mercoledì 15 giugno 2016

Quando Oriana Fallaci intervista Pierpaolo Pasolini a New York...







Quando Oriana Fallaci intervista il suo amico Pierpaolo Pasolini...




Le sensazioni e reazioni del poeta-scrittore-regista che nel 1966 visitava la metropoli americana, come furono raccontate dalla grande giornalista in una lunga intervista per L'Europeo: "E’ una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogni qualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia... Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare..."





" Eccolo che arriva: piccolo, fragile, consumato dai suoi mille desideri, dalle sue mille disperazioni, amarezze, e vestito come il ragazzo di un college. Sai quei tipi svelti, sportivi, che giocano a baseball e fanno l’amore nelle automobili. Pullover nocciola, con la tasca di cuoio all’altezza del cuore, pantaloni di velluto a coste nocciola, un po’ stretti, scarpe di camoscio con la gomma sotto. Non dimostra davvero i quarantaquattr’anni che ha. Per ritrovarli, quei quarantaquattr’anni, deve andare verso la finestra dove la luce si abbatte spietata sul viso e schiaffeggia quegli occhi lucidi, dolorosi, quelle guance scarne, appassite, la pelle tesa agli zigomi fino a rivelare il suo teschio. Per la stanchezza, suppongo. La notte scappa agli inviti e se ne va solo nelle strade più cupe di Harlem, di Greenwich Village, di Brooklyn, oppure al porto, nei bar dove non entra nemmeno la polizia, cercando l’America sporca infelice violenta che si addice ai suoi problemi, i suoi gusti, e all’albergo in Manhattan torna che è l’alba: con le palpebre gonfie, il corpo indolenzito dalla sorpresa d’essere vivo. Siamo in molti a pensare che se non la smette ce lo troviamo con una pallottola in cuore o con la gola tagliata: ma è pazzo a girare così per New York? È a New York da dieci giorni. È venuto pel festival cinematografico, vi davano due dei suoi film. Sono proprio curiosa di saper se l’America piace a questo marxista convinto, a questo cristiano arrabbiato, insomma a Pasolini. Dieci giorni son pochi per dare un giudizio, è ben vero, ma Orson Welles una volta m’ha detto che per capire un Paese ci vogliono dieci giorni o dieci anni: all’undicesimo giorno ti abitui e non vedi più nulla. All’undicesimo giorno, domani, riparte. L’ho pregato per questo di venire da me a bere un drink. «Whiskey?» gli chiedo. «Birra? Cognac?» «Coca-Cola» risponde. La finestra s’apre lungo una strada di grattacieli, uno accanto all’altro, uno dopo l’altro, dall’East River allo Hudson. Ti gira la testa a guardarli, ti senti in trappola come una bestia che ha sete di verde. O di silenzio. Entra, dal vetro socchiuso, l’inferno: brontolar di motori, squillare di clacson, martellare di perforatrici, sirene. La città ha acceso i termosifoni e la polvere nera ti si attacca perfino alle ciglia, rendendoti cieco. Piove, è una di quelle giornate in cui tutto ti irrita, ti nega entusiasmo. Ma lui beve con gusto la sua Coca-Cola e d’un tratto esclama: «Vorrei aver diciott’anni per vivere tutta una vita quaggiù».
«Quaggiù?! A New York?»
«È una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogniqualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia. Mi dispiace non esser venuto qui molto prima, venti o trent’anni fa, per restarci. Non mi era mai successo conoscendo un Paese. Fuorché in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare per non ammazzarmi. 

