martedì 6 gennaio 2015

Data scientific, le nouveau métier




Comment exploiter et tirer profit du Big Data? Grâce à un data scientist ! Un profil que les entreprises s'arrachent. Mais quelles qualités pour ce spécialiste de la donnée ? 

Les entreprises attendent beaucoup du data scientist :  
des compétences techniques, mathématiques, mais aussi sur les métiers et des aptitudes à la communication. 
Pourtant, 55% des data scientists ont moins de trois ans d'ancienneté dans ce métier.

SAS, spécialiste de la business analytics, dresse 10 profils types. Le plus courant est le geek (41%)
Naturellement porté sur la technique, il est doté de grandes capacités logiques et analytiques. 
Viennent ensuite le gourou (11%), le pilote (11%), le statisticien (11%), le fournisseur (7%) et l'évangéliste (6%). 
Enfin, les autres profils types sont : l'explorateur, le chercheur, le professeur et le pilier.

Autre point mis en avant par l'étude : plus d'un quart des data scientists interrogés sont contraints de s'adapter afin de remplir des fonctions qui ne correspondent pas tout à fait à leurs compétences ou leur personnalité. 

Cette pression génère un fort niveau de stress professionnel, pour 55% des data scientists sondés. 
"Les entreprises doivent mieux identifier et définir ce qu'elles attendent de ces profils pour éliminer cette sensation de stress souvent liée à une méconnaissance de l'organisation et à des objectifs mal définis", avance Ariane Liger-Belair, directeur du programme académique de SAS France.

Méthodologie : étude réalisée, auprès de 596 professionnels des "data sciences" en Grande-Bretagne et en Irlande et publiée en décembre 2014.

sabato 3 gennaio 2015

L'arte dei barbari, ammirabile..




L' arte barbara, o barbarica, si riferisce  al complesso di espressioni artistiche fiorite nel periodo delle invasioni barbariche, tra la tarda antichità e l'Alto Medioevo (V-IX secolo), in una zona geografica estesa dal Danubio alla penisola iberica, dall'Africa settentrionale alla Scandinavia e alle isole britanniche.

Numerosi monumenti in Italia, Germania, Francia e Spagna documentano quest'arte derivata dall'espressione artistica dei nomadi asiatici, come dimostrano le scoperte archeologiche avvenute in Siberia, in Russia ed in altre regioni di quel continente.E' l'arte ornamentale dell'oggetto facilmente trasportabile, adatto alle esigenze di chi pratica una vita nomade. 



Nonostante questo, i barbari produssero anche un' architettura e una scultura propria.
La prima fu caratterizzata da costruzioni in legno che non sopravvissero nel tempo, ma delle quali resta una traccia descrittiva nei poemi che valorizzarono i santuari scandinavi di Uppsala, i padiglioni reali germanici, le strutture religiose piramidali norvegesi e ucraine.

La scultura, diffusa principalmente in Scandinavia, produsse stele funebri di pietra raffiguranti le saghe nordiche, navi in legno impreziosite da teste di mostri e da fasce ornamentali che influenzarono l'attività artistica barbarica più emblematica: l'oreficeria.



L'influsso esercitato dall'arte barbarica sulle varie manifestazioni artistiche europee dei secoli successivi è notevole, come la deformazione decorativa degli elementi naturali, molto stilizzati, a volte ridotti a puro elemento geometrico ed applicata a gioielli e altre forme d'arte.


Ampie tracce dell'arte dei popoli germanici si ritrovano nei corredi funebri. Infatti questi tenevano molto all'abbigliamento ed oggi la loro arte è documentata da fibule (fibbie) provenienti da Nocera Umbra e Gualdo Tadino. 
Vi si distinguono decorazioni di animali stilizzati, ripetuti simmetricamente e scomposti. 
Questa concezione artistica è totalmente astratta, non riconducibile a nulla che avesse un passato in Italia.

I monasteri irlandesi furono al centro della cosiddetta arte insulare e si specializzarono nella miniatura, producendo decorazioni caratterizzate dai soliti motivi geometrico-astratti di stilizzazione delle forme naturali.


Orecchini ostrogoti in stile policromo, Metropolitan Museum of Art, New York

Fibbia di Aregunda, arte merovingia, 570 circa, Museo di Antichità, Saint-Germain-en-Laye

























 Fu in particolare in oreficeria che vennero raggiunti i migliori risultati artistici, con notevoli apporti originali. Le principali produzioni riguardano fibule, diademi, else, fibbie di cinturoni.

