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Quando Oriana Fallaci intervista il suo amico Pierpaolo Pasolini...
Le sensazioni e reazioni del poeta-scrittore-regista che nel
1966 visitava la metropoli americana, come furono raccontate dalla
grande giornalista in una lunga intervista per L'Europeo: "E’
una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate
che hanno la grazia. Come certi poeti che ogni qualvolta scrivono un
verso fanno una bella poesia... Ti mette addosso la voglia di fare,
affrontare, cambiare..."
" Eccolo che arriva: piccolo, fragile, consumato dai suoi mille desideri,
dalle sue mille disperazioni, amarezze, e vestito come il ragazzo di un
college. Sai quei tipi svelti, sportivi, che giocano a baseball e fanno
l’amore nelle automobili. Pullover nocciola, con la tasca di cuoio
all’altezza del cuore, pantaloni di velluto a coste nocciola, un po’
stretti, scarpe di camoscio con la gomma sotto. Non dimostra davvero i
quarantaquattr’anni che ha. Per ritrovarli, quei quarantaquattr’anni,
deve andare verso la finestra dove la luce si abbatte spietata sul viso e
schiaffeggia quegli occhi lucidi, dolorosi, quelle guance scarne,
appassite, la pelle tesa agli zigomi fino a rivelare il suo teschio. Per
la stanchezza, suppongo. La notte scappa agli inviti e se ne va solo
nelle strade più cupe di Harlem, di Greenwich Village, di Brooklyn,
oppure al porto, nei bar dove non entra nemmeno la polizia, cercando
l’America sporca infelice violenta che si addice ai suoi problemi, i
suoi gusti, e all’albergo in Manhattan torna che è l’alba: con le
palpebre gonfie, il corpo indolenzito dalla sorpresa d’essere vivo.
Siamo in molti a pensare che se non la smette ce lo troviamo con una
pallottola in cuore o con la gola tagliata: ma è pazzo a girare così per
New York? È a New York da dieci giorni. È venuto pel festival
cinematografico, vi davano due dei suoi film. Sono proprio curiosa di
saper se l’America piace a questo marxista convinto, a questo cristiano
arrabbiato, insomma a Pasolini. Dieci giorni son pochi per dare un
giudizio, è ben vero, ma Orson Welles una volta m’ha detto che per
capire un Paese ci vogliono dieci giorni o dieci anni: all’undicesimo
giorno ti abitui e non vedi più nulla. All’undicesimo giorno, domani,
riparte. L’ho pregato per questo di venire da me a bere un drink.
«Whiskey?» gli chiedo. «Birra? Cognac?» «Coca-Cola» risponde. La
finestra s’apre lungo una strada di grattacieli, uno accanto all’altro,
uno dopo l’altro, dall’East River allo Hudson. Ti gira la testa a
guardarli, ti senti in trappola come una bestia che ha sete di verde. O
di silenzio. Entra, dal vetro socchiuso, l’inferno: brontolar di motori,
squillare di clacson, martellare di perforatrici, sirene. La città ha
acceso i termosifoni e la polvere nera ti si attacca perfino alle
ciglia, rendendoti cieco. Piove, è una di quelle giornate in cui tutto
ti irrita, ti nega entusiasmo. Ma lui beve con gusto la sua Coca-Cola e
d’un tratto esclama: «Vorrei aver diciott’anni per vivere tutta una vita
quaggiù».
«Quaggiù?! A New York?»
«È una città magica,
travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la
grazia. Come certi poeti che ogniqualvolta scrivono un verso fanno una
bella poesia. Mi dispiace non esser venuto qui molto prima, venti o
trent’anni fa, per restarci. Non mi era mai successo conoscendo un
Paese. Fuorché in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare
per non ammazzarmi.
L’Africa è come una droga che prendi per non
ammazzarti, una evasione. New York non è un’evasione: è un impegno, una
guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti
piace come le cose che piacciono, ecco, a vent’anni. Lo capii appena
arrivato. Arrivai da Montréal, con il treno. Scesi a un’enorme stazione
affogata nel buio, una sotterranea. Non c’eran facchini e la mia valigia
pesava. Eppure andavo come se fosse leggera. Mi muovevo verso una luce
accecante, in fondo al tunnel c’era una luce accecante, e quando fui
fuori la città mi aggredì come un’apparizione. Gerusalemme che appare
agli occhi del crociato. Non mi sentivo straniero, imparai subito a
girare le strade neanche ci fossi nato: eppure non la riconoscevo.
