lunedì 16 maggio 2016

Turco, portoghese, italiano...8 parole intraducibili

 

Solo 8 parole intraducibili? Certamente no ! Ce ne sono molto di più !

Nel mondo vengono parlate più di 6000 lingue, e con ciascuna di esse è possibile descrivere sentimenti, situazioni, oggetti e gesti della vita quotidiana con differenti prospettive per interpretare il mondo...  
E' dunque normale imbattersi in parole che non esistono in nessuna altra lingua. 

Queste gemme linguistiche possono essere spiegate, ma non possono essere tradotte direttamente.

Le parole intraducibili mettono in evidenza le differenze presenti all’interno dell’etnosfera umana. 

La cultura, i gusti , le abitudini, i cibi sono alcuni dei fattori che spingono ogni lingua ad inventarsi parole specifiche e, appunto, uniche, al fine di descrivere e definire qualcosa di unico e di particolare...



 

abbiocco (italiano)

sostantivo: sonnolenza che segue un lauto pasto
Cominciamo con la nostra lingua: non è una sorpresa che la prima parola intraducibile sia legata in qualche modo al cibo. Non c’è bisogno di essere italiani per averlo sperimentato: la tipica sonnolenza che segue una bella mangiata è nota a tutti, ovunque nel mondo. Eppure solo gli italiani hanno coniato una parola per questo "stato dell’esistenza".

desenrascanço (portoghese)

sostantivo: la capacità d’improvvisare una soluzione velocemente
"Desenrascanço" è la condizione esistenziale del procrastinatore, che agisce solo quando proprio non può farne a meno. Richiede però una certa genialità: non solo significa risolvere una situazione all’ultimo minuto, ma anche riuscirci in maniera completamente improvvisata. Il rappresentante più famoso di questa categoria è MacGyver, che in ogni puntata della serie omonima usciva indenne da pericoli mortali utilizzando solo una graffetta e una gomma da masticare.

hyggelig (danese)

aggettivo: comodo, accogliente, intimo
Cercate una parola che unisca tutto ciò che è accogliente, sicuro, amichevole, comodo e confortevole? I danesi ce l’hanno! Si tratta di hyggelig, una parola talmente utilizzata nella vita quotidiana che alcuni la considerano parte del carattere nazionale danese.

sobremesa (spagnolo)

sostantivo: conversazione al tavolo dopo pranzo
Gli spagnoli amano i grandi pranzi conviviali, ma, come ben sappiamo noi italiani, mangiare non è solo una questione di nutrimento. Se dopo pranzo vi piace rimanere seduti a tavola per chiaccherare con gli amici o i famigliari, sappiate che vi state gustando una sobremesa".

utepils (norvegese)

sostantivo: una birra bevuta all’aria aperta
Prima di poter godere di una luminosissima ma breve estate, i norvegesi devono sopportare un lungo, buio inverno. Di conseguenza una birra da bere fuori, all’aria aperta, magari lasciandosi baciare da un raggio di sole, diventa subito molto più di una semplice birra.

verschlimmbessern (tedesco)

verbo: peggiorare una situazione cercando di migliorarla
L’abbiamo fatto tutti almeno una volta: provi a mettere a posto un piccolo problema e facendolo combini un disastro. Magari hai provato a riparare una ruota della bici a terra e adesso non gira neanche più? Oppure hai reinstallato Windows sul tuo computer e adesso non riesci nemmeno ad accenderlo? E stendiamo un velo pietoso su quel taglio di capelli un po’ storto che hai provato a mettere a posto da solo…

yakamoz (turco) e mångata (svedese)

sostantivo: il riflesso della luna sull’acqua
Non importa quale lingua parli, di sicuro ti è capitato di ammirare il riflesso della luna sulla superficie dell’acqua, che sia quella del mare, di un lago o anche solo una pozzanghera. Però, a meno che tu non sia turco o svedese, è impossibile descrivere questa bellezza con una sola parola. In svedese, "mångata" significa letteralmente "strada di luna", un’immagine molto poetica.
Il turco offre una parola specifica per questo: "gümüşservi". In realtà non è un termine molto usato nel linguaggio colloquiale; per riferirsi a questo tipo di riflesso è molto più comune utilizzare la parola "yakamoz", che indica qualunque riflesso luminoso sull’acqua, ma anche il bagliore fosforescente di un pesce.

domenica 15 maggio 2016

Ridiamo un po' con gli italiani all'estero..