Un primo stile, detto policromo, risale agli Unni e trovava dei precedenti nelle popolazioni stanziate sul Mar Nero. Si contraddistingue dall'uso di pietre levigate (spesso rosse come granati e almandini), incastonate nell'oro, sia isolate, sia a distanze ravvicinate, ricoprendo quasi l'intera superficie con sottili strisce di metallo prezioso tra un castone e l'altro. Nella seconda metà del V secolo questa tecnica raggiunse un apice all'epoca di Childerico e più o meno contemporaneamente si diffuse anche in Italia e Spagna tramite i goti. 

In Spagna le forme usate furono meno elaborate e meno ricche. Questa tecnica, oltre all'ampia diffusione, ebbe una vita molto lunga, essendo usata ancora dai Franchi e dai Longobardi nel VII secolo.

Un secondo stile è quello animalistico, che venne portato ad alti livelli nel bacino del Mare del Nord e nella Scandinavia, prima di diffondersi in tutta Europa. 
I manufatti tipici in questo stile sono fibbie e guarnizioni varie ed hanno analogia con produzioni simili in province romane quali la Britannia e la Pannonia. 
In queste opere le figure geometriche invadono tutta la superficie.

Lo stile animalistico I è caratterizzato da una disposizione degli elementi scomposta ed asimmetrica; gli elementi zoomorfi sono essenziali ma realistici, spesso presentano elementi umani e i temi geometrici sono regolari.
Lo stile animalistico II si è  sviluppato successivamente su influsso dell'arte bizantina e presenta maggiore regolarità e fluidità nel disegno.
    Lo stile animalistico III è caratteristico dei paesi scandinavi dal 700 in poi. Riprende alcuni elementi del primo stile e tende a risaltare le forme di animali aggrovigliate, secondo i codici decorativi irlandesi.

    venerdì 2 gennaio 2015

    Choupette la minette chérie de Karl Lagerfeld



    Le chat Sacré de Birmanie le plus hype de la planète c'est  Choupette, la seule à partager l’intimité de Karl Lagerfeld. 

    Choupette est neé le 15 août 2011. 

    Elle a passé ses premiers mois auprès de Baptiste Giabiconi, mannequin et chanteur, qui l'avait reçue en cadeau au mois de novembre pour son anniversaire. 

    A la fin de la même année, amené à se déplacer pour les fêtes de Noel, il confia Choupette à Karl Lagerfeld. 
    Un cat-sitting qui devait durer deux semaines et se transforma en adoption : tombé sous le charme du chaton, Karl Lagerfeld demanda à la garder. 
    Depuis, Choupette et lui ne se sont pratiquement plus quittés.


    Elle a posé pour les plus grands magazines de mode.

    L'édition britannique du Grazia a été la première à afficher en couverture de son spécial mode de 2012 le "chat pacha". Puis, le Vogue allemand a fait poser, en couverture de son numéro de juillet 2013, la mannequin canadienne Linda Evangelista avec Choupette dans les bras, photographiées par Karl Lagerfeld lui-même.  

    Harper's Bazaar UK a suivi de près, mettant à l'honneur le félin et son maître. 
    Choupette s'est enfin faite remarquer dans une série mode pour V Magazine, dans laquelle elle s'étirait, féline, lovée contre Laetitia Casta. 

    Elle possède ses propres collections d'accessoires et de vêtements. 

    Dès 2012, il lance une collection-capsule en l'honneur de Choupette, constituée de sacs à main en forme de tête de chat, portefeuilles, housses de smartphone à moustaches ou foulard, le tout en noir et blanc. Une ligne pour les "cat-lovers" (adorateurs des chats), comme le stipule le site de la marque. Il récidive cette année avec des t-shirts et des sweats à son effigie. 

    Elle est l'égérie des cosmétiques Shu Uemura

    Cet automne, la marque japonaise mise sur le chat si français pour vendre une nouvelle gamme de maquillage baptisée Shupette by Karl Lagerfeld. Faux-cils, huile démaquillante, base mousse: la collection reprend les classiques de Shu Uemura en y ajoutant la patte de Choupette. 

    Elle vient de sortir sa propre biographie !