Perché nessuno ha mai rappresentato New York. Non l’ha rappresentata la
letteratura: a parte le vignette di Arcibaldo e Petronilla, su New York
esistono solo le poesie di Ginsberg. Non l’ha rappresentata la pittura:
non esistono quadri di New York. Non l’ha rappresentata il cinema
perché... Non lo so. Forse non è cinematografabile. Da lontano è come le
Dolomiti, troppo fotogenica, troppo meravigliosa, e dà fastidio. Da
vicino, da dentro, non si vede: l’obiettivo non riesce a contenere
l’inizio e la fine di un grattacielo. Ma non è solo la sua bellezza
fisica che conta. È la sua gioventù. È una città di giovani, la città
meno crepuscolare che abbia mai visto. E quanto sono eleganti, i
giovani, qui».
«Eleganti?!»
«Hanno un gusto favoloso: guarda come
sono vestiti. Nel modo più sincero, più anticonformista possibile. Non
gliene importa nulla delle regole piccolo-borghesi o popolari. Quei
maglioni vistosi, quei giubbotti da poco prezzo, quei colori
incredibili. Non si vestono mica, si mettono in maschera: come quando da
piccola ti mettevi la palandrana della nonna. E così mascherati se ne
vanno, orgogliosi, coscienti della loro eleganza che non è mai
un’eleganza mitica o ingenua. Ti vien voglia di imitarli e magari li
imiti perché dove puoi vestirti così? A Roma? A Milano? A Parigi? Io là
ho sempre paura che la gente si volti, mi guardi. Qui non ho alcun
complesso, posso andarmene vestito come voglio, senza che nessuno si
volti e mi guardi. Qui invece nessuno ti turba con la sua curiosità.
Ieri sulla Quarantacinquesima ho visto un uomo che stava morendo. In
mano aveva un pacchetto: l’ha fissato e poi l’ha scaraventato con una
tale violenza che il pacchetto s’è rotto. Chissà che c’era dentro. Dopo
s’è appoggiato al muro, ha messo la testa sull’avambraccio, è scivolato
piano piano per terra ed è rimasto lì a piangere.
Anzi a morire. Senza
che nessuno si fermasse a guardarlo, neanche per offrirgli un bicchier
d’acqua, un aiuto. La sera avanti, poco lontano dal Metropolitan, ho
visto un vecchio disteso sul marciapiede: coperto da un plaid. Accanto
gli stava un ragazzo, bello, elegante come dici tu: scarpe di cuoio
perfetto, calzini leggeri, pantaloni ben tagliati, un pullover favoloso.
Il vecchio stringeva sul petto la mano del giovane e il suo volto era
bianco, già levigato dalla morte. La gente passava e non si fermava,
qualcuno rideva. Ma è male questo? O non è male il nostro fermarsi a
curiosare? Non è detto che il loro silenzio sia mancanza di pietà, forse
è una forma superiore di pietà. La pietà di non avvicinarsi, non
curiosare...».
L’America è proprio una donna fatale, seduce chiunque.
Non ho ancora conosciuto un comunista che sbarcando quaggiù non abbia
perso la testa. Arrivano colmi di ostilità, preconcetti, magari
disprezzo, e subito cadon colpiti dalla Rivelazione, la Grazia. Tutto
gli va bene, gli piace: ripartono innamorati, con le lacrime agli occhi.
Sì o no, Pasolini? Lui scuote le spalle, sdegnoso.
«Io sono un
marxista indipendente, non ho mai chiesto l’iscrizione al partito, e
dell’America sono innamorato fin da ragazzo. Perché, non lo so bene. La
letteratura americana, tanto per fare un esempio, non mi è mai piaciuta.