Da poco ho scoperto una pagina Facebook che mi fa morire dal ridere
 Improbabili (domande di) italiani all’estero

Noi italiani siamo certamente un popolo speciale e straordinario ma a volte talmente disarmante..
La pagina raccoglie il meglio e il peggio dei nostri connazionali all'estero.

«Le domande più gettonate sono «Perché qui non trovo i biscotti del Mulino Bianco?», oppure 

«Dove posso fare colazione all’italiana?», o ancora, e questo sembra essere un problema molto sentito dai nostri connazionali, «Ma perché questi stranieri non hanno il bidet?». 

C’è il neo abitante di Londra che domanda se può chiedere al datore di lavoro di essere pagato in euro e non in sterline «perché faccio ancora un po’ di fatica con il cambio». 

C’è chi chiede qualche foto di Bruxelles per capire in che tipo di città si sta per trasferire (e la risposta lapidaria di un altro cybernauta è: “Google immagini”).

C’è chi chiede in quale pub di Bristol si può vedere la finale di Amici... 


mercoledì 11 maggio 2016

L'Avana, Varadero, Trinidad paradisi cubani



Il fascino dell'Avana s’incontra con un’accurata ricostruzione dell’architettura coloniale e con uno sfondo di ricchissimi colori. 
Le sue strade affollate, con edifici del XVIII e XIX secolo sono piene di vita, con le sue Cadillac vintage talmente tipiche e fotogeniche.


Da visitare a piedi almeno un giorno , perché solo cosi si puo'dire di aver visto e vissuto veramente Cuba e i suoi cubani.

Dal quartiere Vedado all’Avana Veja si attraversano le sue viuzze, al di fuori dalle piste turistiche, alzando gli occhi, accorgendosi delle abitazioni senza finestre, incontrando bambini che giocano a calcio con una lattina, e finendo coinvolti in una delle loro tante feste a ritmo di salsa. 

Percorrere il tragitto fuori pista e entrare nello loro povere botteghe a fare acquisti, sorriderere ad un anziano che continua a lavorare caricando di gas gli accendini seduto sul marciapiede… Acquistare una noce di cocco in una bancarella..

A 2 ore dall’Avana, si puo' raggiungere la destinazione mare più conosciuta, Varadero, lunga striscia di sabbia che si estende per 23 km fino a formare una piccola penisola. 

La zona è veramente  turistica, colma di strutture ricettive ma l’abbagliante sabbia bianca, la fresca brezza tropicale e il mare calmo e cristallino, sono lo sfondo perfetto per un vacanza di totale relax. 
E il colmo del relax è di sdraiarsi al sole cubano sorseggiando un Mojito, una vera Pina Colada (niente a che vedere con quella che si fa in Italia) oppure un  Gaurapo, un cocktail rinfrescante a base di zucchero di canna, rum bianco e ghiaccio da far venire l’acquolina in bocca. 


Subito dietro le magnifiche spiagge, l’entroterra offre molte opportunità di escursioni sia dall’Avana che da Varadero.


La parte meridionale dell’isola è stupenda!
Attraversando l’entro terra si possono vedere immense distese di platani, coltivazioni di mango, di tabacco, riserve naturali incredibili. 


Da visitare assolutamente Trinidad, un paesino che sembra essere un museo a cielo aperto. 

Pieno di casette colorate, musica che viene da ogni vicolo, negozietti caratteristici, qui meglio che altrove si può rivivere la magica ed antica atmosfera coloniale dell’isola.



La cucina cubana non ha grandissime tradizioni, i piatti principali sono a base di carne di maiale ( puerco asado o carne de cerdo ) o pollo, accompagnati da riso condito con fagioli neri o rossi, insalate, pomodori, banane fritte e frutta fresca e non dimentichiamoci il “Pescado” il pesce e l’ottima l’aragosta cucinata in tantissimi modi diversi.

L'ottimismo dei cubani, e la loro gioia di vivere, nonostante le grandi difficoltà è una grande lezione di vita per tutti noi !!

martedì 10 maggio 2016

Cuba meta dei VIP con Chanel, Fast and Furious 8, Kim Kardashian..e i Rolling Stones !!



Dopo un embargo durato 53 anni Cuba si è aperta al mondo. 