    Flammarion publie mercredi 24 septembre, Choupette, la vie enchantée d'un chat fashion


    Ecrite par les journalistes à qui l'on doit Le monde selon Karl, Patrick Mauriès et Jean-Christophe Napias, elle dresse le portrait d'une ravissante minette à la vie de star. 
    Ses péchés mignons et caprices y sont consignés, tout comme la façon dont elle a inspiré Karl Lagerfeld pour sa collection Chanel Haute Couture printemps-été 2012. 


    Au micro d'Europe 1, Karl Lagerfeld a assuré que l'argent gagné grâce à Choupette était versé sur un compte, et reviendrait à la personne qui s'en occuperait après sa mort.

    lunedì 29 dicembre 2014

    Piccolo dizionario delle bollicine

     
     
    Extra Dry e Dry:
    A dispetto del termine, che sottolineando il carattere secco farebbe pensare a vini che denotano una certa asciuttezza, si tratta di prodotti che rientrano nell’ambito dei vini morbidi, moderatamente abboccati. Con Dry (o Sec) si designano vini con una presenza di zuccheri che va da 17 a 32 grammi litro, mentre negli Extra Dry la percentuale varia da 12 a 20 grammi litro.

    Brut ed Extra Brut:
    Con il termine Brut si indica forse la più diffusa tipologia di metodo classico prodotti, con una presenza di zucchero residuo inferiore ai 12 grammi litro. Sono vini secchi, m  leggermente più morbidi rispetto agli Extra Brut, che prevedono una presenza di zuccheri residui fino a sei grammi litro.
    C’è Brut e Brut: ce ne sono alcuni che hanno un dosaggio quasi da Extra Brut e che li colloca, volendo, nella categoria degli Extra Brut e Brut con un dosaggio superiore ai sei grammi, che può spingersi sino ai dieci e oltre ma molto spesso staziona nella fascia tra 7 e 9.
     
    Brut nature, Pas Dosé, Dosaggio Zero, Brut Zero, Brut naturale. Alla base, con uno zucchero inferiore ai tre grammi litro, troviamo vini che possono riportare in etichetta la dizione Brut nature, Pas Dosé, Dosaggio Zero, Brut Zero, Brut natural. 
    Sono vini che non hanno avuto addizioni di zucchero dopo la presa di spuma e al momento della sboccatura il livello viene ristabilito solo aggiungendo altro vino delle stesse caratteristiche. E non la liqueur d’expedition.

    Nomi tedeschi per grandi champagne francesi






    Krug, Deutz, Roederer, Bollinger, Mumm, Heidsieck, Taittinger.. tanti nomi tedeschi per delle Maison di Champagne che rappresentano il lusso alla francese.
    Strano, no? 



    Leggendo la nuova edizione della Christie’s world Encyclopedia of Champagne & Sparkling Wine, si puo' trovare non una sola, bensì più spiegazioni di questa apparente stranezza. 
    Per capire come sia andate le cose dobbiamo tornare allo zeitgeist, allo spirito del tempo, dominante nell’Ottocento in Champagne.


    La prima spiegazione è di carattere linguistico, legata alla scarsa disponibilità dei francesi dell’epoca ad imparare le lingue. 



    E' ovvio che nel commercio per vendere all’estero è fondamentale farsi capire e saper dialogare.

    E visto che già all’epoca, i tedeschi erano noti non solo per il loro spirito commerciale, il rigore, l’applicazione nel lavoro, e soprattutto la capacità di apprendere le lingue straniere  molte Maison de Champagne hanno impiegato tedeschi intraprendenti e capaci . 
    Per questi nuovi arrivati fare carriera fu facile perché per i grandi  proprietari delle Maison di Champagne l’attività commerciale veniva mal considerata e si preferiva lasciarla ai dipendenti di origine tedesca così affidabili.



    Tanto bravi che spesso questi dipendenti arrivarono ad avere il dominio del mercato delle preziose “bollicine” di Reims ed Epernay e riuscirono a diventare soci e proprietari, grazie anche a giudiziosi matrimoni. 
    E per altri l’expertise ed il savoir faire, a questo punto non solo commerciale, ma produttivo, diventò tale che consentì a quegli ex dipendenti di non essere più tali, ma di poter aprire attività, in Champagne, con il proprio nome.