Non mi piace Hemingway, né Steinbeck, pochissimo Faulkner: da Melville
salto ad Allen Ginsberg. L’establishment americano non ha mai potuto
conciliarsi, ovvio, con il mio credo marxista. E allora? Il cinema,
forse. Tutta la mia gioventù è stata affascinata dai film americani,
cioè da un’America violenta, brutale. Ma non è questa America che ho
ritrovato: è un’America giovane, disperata, idealista. V’è in loro un
gran pragmatismo e allo stesso tempo un tale idealismo. Non sono mai
cinici, scettici, come lo siamo noi. Non sono mai qualunquisti,
realisti: vivono sempre nel sogno e devono idealizzare ogni cosa. Anche i
ricchi, anche quelli che hanno nelle mani il potere. Il vero momento
rivoluzionario di tutta la Terra non è in Cina, non è in Russia: è in
America.
Mi spiego? Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest, e avverti
che la rivoluzione è fallita: il socialismo ha messo al potere una
classe di dirigenti e l’operaio non è padrone del proprio destino. Vai
in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo è un uomo
vuoto.
Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista,
oggi, possa scoprire. Ho conosciuto i giovani dello Sncc, sai gli
studenti che vanno nel Sud a organizzare i negri. Fanno venire in mente i
primi cristiani, v’è in loro la stessa assolutezza per cui Cristo
diceva al giovane ricco:
«Per venire con me devi abbandonar tutto, chi
ama il padre e la madre odia me». Non sono comunisti né anticomunisti,
sono mistici della democrazia: la loro rivoluzione consiste nel portare
la democrazia alle estreme e quasi folli conseguenze...."
ORIANA FALLACI
J'adore les espadrilles!
Avec les journées ensoleillées, les
espadrilles s'invitent encore une fois dans nos dressings et dans nos valises ...
Et c'est très bien!
Confort et allure sous le soleil, c'est le top..
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Emblématique de la “dolce vita” à la méditerranéenne, l’espadrille est la digne
héritière d’un savoir-faire ancestrale qui a fait de sa coupe d'origine un produit urbain et actuel.
La voilà, cette nouvelle espadrille, qui se pavane
désormais sur le macadam, flirtant avec les sandales à talons et autres
nu-pieds citadins.
Bon nombre de créateurs, de Saint Laurent à Burberry, en ont fait leur chaussure d'été de prédilection.
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C’est ainsi que la traditionnelle semelle en corde tressée se surélève à coups de plateformes graphiques, que la toile rugueuse se transforme en
cuir ou en dentelle ou encore que ses monochromes et imprimés
ensoleillés n’hésitent plus à devenir argent, or, noirs minimalistes ou blancs immaculés.
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Formentera, chiamata l'isola delle lucertole, è una destinazione turistica molto popolare grazie alla bellezza delle spiagge e alla sua vicinanza con Ibiza.
Meta di spicco per le vacanze degli italiani, si sussurra che ad agosto si
parli quasi unicamente la lingua di Dante e che grazie a questi nuovi turisti sia nata la moda dell'aperitivo in riva al mare accompagnato da musica fino a tardi.
Sono diversi i chioschi (chiringuitos in spagnolo) che con il calar del sole si trasformano in discoteche.
La sua fama risale
agli anni Settanta quando le sue bellezze naturali la resero una tappa del movimento hippy.
Ammantandosi oggi in tendenze bohème,
Formentera, anche per le sue piccole dimensioni, non ha sofferto di un grosso sfruttamento edilizio e
rimane fortunatamente preservata.
E se l’accoppiata luglio-agosto
l’incorona destinazione vip per eccellenza, nel mese di settembre
ritrova una quiete mediterranea che le si addice, e che i suoi abitanti
amano.
Formentera resta mediterranea anche nella sua cucina.
Le due specialità protagoniste sono d’altronde legate al sale marino.
Il
peix sec è del pesce in salamoia
tagliato a filetti e conservato sott’olio per essere consumato tutto
l’anno.
A questo si accoda il “sale liquido di Formentera”, del sale
naturale proveniente dal mare che viene venduto sotto forma di spray per
impregnare gli alimenti da condire.
Sull’isola è soprattutto utilizzato
per piatti freddi ed antipasti.
Tra i prodotti tradizionali non mancano
infine del miele (“Es Morer”, profumato con rosmarino o timo), del formaggio fresco (caprino o ovino) e il bescuit, il pane infornato a lungo, come una frisella, che deve essere bagnato prima di essere consumato.
