerca di personaggi famosi, bisogna andare al Port Cantò dove sono ormeggiate sensazionali imbarcazioni (35 posti disponibili a circa 655 euro al giorno). 
Situato in prossimità del famoso Palm Beach e della Pointe Croisette, Port Cantò gode di una bella vista panoramica sulla magnifica baia di Cannes. 
Per fuggire le mondanità, si puo' salpare alla volta delle belle spiagge e calette dell’arcipelago delle Îles de Lerins.

7. Spagna | Marbella, Puerto Banús

 Caliente

Re, regine, playboy, pittori celebri...Puerto Banùs è un porto spagnolo, sulla Costa Del Sol, a una decina di chilometri dalla famosa Marbella che ha visto sfilare tutta la jet set e l'aristocrazia mondiale.
Puerto Banús può ospitare fino a 915 barche.

Per gli yacht, la lunghezza non deve essere superiore ai 50 metri di lunghezza e a 6 metri di pescaggio. 
Costo giornaliero sui 1200 euro.
A terra : buonissimi ristoranti, shopping in boutique di stilisti famosi e di marche di lusso e il calore spagnolo !


8. Sardegna | Portorotondo

 Arte, musica e mondanità

Ad un passo dal Golfo degli Aranci, Portorotondo è il frutto dell’intraprendenza dei conti veneziani Nicolò e Luigi Donà Dalle Rose. 
Nato negli anni Sessanta, Portorotondo ha un carattere più riservato di Porto Cervo. 
Numerosi gli eventi estivi legati al mondo dello spettacolo, della musica (jazz in particolare) e della danza organizzati in occasione del Festival di Portorotondo

Ormeggiare a Porto Rotondo costa molto meno che a Porto Cervo: in alta stagione, la tariffa giornaliera per gli yacht 50×10 non supera i 1600 euro.

9. Dalmazia | Marina di Šibenik

 Natura selvaggia e storia

Vale veramente la pena di salpare alla scoperta della Dalmazia e della Croazia. 
Numerosi sono i porti e i porticcioli in cui attraccare, fra i quali l'incantevole porto di Dubrovnik. 
Con una grande imbarcazione è meglio fare rotta verso la più attrezzata Šibenik
Oltre che nel porticciolo antico si puo' attraccare al Mandalina Marina Yacht Club, ideale per grandi imbarcazioni e mega yacht, con una lunghezza massima di 100 metri e un pescaggio massimo di 50 metri. 
Dispone inoltre di travelift con capacità fino a 50 tonnellate e di circa 350 ormeggi.
Šibenik non è una meta per chi è in cerca di mondanità o di VIP ma piuttosto la meta ideale per chi ama l’avventura: da qui si puo' partire per fare escursioni in una natura ancora selvaggia. 

Da visitare le vicine Isole Kornati, particolarmente frequentate da velisti e subacquei e l’incantevole borgo con la Cattedrale di San Giacomo, patrimonio dell’Unesco.

10. Spagna, Vilanova | Vilanova Grand Marina

 Il porto per eccellenza, speciale per mega e super yacht

I proprietari di megayacht hanno il loro porto, si trova a circa 30 chilometri da Barcellona, a Vilanova, vicino al Parco Naturale del Garraf.  
Un investimento di  33 milioni di euro che ha portato alla creazione del primo porto turistico nel Mediterraneo, dedicato specialmente alle grandi imbarcazioni private, mega o super yacht, tra i 25 e gli 80 metri di lunghezza. 
49 ormeggi a disposizione e il privilegio di attraccare vicino al Feadship super yacht di 60 metri, oppure all’Oceanco yacht Amevi di 80 metri. 
Inaugurato nel 2009, è uno dei porti per superyacht più avanzati d’Europa e dispone di una tecnologia sofisticata, con diversi servizi specializzati, tra cui l’eliporto per  viaggiatori esigenti.


mercoledì 15 giugno 2016

Prague et les natures mortes du grand Josef Sudek en exposition à Paris




Le Jeu de Paume présente une rétrospective du grand photographe tchèque Josef Sudek, qui toute sa vie a capté en maître les ombres et lumières de Prague et de ses alentours, de la ville, de la campagne, ou tout simplement de sa fenêtre et du petit bout de jardin devant son atelier, dans une poésie discrète.
 