L’Africa è come una droga che prendi per non ammazzarti, una evasione. New York non è un’evasione: è un impegno, una guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti piace come le cose che piacciono, ecco, a vent’anni. Lo capii appena arrivato. Arrivai da Montréal, con il treno. Scesi a un’enorme stazione affogata nel buio, una sotterranea. Non c’eran facchini e la mia valigia pesava. Eppure andavo come se fosse leggera. Mi muovevo verso una luce accecante, in fondo al tunnel c’era una luce accecante, e quando fui fuori la città mi aggredì come un’apparizione. Gerusalemme che appare agli occhi del crociato. Non mi sentivo straniero, imparai subito a girare le strade neanche ci fossi nato: eppure non la riconoscevo. Perché nessuno ha mai rappresentato New York. Non l’ha rappresentata la letteratura: a parte le vignette di Arcibaldo e Petronilla, su New York esistono solo le poesie di Ginsberg. Non l’ha rappresentata la pittura: non esistono quadri di New York. Non l’ha rappresentata il cinema perché... Non lo so. Forse non è cinematografabile. Da lontano è come le Dolomiti, troppo fotogenica, troppo meravigliosa, e dà fastidio. Da vicino, da dentro, non si vede: l’obiettivo non riesce a contenere l’inizio e la fine di un grattacielo. Ma non è solo la sua bellezza fisica che conta. È la sua gioventù. È una città di giovani, la città meno crepuscolare che abbia mai visto. E quanto sono eleganti, i giovani, qui».
«Eleganti?!»
«Hanno un gusto favoloso: guarda come sono vestiti. Nel modo più sincero, più anticonformista possibile. Non gliene importa nulla delle regole piccolo-borghesi o popolari. Quei maglioni vistosi, quei giubbotti da poco prezzo, quei colori incredibili. Non si vestono mica, si mettono in maschera: come quando da piccola ti mettevi la palandrana della nonna. E così mascherati se ne vanno, orgogliosi, coscienti della loro eleganza che non è mai un’eleganza mitica o ingenua. Ti vien voglia di imitarli e magari li imiti perché dove puoi vestirti così? A Roma? A Milano? A Parigi? Io là ho sempre paura che la gente si volti, mi guardi. Qui non ho alcun complesso, posso andarmene vestito come voglio, senza che nessuno si volti e mi guardi. Qui invece nessuno ti turba con la sua curiosità. Ieri sulla Quarantacinquesima ho visto un uomo che stava morendo. In mano aveva un pacchetto: l’ha fissato e poi l’ha scaraventato con una tale violenza che il pacchetto s’è rotto. Chissà che c’era dentro. Dopo s’è appoggiato al muro, ha messo la testa sull’avambraccio, è scivolato piano piano per terra ed è rimasto lì a piangere. 

Anzi a morire. Senza che nessuno si fermasse a guardarlo, neanche per offrirgli un bicchier d’acqua, un aiuto. La sera avanti, poco lontano dal Metropolitan, ho visto un vecchio disteso sul marciapiede: coperto da un plaid. Accanto gli stava un ragazzo, bello, elegante come dici tu: scarpe di cuoio perfetto, calzini leggeri, pantaloni ben tagliati, un pullover favoloso. Il vecchio stringeva sul petto la mano del giovane e il suo volto era bianco, già levigato dalla morte. La gente passava e non si fermava, qualcuno rideva. Ma è male questo? O non è male il nostro fermarsi a curiosare? Non è detto che il loro silenzio sia mancanza di pietà, forse è una forma superiore di pietà. La pietà di non avvicinarsi, non curiosare...».
L’America è proprio una donna fatale, seduce chiunque. Non ho ancora conosciuto un comunista che sbarcando quaggiù non abbia perso la testa. Arrivano colmi di ostilità, preconcetti, magari disprezzo, e subito cadon colpiti dalla Rivelazione, la Grazia. Tutto gli va bene, gli piace: ripartono innamorati, con le lacrime agli occhi. Sì o no, Pasolini? Lui scuote le spalle, sdegnoso.
«Io sono un marxista indipendente, non ho mai chiesto l’iscrizione al partito, e dell’America sono innamorato fin da ragazzo. Perché, non lo so bene. La letteratura americana, tanto per fare un esempio, non mi è mai piaciuta. Non mi piace Hemingway, né Steinbeck, pochissimo Faulkner: da Melville salto ad Allen Ginsberg. L’establishment americano non ha mai potuto conciliarsi, ovvio, con il mio credo marxista. E allora? Il cinema, forse. Tutta la mia gioventù è stata affascinata dai film americani, cioè da un’America violenta, brutale. Ma non è questa America che ho ritrovato: è un’America giovane, disperata, idealista. V’è in loro un gran pragmatismo e allo stesso tempo un tale idealismo. Non sono mai cinici, scettici, come lo siamo noi. Non sono mai qualunquisti, realisti: vivono sempre nel sogno e devono idealizzare ogni cosa. Anche i ricchi, anche quelli che hanno nelle mani il potere. Il vero momento rivoluzionario di tutta la Terra non è in Cina, non è in Russia: è in America. 