Per
chi cerca la tranquillità, l’isola si deve apprezzare con più lentezza
noleggiando una bicicletta.
Le sue strade principali sono affiancate da una pista
ciclabile e si contano una ventina di itinerari pensati per le due
ruote.
Fra i percorsi possibili, il più suggestivo, e anche il più
impegnativo, è la pedalata che collega il borgo di San Ferran al faro de Sa Mola.
Contando 26 chilometri per il circuito intero, si passa attraverso il borgo di El Pilar, che ha vantato fra i suoi abitanti anche Bob Dylan, il villaggio di Sa Mola e si arriva infine al faro.
L’isola,
infine, non manca d’indirizzi di spicco.
Protetti da un’edilizia
selvaggia, i borghi e le spiagge accolgono piccole strutture piene di charme.
Si può contare allora su raffinate ville, ma anche abitazioni in stile bohème-chic come la Casa Serena, fino a hotel design con tanto di spa, come Es Marès.
Non sono da meno, inoltre, le boutique.
La località vanta una tradizione di artigiano e uno stile preciso, che si ritrovano
nel mercato artigianale di Sa Mola, allestito ogni domenica.
L’attenzione al design si fa notare anche nei concept store che puntellano il capoluogo Sant Francesc, rivelandone
l’anima glamour.
A coronare la selezione, si posizionano i
ristoranti-lounge-beach-bar: i più “naturali” si trovano per la maggior
parte lungo la spiaggia di Migjorn, vicino a indirizzi più gourmet, come il Chezz Gerdi a firma dello chef italiano Andrea Alimenti.
Formentera rimane uno dei luoghi del Mar Mediterraneo preferiti dai naturisti che continuano a frequentare la maggior parte delle spiagge dell'isola (Migjorn, Llevant, Ses Illetes, Espalmador, Calò des Morts, Platja de Tramuntana, Platja de Sa Roqueta, ecc.) grazie alla legislazione permissiva presente in Spagna, che di fatto permette il naturismo in molte zone del paese.
Tra le spiagge più belle di Formentera ricordiamo:
Le spiagge di Ses Illetes, situate nel punto più a nord dell'isola e le più vicine all'isola di Espalmador
(150 m scarsi), sono le più visitate e frequentate dai turisti.
La sua
particolarità è quella che in certi punti è una striscia di sabbia di
poche decine di metri con il mare su entrambi i lati che a sua volta può
essere1 calmo da una parte e mosso dall'altro.
Si può accedere a questa
zona, considerata riserva naturale, gratuitamente a piedi e in
bicicletta, mentre è necessario pagare un pedaggio se si accede in auto o
in scooter.
La zona di Ses Illetes è una delle più complete per il
tempo libero: sport acquatici, ristoranti, chioschi, amache, ombrelloni,
servizi per i bagnanti.
Esiste anche un servizio di tragitto marittimo
che collega questa zona con il porto de La Savina e con l'isola di Espalmador.
Migjorn, una delle più grandi dell'isola; la sua superficie
di sabbia abbraccia gran parte della costa sud, da La Mola a Es Cap de
Barbaria.
Per la sua lunghezza e posizione è una delle spiagge meno
frequentate dell'isola.
Cala Saona, una piccola spiaggia, ma anche una delle più belle.
Ricca di ristoranti e chioschi da cui si può ammirare la vicina Ibiza.
Facilmente raggiungibili sono la Costa de Punta Pedrera e le belle
scogliere di Punta Rasa, a cui si può accedere facilmente a piedi.
Llevant, situata nella punta nord dell'isola, nella zona di
levante, come indica il nome.
È una spiaggia di grande estensione ed è
la zona più vicina a Ses Illetes, per cui è abbastanza frequentata.
Espalmador,
150 metri scarsi separano l'isola di Formentera da quella di
Espalmador.
Questa isola di pochi chilometri quadrati è raggiungibile in
barca (esistono collegamenti dal porto di Formentera).
La spiaggia più
conosciuta dell'isola è la spiaggia di S'Alga, un vero e proprio porto
naturale.
La torre di vigilanza (Torre di Sa Guardiola), che è situata
nel punto più alto, è in un parco naturale ricco di fauna e flora.
Sull'isola non vi è alcun ristorante o stabilimento balneare.