    Bollinger era nativo del Würtemberg, William Deutz e Pierre Geldermann provenivano da Aachen, Florenz-Ludwig Heidsieck dalla Westfalia, Johann-Josef Krug nativo di Mainz lavorò da Jacquesson et Fils prima di sposare la cognata inglese di Adolphe Jacquesson e in seguito fondare la propria azienda nel 1843.

    Dolci di Natale tipici della Slovenia, Lituania, Norvegia...

     
     
    Potica - Slovenia
    Le potizze sono uno dei più caratteristici dolci sloveni, preparati con pasta lievitata e circa 80 differenti ripieni diversi. La potica o potizza più classica è ripiena di noci (le altre varianti hanno ricotta, semi di papavero, miele. (www.slovenia.info)
     
    Multeken - Norvegia
    Il multekrem è un dessert tradizionale in Norvegia, molto semplice e altrettanto amato. È una morbida crema di panna e more artiche. (www.visitnorway.com/it)
     
     
    Speculoos - Belgio
    Tra i dolci di Natale, in Belgio, c’è il Bûche de Noël (il tronchetto di Natale), il marzapane e gli speculoos (nella foto), i famosi biscotti fatti con zucchero di canna e cannella, realizzati con stampi
    artigianali di legno intagliato. (www.belgioturismo.it/)
     
    Piparkoogid- Estonia
    I piparkoogid, anche conosciuti come gingerbread cookies della tradizione anglosassone, sono i classici biscotti del Natale in Estonia. Realizzati con cannella, chiodi di garofano, noce moscata e zenzero, hanno tante forme e spesso si appendono all’albero (foto courtesy www.visitestonia.com)
     
     
    Kūčiukai e spanguolių- Lithuania
    Il dolce più tipico in Lithuania sono i kūčiukai (frollini della Vigilia di Natale, realizzati con farina, lievito, zucchero, burro, latte, miele e semi di papavero) serviti con il latte di semi di papavero (Aguonpienis). Vi è poi una bevanda tipica, lo Spanguolių Kisielius, a base di cranberry, tradizionalmente preparata dalle nonne lituane per la Cena della Vigilia di Natale.(foto www.lithuania.travel)

     

    Les phrases des vraies parisiennes !


    Dans le Cosmopolitan de cette semaine j'ai trouvé une amusante compil des phrases-type des vraies parisiennes 

     

    Vraie parisienne? Si on prononce ces phrases c'est bon...

    De Solférino à Poissonnière ? Tu prends la 12 direction Mairie d’Aubervilliers, tu changes à Madeleine, la 8 jusqu’à Opéra, la 7 direction La Courneuve et tu y es!
     

    Dans l’escalator, on stationne à droite et on laisse monter les gens pressés par la gauche, c’est pourtant pas compliqué !


     
    Une soirée en banlieue ? En province tant qu’on y est !       
       
    Désolée mais à 13 heures je peux pas, j’ai un déj.
     
    Tu sais quoi ? Je hais les cyclistes, les automobilistes, les  motards. Dans la rue, je les déteste tous. 



    Tu trouves pas qu’il devrait y avoir une journée où les musées ne seraient accessibles qu’aux Parisiens ?


            
    Dans le métro, on laisse descendre, oh mais qu’est-ce      qu’il a, l’autre ? !

    Je t’emmène chez Colette mais tu souris pas. Là-bas, c’est  stylé de faire la gueule !






    Je hais les touristes.   
            

    Le temps qu’il fait ? Comment tu veux que je le sache ?


    Paris Plages, oh non pitié.

    La dernière pub Chanel avec Brad Pitt, on dirait vraiment une performance arty pour le Palais de Tokyo, non ?
       



    Rhaaa, mais pourquoi il marche à 2 à l’heure, lui ?   
       
    C’est moi ou Frédéric Beigbeder est de plus en plus sexy ?

     

    Ah bon ? Tu brunches pas le dimanche, toi ?


    J’ai dégoté l’occase du siècle : 17m2 à 650€ par mois        charges comprises !

    Voilà !!


     

    domenica 28 dicembre 2014

    Il fenomeno Marty, il topino avventuroso

     

    Il topino Martin Mouse, Marty per gli amici, é un ratto super star, con profilo Facebook, account Twitter e migliaia di like.

    La fotografa Sarah Hunt si occupa del suo sito web e della sua promozione.

    E il topino super star ci invita nel suo mondo e nelle sue avventure...