Dopo la riapertura dell'ambasciata americana dell'anno scorso, il concertone dei Rolling Stones, la sfilata di Chanel e di Karl Lagerfeld, Kanye e Kim non potevano mancare a questo appuntamento con la storia.


Con loro c'erano anche le sorelle della reginetta dei reality, Khloe e Kourtney, che si sono fatte immortalare per le strade de l'Avana come comunissime turiste.


Dopo l’approdo della prima nave da crociera Usa nel porto dell’Avana, e a due mesi di distanza dal mega concerto gratuito dei Rolling Stones, un altro simbolo dell’Occidente è sbarcato a Cuba, Chanel ha presentato la sua collezione cruise 2016-17, organizzando non solo la sua prima sfilata di sempre in America Latina, ma segnando anche, e soprattutto, il ritorno della moda e del lusso nell’isola, con tutto il suo carico di significati.

Erano 600 gli ospiti di Karl Lagerfeld a presenziare allo storico evento, con la brasiliana Gisele Bundchen a fare un po’ gli onori della casa-continente con ventaglio e adagiata su una delle celebri auto vintage di Cuba come Alice Dellal; c’era poi Vin Diesel, con gli occhiali da sole in versione turista americano finalmente in vacanza, ma che si trova a Cuba per girare “Fast and Furious- Part Eight”, oltre a Tilda Swinton, Vanessa Paradis, e stelle della musica locale come Gente de Zona e Omara Portuondo.

Ad ammirare la sfilata c’erano anche gli abitanti del quartiere, affacciati ai balconi in canottiera . 
In passerella, toni esotici e baschi un po’ francesi un po’ alla Che Guevara. 


La sfilata si è chiusa con le modelle ballando sui ritmi di una band afro-cubana e chi ha assistito ha raccontato che gli ospiti sono stati poi trasferiti nella settecentesca Piazza della Cattedrale, trasformata per l’occasione nella cornice di un enorme beach party.

«Il mondo finalmente si sta aprendo a Cuba- ha detto Mariela Castro, figlia di Raul, il presidente - Tutti vogliono venire e dare un morso a questo frutto proibito. Tutti vogliono scoprirla, gustarla, esplorarla».









Nellie Bry, la prima giornalista globe trotter che fa onore alle donne !


Nata nel 1864, la giornalista americana Nellie Bry diventa famosa facendo il giro del mondo in 72 giorni, sfidando tutti i pregiudizi dell'epoca,e diventando un'icona dei suoi tempi.



«Solo un uomo può farcela», si sentì rispondere Nellie Bly dalla redazione del «New York World» di Joseph Pulitzer, dopo essersi offerta di compiere il giro del mondo, convinta di poter impiegare meno degli 80 giorni occorsi a Phileas Fogg nel romanzo di Giulio Verne

Una donna – le fu detto – non avrebbe mai potuto riuscire una tale avventura senza un accompagnatore, per non parlare dei pesanti bagagli che certo si sarebbe trascinata dietro, destinati a rallentarla notevolmente.

Con la tenacia che sempre la contraddistinse, Nellie Bly – pioniera del giornalismo investigativo e di quello sotto copertura – non si lasciò demoralizzare. 

Comprendendo bene quanto il progetto avrebbe sollevato la curiosità del pubblico, la rivista rivale «Cosmopolitan» decise di farla emulare dalla sua inviata Elizabeth Bisland Wetmore, dando così il via a una vera e propria competizione, che vide infine la vittoria di Nellie Bly

Quest'ultima lasciò Hoboken il 14 novembre 1889 e rimise piede negli Stati Uniti il 25 gennaio 1890, dopo settantadue giorni, sei ore, undici minuti di viaggio e circa ventottomila miglia percorse. Dall'esperienza – che la trasformò, come si disse allora, nella ragazza più famosa del pianeta – fu tratta la sua opera forse maggiormente nota, Around the World in 72 Days

Malgrado l'enorme popolarità acquisita, Nellie Bly ebbe però sempre un rimpianto: aver dimenticato di portare con sé, a causa della partenza frettolosa, la preziosa macchina fotografica Kodak.

Elizabeth Jane Cochran (questo il vero nome di Nellie Bly) nacque a Cochran's Mill, vicino Apollo, in Pennsylvania, il 5 maggio 1864. 

