martedì 12 maggio 2015
lunedì 27 aprile 2015
La favola della Maison Van Cleef & Arpels
Alla fine del 1800 fra la giovane Estelle Arpels e Alfred Van Cleef, suo cugino, è subito amore.
Entrambi figli di commercianti di pietre preziose e appassionati di gioielli decidono di fondare la Maison Van Cleef & Arpels, sinonimo oggi di Haute Joaillerie.
Diventato un vero affare di famiglia presto si unirono a Estelle e Alfred anche i fratelli di lei e i figli continuarono la grande tradizione orafa.
Importanza particolare l’ebbe Renèe Puissant, la figlia che prese in mano l'azienda alla morte del padre, e che insieme a Renè Sim Lacaze creò una delle più belle collezioni degli anni 20-30.
Di questi anni è la creazione della celeberrima tecnica Serti Mistèrieux (montatura invisibile) che consiste nell’incastonare le pietre una accanto all’altra in modo che la montatura resti totalmente invisibile e del Cadenas Watch iconico orologio di Van Cleef&Arpels che segna il connubio fra estetica e funzionalità, un segnatempo che in apparenza sembra un elegante bracciale ma che al suo interno ha un “invisibile” orologio.
Degli anni 30 è la Minaudiere, clutch ante litteram in oro creata da Charles Arpels per Florence J. Gould, che non sapendo dove mettere rossetto e e fazzoletti ai balli nascondeva tutto nel suo porta sigarette fino a che le venne creata questa elegante “scatola” con scompartimenti interni da Monsieur Arpels.
Pare che Florence J Gould abbia ispirato anche il nome Minaudiere per il suo comportamento vezzoso.
Dagli anni 30 ad oggi Van Cleef&Arpels è cresciuta aprendo negozi in tutto il mondo e stregando principesse e dive del cinema, la duchessa di Windsor era una vera fan delle loro broche, Ranieri di Monaco scelse una parure in perle e diamanti della Maison per siglare il fidanzamento con Grace Kelly e per Liz Taylor, famosa per i suoi gioielli da sogno crearono collane uniche.
Oggi Van Cleef&Arpels appartiene al gruppo Richemont.
Alcuni pezzi storici si posson trovare esposti nella nuova boutique di Van Cleef&Arpels in via Monte Napoleone 10.
Perchè gli italiani non parlano l'inglese?
La conoscenza delle lingue e, in particolare, dell’inglese diventa una componente importante della competitività di ogni paese in un mondo sempre più globalizzato.
Anche nel più piccolo contesto dell’Unione Europea, la conoscenza dell’inglese è fondamentale.
Nella pubblica amministrazione, un ufficio anglofono può avere molti vantaggi nell’attrarre fondi dall’Unione Europea.
La conoscenza dell’inglese è una componente importante di quella che, nel gergo comunitario, viene chiamata absorption capacity, vale a dire "la capacità di presentare progetti in ambito comunitario" che abbiano almeno la speranza di essere considerati, prima ancora che accettati e anche la capacità di portarli a compimento con successo.
Ciò vale per gli enti pubblici e, quindi, anche per i centri per l’impiego.
Un esempio è quello dello European Youth Guarantee.
In Italia, tra le forze lavoro solo 3 persone su dieci dichiarano di essere in grado di sostenere una conversazione telefonica in inglese. Si tratta di una percentuale simile nel pubblico e nel privato, ad eccezione delle grandi imprese o multinazionali.
Dato sorprendente ! Nel settore privato, la decisione di considerare questo aspetto rilevante o meno per la professione dipende esclusivamente dal datore di lavoro.
Molte professioni non richiedono necessariamente la conoscenza della lingua inglese, anche se spesso rappresenta una condizione essenziale nei criteri delle nuove assunzioni.
Il problema riguarda soprattutto il settore pubblico, per il quale spesso la conoscenza della lingua è una condizione di assunzione, soprattutto in alcuni settori, al punto da essere contemplata fra i requisiti concorsuali.
La “moda” attuale, ad eccezione di alcune qualifiche professionali, consiste nel passare eventuali telefonate in lingua inglese al collega.
Se osserviamo i dati per classe di età emerge una differenza notevole tra le generazioni.
La percentuale di coloro che hanno padronanza dell’inglese nel settore pubblico passa da circa il 50% dei più giovani, di età compresa fra i 18 e i 29 anni, al 18% circa per i più anziani, di età compresa fra i 50 e i 64 anni.
Nel caso di fondi strutturali come faranno le attuali strutture pubbliche locali a creare partnership internazionali per realizzare scambi di best practice o sviluppare mediazioni tra domanda e offerta di lavoro che non siano circoscritti al proprio contesto, ma abbiano un respiro internazionale?
Senza parlare delle difficoltà degli enti locali a partecipare a fondi dove è necessaria una candidatura diretta,come ad esempio il Progress uno dei più importanti programmi dedicato al settore sociale e dell’occupazione.
In conclusione, il settore pubblico deve assolutamente fare qualcosa per ridurre questo squilibrio nei confronti delle giovani generazioni e in generale nella scarsa padronanza dell’inglese, cercando di realizzare il più possibile formazione interna del personale più anziano oltre che favorire “staffette generazionali” per la stabilità di quello più giovane.
Ma la situazione in Italia è migliore o peggiore rispetto a quella di altri paesi?
L’indagine Language knowledge in Europe, realizzata nel 2011, conferma che l’Italia è uno dei paesi membri dell’Unione Europea in cui la conoscenza delle lingue straniere è più bassa.
Come fare, allora, per aumentare la conoscenza delle lingue?
Si sa che i corsi di lingua da soli influiscono poco sulla conoscenza effettiva delle lingue.
Molto più utile è soggiornare all’estero per periodi più o meno prolungati di tempo.
Secondo i dati AlmaLaurea, in Italia, solo il 7% dei laureati nel 2012 ha fatto l'Erasmus. Un altro 5.1% ha svolto periodi di studio all’estero nell’ambito di altri programmi oppure da solo.
Molti di coloro che hanno fatto l’Erasmus, però, hanno scelto la Spagna o altri paesi di lingua latina, proprio per evitare di dover imparare l’inglese.
Si dovrebbe fare di più per incentivare l’utilizzo del programma Erasmus da parte degli studenti.
Si dovrebbe anche prevedere un controllo più accurato della conoscenza della lingua almeno nei concorsi pubblici per i quali è richiesta.
Infine, in una logica di life-long learning, anche gli uffici italiani, sia pubblici che privati, potrebbero favorire esperienze lavorative che spingono ad investire nella conoscenza della lingua.
Il distacco presso sedi estere per periodi più o meno lunghi, la partecipazione a convegni o scuole estive sono strumenti importanti che le imprese italiane raramente finanziano.
Uno dei motivi della bassa produttività dei lavoratori dipendenti pubblici e delle Pmi private in Italia è la percentuale bassissima della formazione professionale dei dipendenti, per la quale il paese occupa le ultime posizioni in Europa.
All’estero, è molto più diffusa a spese dell’impresa, del pubblico oppure dello stesso lavoratore.
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