venerdì 20 marzo 2015

Le labyrinthe détruit de la Catherale de Reims

 

Le labyrinthe de la cathédrale et le projet de restitution 

Histoire et description du labyrinthe

A l'image des cathédrales de Chartres et d'Amiens 
qui ont conservé leur labyrinthe, la Cathédrale 
de Reims possédait, jusqu'à la fin du XVIIIe siècle, 
un grand labyrinthe incrusté en marbre noir 
dans le dallage des troisième et quatrième 
travées de la nef.


Détruit en 1779 par un chapitre 
irrité de voir les enfants y jouer 
pendant les offices, ce labyrinthe 
est bien documenté grâce au 
dessin de Jacques Cellier 
(vers 1583-1587) 
et aux descriptions du chanoine 
Cocquault (vers 1640) et 
du journaliste Havé (1779).

Destiné à glorifier l'œuvre des 
architectes de la cathédrale, 
selon une référence très claire 
à la mythologie antique 
(Les Métamorphoses d'Ovide), 
il était, semble-t-il, parcouru 
à genoux par les fidèles 
désireux de gagner des 
indulgences.


Cet octogone, cantonné de  
quatre colonnettes
figurait le plan au sol d'un pilier et comportait  
cinq figures
La première, au 
centre, représentait 
peut-être 
le maître d'ouvrage, l'archevêque 
Aubry de Humbert

Aux angles apparaissaient les silhouettes 
de quatre des architectes de la 
Cathédrale en train d'exercer leur 
métier : le premier traçait un plan au sol 
avec une corde, le second tenait une 
équerre, le troisième l'index levé semblait 
diriger le chantier, le dernier traçait sur 
le sol un cercle avec un compas.
Des légendes en plomb, incrustées dans la 
dalle, permettaient d'identifier ces personnages : 
Jean d' Orbais, l'inventeur du plan de 
la Cathédrale,
qui dirige le chantier de 1220 à 1221,
Jean Le Loup, qui édifie les portails de 

la façade nord du transept vers 1219-1234,
Gaucher de Reims, actif de 1256 à 1263, 

qui commence la construction du massif 
occidental,
Bernard de Soissons, à qui l'on doit la 

grande rose, actif durant 35 ans.
 
Par ailleurs, deux autres effigies étaient placées 
à l'entrée du labyrinthe.

Le labyrinthe de la cathédrale de Reims a inspiré 
les graphistes qui ont conçu le logotype destiné à 
signaler les monuments classés au titre des 
Monuments historiques.



Cliquer pour ouvrir©Feng Hatat - 2 octobre 2009


Le projet Prisme 

L'association d'entreprises mécènes Prisme, 

dédiée au soutien de projets d'art contemporain 

à Reims (Le Luchrone 

d'Alain Le Boucher au Boulingrin, le cadran 

solaire de Christian Renonciat rue Gambetta

Le Canoë de Gilberto Zorio à la  

médiathèque Jean Falala) a proposé la 

reconstitution du labyrinthe de la 

Cathédrale de Reims, 

aujourd'hui disparu, en lieu et place du 

labyrinthe originel, entre quatre piliers 

de la nef.


La renaissance à l'identique du labyrinthe, 

dessiné sur la pierre au sol, posait 
de nombreuses difficultés techniques 
et administratives. 
Le choix a donc été fait d'une reconstitution 
réversible, à l'aide d'une projection 
lumineuse au sol. 
Le projet, qui a obtenu l'autorisation du 
Ministère de la Culture a été 
inauguré le 19 septembre 2009.



 Prisme a également prévu de réaliser 
un film de quelques minutes retraçant 
le déroulement du projet. 

Avec ce projet, l'Association,
poursuivant sa double vocation de 
soutien au patrimoine et à la 
création plastique contemporaine, 
s'attache à promouvoir auprès 
du public le plus large la mémoire 
d'un symbole de portée universelle.

domenica 15 marzo 2015

La festa mondiale del Pi greco, il numero più irrazionale !




Il 14 marzo 2015 è il Pi Day mondiale ! 
Cosa si festeggia? 
Ma la cosa più irrazionale di sempre, il numero irrazionale per definizione: la costante π (per gli amici: Pi greco)!