Josef Sudek (1896-1976) est né à Kolín, alors en Autriche-Hongrie, à une cinquantaine de kilomètres à l'est de Prague. Il apprend la reliure tout en commençant à faire un peu de photo mais, appelé en 1915 sur le front italien, il est blessé par une grenade et on l'ampute du bras droit. 

Il doit renoncer à son travail de relieur et refuse un emploi de bureau. 

Il choisit alors d'être photographe, étudie à l’École d' État des arts graphiques de Prague et vit grâce à une pension d'invalidité et quelques commandes alimentaires.


La ville de Prague e la campagne qui l'entoure sont les sujets préférés du photographe puisque, après la guerre de 1914, il n'en a pratiquement pas bougé. Il livre la ville la nuit, à la lumière de quelques réverbères. Pendant l'occupation nazie, c'est l'obscurité de sa cour, ponctuée de quelques fenêtres éclairées, qu'il enregistre.

Sa ville, Josef Sudek nous la montre encore dans les années 1950 en vues panoramiques qu'il tire par contact, tout comme de délicats paysages ou bien de "tristes paysages" abîmés par l'industrialisation.

Pendant la Seconde Guerre mondiale, il entame sa série la plus célèbre, celle de la vue de la fenêtre de son atelier. Cet amoureux de la nature en guette le moindre souffle et toutes les manifestations, surtout au printemps. A travers la vitre, il regarde le jardin et un arbre au gré des heures du jour et des saisons. Derrière le verre, couvert de buée ou de pluie, le jardin se couvre de neige, l'arbre de fleurs. Sudek nous ouvre un monde poétique, un peu sombre et mélancolique.






L'exposition " Le monde à ma fenêtre" au Jeu de Paume invite à pénétrer l’univers de Josef Sudek, personnage discret, qui de 1913 à 1976 n’a cessé de photographier ce qui l’entoure. 

Paysages, portraits et natures mortes tous saisis dans l’instant. 

Une exposition rétrospective, près de trente ans après la dernière exposition française du photographe allant de ses premières photographies dans les années 20 à ses derniers tirages l’année de son décès en 1976.
Des photos d’une sensibilité et d’une délicatesse rares, où les plus petits détails font surface. 

Une lumière unique où les rayons de soleil transpercent la pellicule. Je ne veux montrer que les reflets exacts de la lumière que la chambre noire a captée, un travail d’instinct doublé d’une rigueur technique que Joseph Sudek n’a cessée de perfectionner tout au long de sa carrière.
Le Jeu de Paume réalise avec brio une scénographie intimiste.
On découvre au fil des séries du photographe les paysages de la rive d’Elbe, Prague pendant la nuit, l’architecture de la cathédrale Saint Guy se fragmenter en échantillons de lumière et des objets qui s’accumulent devenir des natures mortes avec Labyrinthe sur ma table.

On se glisse derrière la fenêtre de l’atelier de Josef Sudek pour contempler ses natures mortes. Une œuvre vivante qui change au fil des saisons. La buée et les gouttes d’eau qui recouvrent la vitre deviennent peu à peu des sculptures éphémères prises sur le vif. Des éléments en mouvement qui, d’un cliché à l’autre, prennent une autre dimension.  

L'exposition Josef Sudek, "Le monde à ma fenêtre", au Jeu de Paume est à l’image de Joseph Sudek, sensible et intelligente.

Josef Sudek, Le monde à ma fenêtre, au Jeu de Paume, 1 place de la Concorde, 75008 Paris.
Jusqu'au 25 Septembre 2016
Tarif 10€.

Quando Oriana Fallaci intervista Pierpaolo Pasolini a New York...







Quando Oriana Fallaci intervista il suo amico Pierpaolo Pasolini...




Le sensazioni e reazioni del poeta-scrittore-regista che nel 1966 visitava la metropoli americana, come furono raccontate dalla grande giornalista in una lunga intervista per L'Europeo: "E’ una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogni qualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia... Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare..."