Mi spiego? Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest, e avverti che la rivoluzione è fallita: il socialismo ha messo al potere una classe di dirigenti e l’operaio non è padrone del proprio destino. Vai in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo è un uomo vuoto. 
Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista, oggi, possa scoprire. Ho conosciuto i giovani dello Sncc, sai gli studenti che vanno nel Sud a organizzare i negri. Fanno venire in mente i primi cristiani, v’è in loro la stessa assolutezza per cui Cristo diceva al giovane ricco: 
«Per venire con me devi abbandonar tutto, chi ama il padre e la madre odia me». Non sono comunisti né anticomunisti, sono mistici della democrazia: la loro rivoluzione consiste nel portare la democrazia alle estreme e quasi folli conseguenze...."

ORIANA FALLACI 

 

Les espradilles sont de retour !

 
 
J'adore les espadrilles!

 

Avec les journées ensoleillées, les espadrilles s'invitent encore une fois dans nos dressings et dans nos valises ...

Et c'est très bien!  

Confort et allure sous le soleil, c'est le top..

 

 

 

 ISABEL MARANT 110€

 

Look méditerranéen ou allure chic et sophistiquée selon l'heure et l'envie..

ZARA 50€

Emblématique de la “dolce vita” à la méditerranéenne, l’espadrille est la  digne héritière d’un savoir-faire ancestrale  qui a fait de sa coupe d'origine un produit urbain et actuel.  



La voilà, cette nouvelle espadrille, qui se pavane désormais sur le macadam, flirtant avec les sandales à talons et autres nu-pieds citadins.



Bon nombre de créateurs, de Saint Laurent à Burberry, en ont fait leur chaussure d'été de prédilection.

 ERAM
ANDRE

C’est ainsi que la traditionnelle semelle en corde tressée se surélève à coups de plateformes graphiques, que la toile rugueuse se transforme en cuir ou en dentelle ou encore que ses monochromes et imprimés ensoleillés n’hésitent plus à devenir argent, or, noirs minimalistes ou blancs immaculés.




MINELLI 80€

lunedì 13 giugno 2016

Formentera : colori caraibici, luoghi chic, spiagge incredibili e tanti italiani


Formentera, chiamata l'isola delle lucertole, è una destinazione turistica molto popolare grazie alla bellezza delle spiagge e alla sua vicinanza con Ibiza.



Meta di spicco per le vacanze degli italiani, si sussurra  che ad agosto si parli quasi unicamente la lingua di Dante e che grazie a questi nuovi turisti sia nata la moda dell'aperitivo in riva al mare accompagnato da musica fino a tardi.


Sono diversi i chioschi (chiringuitos in spagnolo) che con il calar del sole si trasformano in discoteche.

La sua fama risale agli anni Settanta quando le sue bellezze naturali la resero una tappa del movimento hippy. 
Ammantandosi oggi in tendenze bohème, Formentera, anche per le sue piccole dimensioni, non ha sofferto di un grosso sfruttamento edilizio e rimane fortunatamente preservata. 


E se l’accoppiata luglio-agosto l’incorona destinazione vip per eccellenza, nel mese di settembre ritrova una quiete mediterranea che le si addice, e che i suoi abitanti amano.

Formentera resta mediterranea anche nella sua cucina. 

Le due specialità protagoniste sono d’altronde legate al sale marino. 
Il peix sec è del pesce in salamoia tagliato a filetti e conservato sott’olio per essere consumato tutto l’anno. 
A questo si accoda il “sale liquido di Formentera”, del sale naturale proveniente dal mare che viene venduto sotto forma di spray per impregnare gli alimenti da condire. 

Sull’isola è soprattutto utilizzato per piatti freddi ed antipasti. 


Tra i prodotti tradizionali non mancano infine del miele (“Es Morer”, profumato con rosmarino o timo), del formaggio fresco (caprino o ovino) e il bescuit, il pane infornato a lungo, come una frisella, che deve essere bagnato prima di essere consumato.