    Scrive : "Odio i lunedì, amo giocare con i miei amici gatti, mangiucchiare snack e raccontare barzellette". 

     

    Tenerissimo e buffo, ha deciso di girare il mondo, con missione di farci sorridere.

     

    E dopo Ratatouille della Pixar, il topo gourmet, ecco la nuova dimostrazione che anche un ratto con codina rosa può diventare una star.

    L'ebreo errante, la leggenda, l'angoscia esistenziale e il capolavoro di Chagal










    Una delle più diffuse leggende del Medioevo, che ha avuto numerose elaborazioni in tutte le letterature europee narra di un ebreo che schernì Gesù sulla via del Calvario e per castigo fu condannato a errare senza tregua sino alla fine del mondo, con poco denaro per vivere. 
    I poeti moderni si impadronirono di questa figura leggendaria, a cominciare da W. Goethe, che in un frammento poetico del 1774 evoca un ebreo di nome Aasvero spettatore insolente della sofferenza del Cristo.

    La leggenda dell'«ebreo errante» racconta che Gesù, dirigendosi con la croce sulle spalle verso il Calvario, sofferente e senza fiato si fermò davanti al negozio di un ciabattino ebreo. 
    Questi si affacciò sulla porta e gli disse: 
    «Muoviti, vai più in fretta» e gli diede dei colpi di bastone sulla schiena.
    Gesù gli rispose: «Me ne vado, ma tu camminerai fino al giorno del mio ritorno». 
    Si vuole da allora l'ebreo errante maledetto da Dio e condannato a vivere senza riposo fino alla fine dei tempi. 

    Riapparendo di città in città, divenne una vera e propria ossessione dell'occidente cristiano, nei paesi di lingua tedesca spesso lo si chiamava "der Ewige Jude", "l'ebreo eterno" poi preso di mira dalla propaganda del Terzo Reich. 


    I rapporti fra il mito dell' "ebreo errante" e le sue rappresentazioni visuali da parte dell'immaginario cristiano in Occidente dal Medioevo al XX secolo a partire dall'incisione della fine del ‘400 
    "Il gran portamento della croce" di Martin Schongauer, con un personaggio che si appoggia a un bastone da camminatore e che può essere interpretata come una raffigurazione dell'ebreo errante, fino a "L'ebreo errante" dipinto nel 1983 a New York da Michael Sgan-Cohen.



    Fortemente presente nella rassegna è Gustave Doré, popolarissimo artista e caricaturista del pieno ‘800: nella serie delle sue opere - in parte per il "Journal pour rire" - i tratti cupi e la forza della tragedia che trascina per il mondo l'ebreo eterno si intravvedono tutti, nelle Dodici incisioni.



    Quanto al "Juif errant" di Marc Chagall, degli anni '20 e proveniente dal Petit Palais di Ginevra, con la bisaccia in spalla e il volto irrigidito in una accettazione rassegnata, esprime tutto il peso di una maledizione eterna, «autobiografica» per l'artista, del quale a loro volta Solitudine (1933), La Rivoluzione (1937), Crocifissione bianca (1938) ricordano in particolar modo l'esilio. 



    Marc Chagall (Vitebsk, 7 luglio 1887Saint-Paul-de-Vence, 28 marzo 1985) è stato un pittore russo naturalizzato francese, d'origine ebraica.


    Yehuda Pen Ritratto di Marc Chagall (1915) Museo di arte moderna di Vitebsk
    Il suo vero nome era Moishe Segal (משה סג"ל - Segal è un cognome levita, acronimo di סגן לוי Segan Levi, "assistente levita". 
    Il suo nome russo era Mark Zacharovič Šagalov, abbreviato in Šagal (Шагал; Chagall, secondo la trascrizione francese).