Il 14 marzo 2015 si festeggia in tutto il mondo il Pi Day, la festa dedicata alla costante matematica (o π) che a scuola viene insegnata per calcolare l’area del cerchio, ma che è anche molte altre cose: tecnicamente è il rapporto tra la circonferenza di un cerchio e il suo diametro. 
Questo numero si applica in matematica, geometria, trigonometria, fisica.


Il Pi Greco Day è una festa che nasce negli Stati Uniti: si festeggia il 14 marzo perché gli americani usano per le date il formato mese-giorno. 
Il 14 marzo diventa quindi 3/14, cioè le prime tre cifre del pi greco.

Alle 9 e 26 minuti e 53 secondi del 14 marzo 2015 è successa una cosa che non si verificava dal 1915: mettendo in fila le cifre della data, seguite da quelle che formano l’ora 9 e 26 minuti e 53 secondi, sono venute fuori le prime dieci cifre del π, cioè 3,141592653.

Cioè : 3 (marzo), 14 (giorno), 15 (anno), 9 (ore), 26 (minuti), 53 (secondi).  


Questo avvenimento può accadere soltanto durante il quindicesimo anno di ogni secolo e quindi si verificherà di nuovo soltanto nel 2115.

Il Pi Day cominciò ad essere celebrato nel 1988 da Larry Shaw, un fisico che voleva trovare una data per porre al centro dell’attenzione la matematica, una scienza che non trova spesso motivi per festeggiare. 


Il 14 marzo, inoltre, è anche l’anniversario della nascita di Albert Einstein. 



Poco a poco la cosa ha preso piede, tanto che oggi sono migliaia le iniziative in tutto il mondo organizzate per il Pi Day. Negli Stati Uniti, dove la festa è più sentita, si organizzano corse su una distanza di 3,14 miglia (5.503 metri), i fast-food offrono menù speciali a 3,14 dollari, e via dicendo. 

Negli Usa Pi viene pronunciato pai, allo stesso modo di pie, che invece significa torta


Ecco perché negli Stati Uniti il 14 marzo si trovano torte decorate con il π e la festa stessa è legata in modo indissolubile al concetto di torta (che tra l’altro è anche rotonda e quindi richiama il π che è il rapporto tra circonferenza e diametro). 


Nel 2009, il Congresso degli Stati Uniti passò una risoluzione in cui riconosceva il Pi Day e invitava gli insegnanti di tutto il paese a celebrarlo con iniziative opportune. 
Una delle attività che vengono praticate è quella di cercare di imparare più numeri possibile dopo la virgola. 
Dopo quel 14 che segue la virgola e che tutti si ricordano, infatti, c’è un’infinita lista di numeri: fino ad ora ne abbiamo calcolati dieci bilioni (detti anche dieci milioni di milioni).



mercoledì 11 marzo 2015

Via Montenapoleone, Milano..Il caffè Cova




A Milano "Cova" significa raffinatezza, tradizione meneghina, pasticceria storica della mitica Via Montenapoleone.


Le sue origini risalgono al 1817, quando fu fondato da Antonio Cova all'angolo di via Verdi e via Manzoni.


Le sue eleganti sale e il celebre giardino diventarono il luogo di ritrovo di politici e letterati della Scapigliatura, di pittori, musicisti e gente del mondo dell'editoria e del giornalismo.
Nel 1848 il Cova con i suoi avventori fu in prima linea contro gli Austriaci e nel 1868 ottenne l'autorizzazione della Zecca per coniare monete in argento con la dicitura "Caffè Cova Milano": distrutto durante la seconda guerra mondiale, il salotto meneghino fu ricostruito nel 1950 e trasferito, poco dopo, nell'attuale sede, in via Montenapoleone.
 


Da allora il Caffè Cova è diventato un'istituzione, ritrovo di patrioti delle Cinque Giornate, circolo di nobili, centro di tutte le riunioni e degli incontri serali.
 


Qui hanno sorseggiato il caffè Tito Speri, Cairoli, Mazzini, Garibaldi, il giovane di provincia Verga e Sabatino Lopez. 