" Eccolo che arriva: piccolo, fragile, consumato dai suoi mille desideri, dalle sue mille disperazioni, amarezze, e vestito come il ragazzo di un college. Sai quei tipi svelti, sportivi, che giocano a baseball e fanno l’amore nelle automobili. Pullover nocciola, con la tasca di cuoio all’altezza del cuore, pantaloni di velluto a coste nocciola, un po’ stretti, scarpe di camoscio con la gomma sotto. Non dimostra davvero i quarantaquattr’anni che ha. Per ritrovarli, quei quarantaquattr’anni, deve andare verso la finestra dove la luce si abbatte spietata sul viso e schiaffeggia quegli occhi lucidi, dolorosi, quelle guance scarne, appassite, la pelle tesa agli zigomi fino a rivelare il suo teschio. Per la stanchezza, suppongo. La notte scappa agli inviti e se ne va solo nelle strade più cupe di Harlem, di Greenwich Village, di Brooklyn, oppure al porto, nei bar dove non entra nemmeno la polizia, cercando l’America sporca infelice violenta che si addice ai suoi problemi, i suoi gusti, e all’albergo in Manhattan torna che è l’alba: con le palpebre gonfie, il corpo indolenzito dalla sorpresa d’essere vivo. Siamo in molti a pensare che se non la smette ce lo troviamo con una pallottola in cuore o con la gola tagliata: ma è pazzo a girare così per New York? È a New York da dieci giorni. È venuto pel festival cinematografico, vi davano due dei suoi film. Sono proprio curiosa di saper se l’America piace a questo marxista convinto, a questo cristiano arrabbiato, insomma a Pasolini. Dieci giorni son pochi per dare un giudizio, è ben vero, ma Orson Welles una volta m’ha detto che per capire un Paese ci vogliono dieci giorni o dieci anni: all’undicesimo giorno ti abitui e non vedi più nulla. All’undicesimo giorno, domani, riparte. L’ho pregato per questo di venire da me a bere un drink. «Whiskey?» gli chiedo. «Birra? Cognac?» «Coca-Cola» risponde. La finestra s’apre lungo una strada di grattacieli, uno accanto all’altro, uno dopo l’altro, dall’East River allo Hudson. Ti gira la testa a guardarli, ti senti in trappola come una bestia che ha sete di verde. O di silenzio. Entra, dal vetro socchiuso, l’inferno: brontolar di motori, squillare di clacson, martellare di perforatrici, sirene. La città ha acceso i termosifoni e la polvere nera ti si attacca perfino alle ciglia, rendendoti cieco. Piove, è una di quelle giornate in cui tutto ti irrita, ti nega entusiasmo. Ma lui beve con gusto la sua Coca-Cola e d’un tratto esclama: «Vorrei aver diciott’anni per vivere tutta una vita quaggiù».
«Quaggiù?! A New York?»
«È una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogniqualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia. Mi dispiace non esser venuto qui molto prima, venti o trent’anni fa, per restarci. Non mi era mai successo conoscendo un Paese. Fuorché in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare per non ammazzarmi. 

L’Africa è come una droga che prendi per non ammazzarti, una evasione. New York non è un’evasione: è un impegno, una guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti piace come le cose che piacciono, ecco, a vent’anni. Lo capii appena arrivato. Arrivai da Montréal, con il treno. Scesi a un’enorme stazione affogata nel buio, una sotterranea. Non c’eran facchini e la mia valigia pesava. Eppure andavo come se fosse leggera. Mi muovevo verso una luce accecante, in fondo al tunnel c’era una luce accecante, e quando fui fuori la città mi aggredì come un’apparizione. Gerusalemme che appare agli occhi del crociato. Non mi sentivo straniero, imparai subito a girare le strade neanche ci fossi nato: eppure non la riconoscevo. Perché nessuno ha mai rappresentato New York. Non l’ha rappresentata la letteratura: a parte le vignette di Arcibaldo e Petronilla, su New York esistono solo le poesie di Ginsberg. Non l’ha rappresentata la pittura: non esistono quadri di New York. Non l’ha rappresentata il cinema perché... Non lo so. Forse non è cinematografabile. Da lontano è come le Dolomiti, troppo fotogenica, troppo meravigliosa, e dà fastidio. Da vicino, da dentro, non si vede: l’obiettivo non riesce a contenere l’inizio e la fine di un grattacielo. Ma non è solo la sua bellezza fisica che conta. È la sua gioventù. È una città di giovani, la città meno crepuscolare che abbia mai visto. E quanto sono eleganti, i giovani, qui».
«Eleganti?!»
«Hanno un gusto favoloso: guarda come sono vestiti. Nel modo più sincero, più anticonformista possibile. Non gliene importa nulla delle regole piccolo-borghesi o popolari. Quei maglioni vistosi, quei giubbotti da poco prezzo, quei colori incredibili. Non si vestono mica, si mettono in maschera: come quando da piccola ti mettevi la palandrana della nonna. E così mascherati se ne vanno, orgogliosi, coscienti della loro eleganza che non è mai un’eleganza mitica o ingenua. Ti vien voglia di imitarli e magari li imiti perché dove puoi vestirti così? A Roma? A Milano? A Parigi? Io là ho sempre paura che la gente si volti, mi guardi. Qui non ho alcun complesso, posso andarmene vestito come voglio, senza che nessuno si volti e mi guardi. Qui invece nessuno ti turba con la sua curiosità. Ieri sulla Quarantacinquesima ho visto un uomo che stava morendo. In mano aveva un pacchetto: l’ha fissato e poi l’ha scaraventato con una tale violenza che il pacchetto s’è rotto. Chissà che c’era dentro. Dopo s’è appoggiato al muro, ha messo la testa sull’avambraccio, è scivolato piano piano per terra ed è rimasto lì a piangere. 