    Marc Chagall nasce in una famiglia di cultura e religione ebraica, a Vitebsk, allora facente parte dell'Impero Russo, oggi in Bielorussia
    Il giorno stesso della sua nascita, il villaggio fu attaccato dai cosacchi durante un pogrom, e la sinagoga venne data alle fiamme; da allora, l'artista - rievocando le proprie origini - usava dire: "Io sono nato morto". Chagall fu il maggiore di nove fratelli. Il padre, Khatskl (Zakhar) Chagall, era mercante di aringhe, sposato con Feige-Ite. 
    Nelle opere dell'artista ritorna spesso il periodo dell'infanzia, felice nonostante le tristi condizioni in cui vivevano gli ebrei russi sotto il dominio degli zar.
    Iniziò a studiare pittura nel 1906 con il maestro Yehuda (Yudl) Pen, il solo pittore di Vitebsk, ma l'anno successivo si trasferì a San Pietroburgo
    Qui frequentò l'Accademia Russa di Belle Arti, con il maestro Nikolaj Konstantinovič Roerich e conobbe artisti di ogni scuola e stile. 
    Tra il 1908 e il 1910 studiò, invece, alla scuola Zvantseva con Léon Bakst
     Questo fu un periodo difficile per lui: gli ebrei potevano infatti vivere a San Pietroburgo solo con un permesso apposito e, per un breve tempo, venne persino imprigionato. Rimase nella città fino al 1910, anche se di tanto in tanto tornava nel paese natale dove, nel 1909, incontrò la sua futura moglie, Bella Rosenfeld, figlia di ricchi orefici.
    Una volta divenuto noto come artista, lasciò San Pietroburgo per stabilirsi a Parigi, per essere più vicino alla comunità artistica di Montparnasse, dove entrò in amicizia con Guillaume Apollinaire, Robert Delaunay e Fernand Léger. Nel 1914 ritornò a Vitebsk e l'anno successivo si unì in matrimonio con Bella Rosenfeld. La loro prima figlia, Ida, nacque nel 1916.
    Nel 1917 prese parte attiva alla rivoluzione russa: il ministro sovietico della cultura lo nominò Commissario dell'arte per la regione di Vitebsk, dove fondò una scuola d'arte e il Museo di arte moderna di Vitebsk. Nella politica del governo dei soviet non ebbe tuttavia successo e per di più entrò in contrasto con la sua stessa scuola (in cui militava El Lissitzky) che per motivi politici era conforme al suprematismo, assolutamente agli antipodi dello stile fresco ed "infantile" di Chagall. Nel 1920 si trasferì con la moglie a Mosca e poi a Parigi nel 1923. In questo periodo pubblicò le sue memorie in yiddish, scritte inizialmente in lingua russa e poi tradotte in lingua francese dalla moglie Bella; scrisse anche articoli e poesie pubblicati in diverse riviste e, postumi, altri scritti raccolti in forma di libro. Divenne cittadino francese nel 1937.
    Durante l'occupazione nazista in Francia, nella Seconda guerra mondiale, con la deportazione degli Ebrei e l'Olocausto, gli Chagall fuggirono da Parigi. Si nascosero presso Villa Air-Bel a Marsiglia e il giornalista americano Varian Fry li aiutò nella fuga verso la Spagna ed il Portogallo. Nel 1941 la famiglia Chagall si stabilì negli Stati Uniti, dove sbarcò il 22 giugno, giorno dell'invasione nazista della Russia.
    Il 2 settembre 1944, Bella, compagna amatissima, soggetto frequente nei suoi dipinti e compagna di vita, morì per una infezione virale. Due anni dopo, Chagall fece ritorno in Europa e nel 1949 si stabilì in Provenza.
    n questi anni intensi, riscoprì colori liberi e brillanti: le sue opere sono dedicate all'amore e alla gioia di vivere, con figure morbide e sinuose. Si cimentò anche con la scultura, la ceramica e il vetro.


    La tomba di Chagall nel cimitero di Saint-Paul de Vence

    Chagall si risposò nel 1952 con Valentina (detta "Vave") Brodsky, anch'ella di origine russa ed ebrea, con la quale scoprì la Grecia. Nel 1957 si recò in Israele, dove nel 1960 creò una vetrata per la sinagoga dell'ospedale Hadassah Ein Kerem e nel 1966 progettò un affresco per il nuovo parlamento. Viaggerà anche in Russia dove sarà accolto trionfalmente, ma si rifiuterà di tornare nella nativa Vitebsk.
    Durante la guerra dei sei giorni l'ospedale venne bombardato e le vetrate di Chagall rischiarono di essere distrutte: solo una venne danneggiata, mentre le altre vennero messe in salvo. In seguito a questo episodio, Chagall scrisse una lettera in cui affermava di essere preoccupato non per i suoi lavori bensì per la salvezza di Israele, vista la sua origine ebraica.
    Chagall morì a 97 anni, a Saint-Paul de Vence, il 28 marzo 1985.