Anche le riunioni del Rotary Club, fondato il 20 novembre del 1923 a Milano, iniziarono qui. 
Dal 16 giugno del '23 i membri del Rotary venivano convocati tutti i martedì alle 12.30 presso il Caffè Ristorante Cova.

martedì 10 marzo 2015

Bluetooth, Harald Blaatang, il Vichingo goloso di mirtilli






Ecco qui, in breve, la storia del re danese « Blootooh »( Dente Azzurro) Harald Blaatand (Aroldo di Danimarca)

Harald "Bluetooth" di Danimarca (in danese Harald  Blaatand), visse tra il 911 e il 985 (o 986) d.C. e fu il primo re che riuscì ad unificare il frammentario regno di Danimarca, che comprendeva anche Svezia e Norvegia

Un Vichingo molto intelligente e goloso di mirtilli...
 





Fu in grado di riunire popoli e terre fino a quel momento divisi dal mare e da tradizioni diverse, convertendoli al cristianesimo.  

Una delle eredità più importanti lasciateci da questo grande monarca è una grande pietra runica fatta erigere a memoria dei propri genitori, rimasto intatto fino ai giorni nostri e che è divenuta una delle più importanti reliquie cristiane dello Jutland del Nord. 



Tale megalite contiene le seguenti parole, scritte in caratteri runici:

« Harald il Re fece costruire questi monumenti a Gorm suo padre e Thyre sua madre, Harald che vinse tutta la Danimarca e la Norvegia e convertì i Danesi al Cristianesimo. »


Queste parole segnano la prima occasione in cui viene citata la Danimarca come entità politica, nella storia. Il suo soprannome, letteralmente dente blu, sembra derivasse dalla sua passione per i mirtilli.
 


Il soprannome Bluetooth è stato utilizzato per identificare la tecnologia per reti senza fili inventata dalla svedese Ericsson nel 1999.  


Infatti, ciò che fece Harald è molto simile a quello che fa un protocollo capace di mettere in comunicazione i dispositivi più disparati.



Anche il logo del Bluetooth è costituito dall'unione delle rune nordiche (Hagall e Berkanan) che corrispondono alle moderne H e B, iniziali di Harald Blaatand, il geniale re vichingo.


mercoledì 4 marzo 2015

Bye bye Hipster, benvenuti i Normcore o New Normal !


 
Il fenomeno hipster sta tramontando.

Williamsburg, il quartiere di Brooklyn, ospita su Bedford Avenue la più alta concentrazione di barbe lunghe, pantaloni stretti con risvolto, botteghe biologiche e digital divide (l’assenza di wi-fi nei bar è proposta come liberazione dalla schiavitù della connessione). 
E adesso si è aperto il negozio J Crew, al 234 di Wythe Avenue, che si rivolge a una clientela molto più vicina alle signore ben vestite di Park Slope che agli aspiranti artisti che passano le serate a bere e discutere a Union Pool con i soldi di papà. 
Commesse over 50, scaffali pieni di cachemire e manichini a forma di bambini che presentano gli stessi outfit degli adulti: tutto nel punto vendita del popolare marchio appare fuori contesto rispetto alle boutique di vestiti usati, cappelli a bombetta, pubblicazioni di poesia esotica e barattoli di marmellata usati come boccali di birra.




Sono lontani i tempi in cui i barbuti di Brooklyn sfidavano nudi in bicicletta il conservatorismo degli ebrei chassidici del quartiere e abbandonavano le galline in strada (il pollaio in casa è uno dei pilastri dell’immaginario neo-hipster): lì, come a East London o a Kreutzberg a Berlino, ormai c’è più glamour in una coda di cavallo ben portata che nella borsa vintage marrone di ecopelle contenente le bozze di un romanzo autobiografico. 

Tiziano Bonini, docente della Iulm di Milano e autore di «Hipster», un intelligente saggio sull’argomento, ha effettuato una ricerca su Google NGram Viewer per vedere la ricorrenza del termine nei testi di lingua inglese.

La parola hipster - che nasce negli anni Quaranta con gli afroamericani amanti del bebop che vestono in maniera eccentrica per distinguersi dai musicisti swing e, dopo la guerra, etichetta i bianchi che “scimmiottano” i jazzisti di colore - torna agli inizi degli anni Novanta per definire i 20/30enni che ostentano uno stile di vita «indipendente» che si manifesta innanzitutto attraverso radicali scelte di consumo e di moda. 