Per chi cerca la tranquillità, l’isola si deve apprezzare con più lentezza noleggiando una bicicletta. 

Le sue strade principali sono affiancate da una pista ciclabile e si contano una ventina di itinerari pensati per le due ruote. 
Fra i percorsi possibili, il più suggestivo, e anche il più impegnativo, è la pedalata che collega il borgo di San Ferran al faro de Sa Mola.



Contando 26 chilometri per il circuito intero, si passa attraverso il borgo di El Pilar, che ha vantato fra i suoi abitanti anche Bob Dylan, il villaggio di Sa Mola e si arriva infine al faro.

L’isola, infine, non manca d’indirizzi di spicco. 

Protetti da un’edilizia selvaggia, i borghi e le spiagge accolgono piccole strutture piene di charme

Si può contare allora su raffinate ville, ma anche abitazioni in stile bohème-chic come la Casa Serena, fino a hotel design con tanto di spa, come Es Marès

Non sono da meno, inoltre, le boutique. 
La località vanta una tradizione di artigiano e uno stile preciso, che si ritrovano nel mercato artigianale di Sa Mola, allestito ogni domenica. 

L’attenzione al design si fa notare anche nei concept store che puntellano il capoluogo Sant Francesc, rivelandone l’anima glamour. 
A coronare la selezione, si posizionano i ristoranti-lounge-beach-bar: i più “naturali” si trovano per la maggior parte lungo la spiaggia di Migjorn, vicino a indirizzi più gourmet, come il Chezz Gerdi a firma dello chef italiano Andrea Alimenti.


Formentera rimane uno dei luoghi del Mar Mediterraneo preferiti dai naturisti che continuano a frequentare la maggior parte delle spiagge dell'isola (Migjorn, Llevant, Ses Illetes, Espalmador, Calò des Morts, Platja de Tramuntana, Platja de Sa Roqueta, ecc.) grazie alla legislazione permissiva presente in Spagna, che di fatto permette il naturismo in molte zone del paese.



Tra le spiagge più belle di Formentera ricordiamo:

 Le spiagge di Ses Illetes, situate nel punto più a nord dell'isola e le più vicine all'isola di Espalmador (150 m scarsi), sono le più visitate e frequentate dai turisti. 


La sua particolarità è quella che in certi punti è una striscia di sabbia di poche decine di metri con il mare su entrambi i lati che a sua volta può essere1 calmo da una parte e mosso dall'altro. 
Si può accedere a questa zona, considerata riserva naturale, gratuitamente a piedi e in bicicletta, mentre è necessario pagare un pedaggio se si accede in auto o in scooter. 

La zona di Ses Illetes è una delle più complete per il tempo libero: sport acquatici, ristoranti, chioschi, amache, ombrelloni, servizi per i bagnanti. 


Esiste anche un servizio di tragitto marittimo che collega questa zona con il porto de La Savina e con l'isola di Espalmador.


Migjorn, una delle più grandi dell'isola; la sua superficie di sabbia abbraccia gran parte della costa sud, da La Mola a Es Cap de Barbaria. 
Per la sua lunghezza e posizione è una delle spiagge meno frequentate dell'isola.
Cala Saona, una piccola spiaggia, ma anche una delle più belle. 
Ricca di ristoranti e chioschi da cui si può ammirare la vicina Ibiza
Facilmente raggiungibili sono la Costa de Punta Pedrera e le belle scogliere di Punta Rasa, a cui si può accedere facilmente a piedi. 
Llevant, situata nella punta nord dell'isola, nella zona di levante, come indica il nome. 
È una spiaggia di grande estensione ed è la zona più vicina a Ses Illetes, per cui è abbastanza frequentata.
Espalmador, 150 metri scarsi separano l'isola di Formentera da quella di Espalmador. 

Questa isola di pochi chilometri quadrati è raggiungibile in barca (esistono collegamenti dal porto di Formentera). 
La spiaggia più conosciuta dell'isola è la spiaggia di S'Alga, un vero e proprio porto naturale. 
La torre di vigilanza (Torre di Sa Guardiola), che è situata nel punto più alto, è in un parco naturale ricco di fauna e flora. 
Sull'isola non vi è alcun ristorante o stabilimento balneare.