Trieste è, una delle città italiane in cui il ricordo di Elisabetta
è forse più vivo e tangibile.
Oggi
Trieste omaggia questa sua figlia adottiva con un monumento posto nei
giardini pubblici di fronte alla stazione.
Amò questa città non per le bellezze del
suo centro storico o per la vicinanza al castello di Miramare, né per la
proverbiale riservatezza dei suoi abitanti, ma perché era il porto da
cui salpava per quegli anelati viaggi che la portavano lontano da
Vienna.
Vi arrivò la prima volta il 21 novembre 1856, prima tappa di un
lungo viaggio ufficiale che portò la coppia imperiale nelle province
italiane.
In quest’occasione, che permise a Elisabetta di vedere il mare
per la prima volta, visitò i collegi femminili, il Palazzo della Borsa e
della Camera di Commercio, nonché i monumenti e le bellissime chiese.
La coppia lasciò la città il 25 novembre.
Elisabetta tornò a Trieste il
31 gennaio 1859 per accompagnare la sorella Maria Sofia che si imbarcava
sul piroscafo che la portava da suo marito Francesco, futuro re delle
Due Sicilie.
Durante i soggiorni triestini Elisabetta amava risiedere al
castello di Miramare, favolosa residenza in marmo bianco
fatta costruire a picco sul mare dal cognato Massimiliano D'Asburgo, fratello di Francesco Giuseppe, arciduca d'Austria.
Del castello
adorava le ampie finestre che danno sul mare aperto.
Dopo la fucilazione
di Massimiliano in Messico, Elisabetta tornò spesso a Miramare,
usandolo come “base” per molte escursioni in incognito in città o nelle
baie vicine (le piaceva in particolare quella su cui si affaccia il
castello di Duino).
Nel settembre 1882 arrivò a Trieste per una visita
ufficiale: la residenza fu ancora Miramare, dove per quell’occasione
tornarono a risplendere le luci della festa dopo tanto tempo.
Il culto della bellezza
Ossessionata dal culto della propria bellezza, Elisabetta concentrava
tutte le proprie energie nel tentativo di conservarsi giovane, bella e
magra.
Negli anni 1870 e 1880 gli impegni di corte non trovavano
spazio nella giornata dell'Imperatrice.
Secondo le cronache, Elisabetta era alta 1 metro e 72 e pesava 50 kg,aveva capelli castani folti e lunghissimi, che sciolti le arrivavano quasi alle caviglie.
Le occorrevano 3 ore al giorno per vestirsi,
poiché gli abiti le venivano quasi sempre cuciti addosso per far
risaltare al massimo la snellezza del corpo.
La sola allacciatura del
busto, utile a ottenere il suo famoso vitino da vespa, richiedeva spesso
un'ora di sforzi.
Il lavaggio dei capelli era eseguito ogni tre
settimane con una mistura di cognac e uova e richiedeva un'intera
giornata, durante la quale l'Imperatrice non tollerava di essere
disturbata.
Altre tre ore erano dedicate ai capelli, che venivano intrecciati da Fanny Angerer, ex parrucchiera del Burgtheater di Vienna.
Una delle sue creazioni più famose fu l'acconciatura a "corona", con
grandi trecce raccolte sopra la nuca, divenuta il simbolo di
riconoscimento dell'imperatrice, che fu imitata da molte donne
aristocratiche del tempo.
Elisabetta era impegnata per il resto della giornata con la scherma,
l'equitazione e la ginnastica (a tal scopo, aveva fatto allestire in
tutti i palazzi in cui soggiornava delle palestre attrezzate con pesi,
sbarra e anelli, e per un certo periodo aveva mantenuto una scuderia di
prima grandezza).
Costringeva inoltre la propria dama di corte a
seguirla durante interminabili e forsennate passeggiate quotidiane.
Per preservare la giovinezza della pelle, Elisabetta faceva uso di
maschere notturne (a base di carne di vitello cruda o di fragole) e
ricorreva a bagni caldi nell'olio d'oliva.
Per conservare la snellezza,
oltre a rispettare il rigoroso regime alimentare, dormiva con i fianchi
avvolti in panni bagnati e beveva misture di albume d'uovo e sale.
Mascherava la propria anoressia con l'ossessione per un'alimentazione
sana.