Il termine registra il suo picco di popolarità nel 2010 (si racconta che il responsabile della grammatica del New York Times quell’anno mandò una lettera di richiamo alla redazione che aveva utilizzato il termine più di 250 volte) per poi scivolare un po’ alla volta nel dimenticatoio lessicale. 
Questi sono gli anni della «normalità», celebrata in varie forme: dalla moda - vedi alla voce normecore - al cinema (i buoni sentimenti del film manifesto Boyhood) fino alla cultura pop, dove l’emaciata e strana Miranda July è stata superata a destra dalla simpatica neofemminista Lena Dunham. 
L’ennesima conferma del cambio di tendenza è arrivata con l’ultima campagna del marchio di abbigliamento Gap - «Dress Normal» - affidata alla regia della sofisticata Sofia Coppola che, in ogni movimento di camera, ribadisce il nuovo imperativo che sembra rubato ai fondamentalisti cattolici: la normalità è cool. 
Certo, il nuovo corso ha già i suoi critici. 
Sul NYT Vanessa Freedman l’ha definito «the new mediocre», la nuova mediocrità, denunciando l’incapacità della cultura contemporanea di inventare qualcosa di nuovo, dalla passerella ai romanzi e alla politica. 
Per la critica di moda della testata americana, tutto sarebbe ormai un mix di idee appartenenti al passato. 
Per dirla con un cantante italiano degli anni Novanta, ogni novità sarebbe «solo una copia di mille riassunti».


Chi sono i New Normal e i Normcore? Sono quelli che si sono stancati di essere hipster e anche quelli che non lo sono stati ma voglio riconoscersi in un’etichetta, loro non indossano abiti e accessori iconici degli anni Ottanta, vestono normale, come tutti, non vuol dire che vestano male o a casaccio, ma che indossano quello che preferiscono, che scelgono consapevolmente cosa indossare inseguendo un proprio stile, non quello altrui.

new_normal_stile

Cosa indossano i new normal e chi sceglie lo stile normcore?
Scarpe New Balance, t-shirt, ma non solo Fruit Of The Loom, felpe, camicie a maniche corte, jeans e pantaloni chino, fanno invece a meno di cravatte e papillon e accessori superflui vari; i loro brand preferiti sono Gap, Superdry, Birkenstock e in generale attingono da un guardaroba anni Novanta. 

Dunque, colmo dell'incoerenza, mentre da un lato si inneggia alla normalità, dall’altro si redige già un nuovo manifesto.

Chi sono le icone dei New Normal?
Probabilmente il caro Steve Jobs con il suo stile minimal e persistente, ma anche Mark Zuckerberg (che di recente ha dichiarato di possedere una sfilza di magliette tutte uguali perché non vuol perdere tempo decidendo cosa indossare ogni giorno fra tante cose diverse e Puffetta non gli dà torto), il conduttore di Man vs. Wild, Bear Grylls, addirittura Kate Middleton. 


Non mancano i riferimenti italiani, c’è chi riconosce in Matteo Renzi un new normal e, udite udite, Papa Francesco, perché ha rinunciato a certi eccessi e professa la semplicità.
Si dice che questa si una reazione ad una sovrasaturazione di moda derivante dalla sempre più rapida evoluzione le tendenze della moda, si dice che i New Normal siano stanchi di essere uguali a tutti e vogliono diventare uno su sette milioni, i principi e le motivazioni sono lodevoli e condvisibili, il problema è che come sempre anche se si parla di libertà ed individualità, si finisce a parlare anche di marchi, di conformismo, di idoli, oggetti iconici e regole di base, di un manifesto che mira a rendere tutti, almeno tutti quelli che decidono di avere uno stile normcore, uguali se non a tutti almeno a qualcuno. 

Insomma a me sembra non sia cambiato niente, almeno se non decidiamo di ignorare il manifesto collettivo e scegliamo di essere veramente “new normal”.


Ancora una volta, viene in mente un cantante italiano, Lucio Dalla, che in Disperato Erotico Stomp dichiarava quaranta anni fa «l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale». Vero?