Anzi a morire. Senza che nessuno si fermasse a guardarlo, neanche per offrirgli un bicchier d’acqua, un aiuto. La sera avanti, poco lontano dal Metropolitan, ho visto un vecchio disteso sul marciapiede: coperto da un plaid. Accanto gli stava un ragazzo, bello, elegante come dici tu: scarpe di cuoio perfetto, calzini leggeri, pantaloni ben tagliati, un pullover favoloso. Il vecchio stringeva sul petto la mano del giovane e il suo volto era bianco, già levigato dalla morte. La gente passava e non si fermava, qualcuno rideva. Ma è male questo? O non è male il nostro fermarsi a curiosare? Non è detto che il loro silenzio sia mancanza di pietà, forse è una forma superiore di pietà. La pietà di non avvicinarsi, non curiosare...».
L’America è proprio una donna fatale, seduce chiunque. Non ho ancora conosciuto un comunista che sbarcando quaggiù non abbia perso la testa. Arrivano colmi di ostilità, preconcetti, magari disprezzo, e subito cadon colpiti dalla Rivelazione, la Grazia. Tutto gli va bene, gli piace: ripartono innamorati, con le lacrime agli occhi. Sì o no, Pasolini? Lui scuote le spalle, sdegnoso.
«Io sono un marxista indipendente, non ho mai chiesto l’iscrizione al partito, e dell’America sono innamorato fin da ragazzo. Perché, non lo so bene. La letteratura americana, tanto per fare un esempio, non mi è mai piaciuta. Non mi piace Hemingway, né Steinbeck, pochissimo Faulkner: da Melville salto ad Allen Ginsberg. L’establishment americano non ha mai potuto conciliarsi, ovvio, con il mio credo marxista. E allora? Il cinema, forse. Tutta la mia gioventù è stata affascinata dai film americani, cioè da un’America violenta, brutale. Ma non è questa America che ho ritrovato: è un’America giovane, disperata, idealista. V’è in loro un gran pragmatismo e allo stesso tempo un tale idealismo. Non sono mai cinici, scettici, come lo siamo noi. Non sono mai qualunquisti, realisti: vivono sempre nel sogno e devono idealizzare ogni cosa. Anche i ricchi, anche quelli che hanno nelle mani il potere. Il vero momento rivoluzionario di tutta la Terra non è in Cina, non è in Russia: è in America. 

Mi spiego? Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest, e avverti che la rivoluzione è fallita: il socialismo ha messo al potere una classe di dirigenti e l’operaio non è padrone del proprio destino. Vai in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo è un uomo vuoto. 
Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista, oggi, possa scoprire. Ho conosciuto i giovani dello Sncc, sai gli studenti che vanno nel Sud a organizzare i negri. Fanno venire in mente i primi cristiani, v’è in loro la stessa assolutezza per cui Cristo diceva al giovane ricco: 
«Per venire con me devi abbandonar tutto, chi ama il padre e la madre odia me». Non sono comunisti né anticomunisti, sono mistici della democrazia: la loro rivoluzione consiste nel portare la democrazia alle estreme e quasi folli conseguenze...."

ORIANA FALLACI