Trieste e Miramare, i luoghi preferiti dell'affascinante imperatrice Sissi



Trieste è, una delle città italiane in cui il ricordo di Elisabetta è forse più vivo e tangibile. 

Oggi Trieste omaggia questa sua figlia adottiva con un monumento posto nei giardini pubblici di fronte alla stazione.


Amò questa città non per le bellezze del suo centro storico o per la vicinanza al castello di Miramare, né per la proverbiale riservatezza dei suoi abitanti, ma perché era il porto da cui salpava per quegli anelati viaggi che la portavano lontano da Vienna. 

Vi arrivò la prima volta il 21 novembre 1856, prima tappa di un lungo viaggio ufficiale che portò la coppia imperiale nelle province italiane. 


In quest’occasione, che permise a Elisabetta di vedere il mare per la prima volta, visitò i collegi femminili, il Palazzo della Borsa e della Camera di Commercio, nonché i monumenti e le bellissime chiese. 

La coppia lasciò la città il 25 novembre. 
Elisabetta tornò a Trieste il 31 gennaio 1859 per accompagnare la sorella Maria Sofia che si imbarcava sul piroscafo che la portava da suo marito Francesco, futuro re delle Due Sicilie. 

Durante i soggiorni triestini Elisabetta amava risiedere al castello di Miramare, favolosa residenza in marmo bianco fatta costruire a picco sul mare dal cognato Massimiliano D'Asburgo, fratello di Francesco Giuseppe, arciduca d'Austria.




Del castello adorava le ampie finestre che danno sul mare aperto. 
Dopo la fucilazione di Massimiliano in Messico, Elisabetta tornò spesso a Miramare, usandolo come “base” per molte escursioni in incognito in città o nelle baie vicine (le piaceva in particolare quella su cui si affaccia il castello di Duino). 



Nel settembre 1882 arrivò a Trieste per una visita ufficiale: la residenza fu ancora Miramare, dove per quell’occasione tornarono a risplendere le luci della festa dopo tanto tempo. 




Il culto della bellezza
Ossessionata dal culto della propria bellezza, Elisabetta concentrava tutte le proprie energie nel tentativo di conservarsi giovane, bella e magra. 

Negli anni 1870 e 1880 gli impegni di corte non trovavano spazio nella giornata dell'Imperatrice.
Secondo le cronache, Elisabetta era alta 1 metro e 72 e pesava 50 kg,aveva capelli castani folti e lunghissimi, che sciolti le arrivavano quasi alle caviglie. 


Le occorrevano 3 ore al giorno per vestirsi, poiché gli abiti le venivano quasi sempre cuciti addosso per far risaltare al massimo la snellezza del corpo. 
La sola allacciatura del busto, utile a ottenere il suo famoso vitino da vespa, richiedeva spesso un'ora di sforzi. 

Il lavaggio dei capelli era eseguito ogni tre settimane con una mistura di cognac e uova e richiedeva un'intera giornata, durante la quale l'Imperatrice non tollerava di essere disturbata.
Altre tre ore erano dedicate ai capelli, che venivano intrecciati da Fanny Angerer, ex parrucchiera del Burgtheater di Vienna.

Una delle sue creazioni più famose fu l'acconciatura a "corona", con grandi trecce raccolte sopra la nuca, divenuta il simbolo di riconoscimento dell'imperatrice, che fu imitata da molte donne aristocratiche del tempo.


Elisabetta era impegnata per il resto della giornata con la scherma, l'equitazione e la ginnastica (a tal scopo, aveva fatto allestire in tutti i palazzi in cui soggiornava delle palestre attrezzate con pesi, sbarra e anelli, e per un certo periodo aveva mantenuto una scuderia di prima grandezza). 


Costringeva inoltre la propria dama di corte a seguirla durante interminabili e forsennate passeggiate quotidiane.

Per preservare la giovinezza della pelle, Elisabetta faceva uso di maschere notturne (a base di carne di vitello cruda o di fragole) e ricorreva a bagni caldi nell'olio d'oliva. 
Per conservare la snellezza, oltre a rispettare il rigoroso regime alimentare, dormiva con i fianchi avvolti in panni bagnati e beveva misture di albume d'uovo e sale. 
Mascherava la propria anoressia con l'ossessione per un'alimentazione sana.