La morte del padre rese precaria la situazione finanziaria della famiglia; come se non bastasse, ben presto il nuovo patrigno si rivelò alcolizzato e violento, al punto che la medesima Elizabeth da adolescente testimoniò contro di lui durante il processo di divorzio intentato dalla madre. 

Costretta da ristrettezze economiche a sedici anni ad abbandonare gli studi per divenire insegnante, la ragazza si trasferì a Pittsburgh. 

Qui, un giorno del 1885, le capitò di leggere su un quotidiano locale, il «Pittsburgh Dispatch», un articolo misogino di Erasmus Wilson dall'eloquente titolo «What Girls Are Good For» (“A cosa sono buone le ragazze”), in cui venivano aspramente criticate le donne che cercavano una fonte di sostentamento fuori casa, voltando in questo modo le spalle al luogo a loro più consono, il focolare domestico. 

Indignata, Elisabeth Jane Cochran spedì al giornale la sua risposta in difesa delle lavoratrici, firmandosi “Lonely Orphan Girl” (“Orfanella sola”), a cui seguì un suo articolo su argomenti affini («The Girl Puzzle») che le aprì le porte del «Pittsburgh Dispatch»: aveva appena visto la luce Nellie Bly.


Nessuno a quell'epoca sospettava che dietro il melodioso pseudonimo, ispirato a una canzone di Stephen Foster, si potesse nascondere una personalità destinata a scrivere una pagina della storia dell'informazione.

In seguito, la giovane si concentrò più volte sulle condizioni degli indigenti e delle donne in fabbrica, per poi trasferirsi nel 1886 in Messico come corrispondente straniera

Obbligata in diverse occasioni a prestare la sua penna a contenuti comunemente ritenuti più “femminili” (in realtà, meno spinosi per gli industriali della città americana, che non apprezzavano indagini sui loro dipendenti), nel 1887 Nellie Bly si trasferì a New York in cerca di fortuna.



Dopo mesi di tentativi infruttuosi, approdò al «New York World», dove le fu proposto di fingersi pazza per infiltrarsi in uno dei luoghi più sordidi dell'intero territorio, il manicomio femminile di Blackwell's Island. 

L'inchiesta di Nellie Bly confermò la cattiva reputazione del sanatorio, più simile a un luogo di reclusione che di cura, definendolo «una trappola umana per topi. È facile entrare ma, una volta lì, è impossibile uscire». 

Cibo scadente, bagni gelati, scarsa igiene e maltrattamenti costituivano la regola; inoltre, insieme a coloro che erano realmente affette da patologie psichiatriche, si trovavano emigrate povere e donne ripudiate dai familiari, sane di mente ma rifiutate dalla società. 

Quando l'inchiesta (generalmente conosciuta col nome del volume che ne fu tratto, Ten Days in a Mad-House) apparve sulla stampa, destò grande scalpore, tanto che furono presi provvedimenti e aumentate le sovvenzioni per migliorare lo status delle pazienti.

Successivamente, Nellie Bly, oltre a realizzare il suo celebre giro del mondo, si occupò (non di rado sotto copertura) di temi quali lo sfruttamento delle operaie, il destino dei bambini non desiderati, le condizioni di lavoro delle domestiche o la vita in un istituto di carità, senza disdegnare soggetti decisamente più leggeri, ma reputati interessanti dai lettori (il mesmerismo, le case infestate, il funzionamento delle agenzie matrimoniali...).



Nel proporsi al pubblico, la donna cercò un equilibrio fra due degli ideali femminili in voga fra l'800 e il 900, cioè la Gibson girl, così chiamata sulla scorta della musa tipica dell'illustratore Charles Dana Gibson – graziosa, audace, affascinante –, e la New Woman, indipendente, istruita, progressista e sostenitrice della parità fra i sessi. 


Non a caso, la giornalista si interessò a più riprese della scottante questione del suffragio femminile, giungendo persino a prevedere che per la sua affermazione in tutti gli stati della federazione americana si sarebbe dovuto attendere almeno il 1920 (proprio quell'anno fu ratificato il diciannovesimo emendamento della Costituzione, concedente il diritto di voto alle donne). 

La stessa Nellie Bly – testarda, audace, pronta a gettarsi in ogni genere di avventura – divenne a sua volta un modello di riferimento per le cosiddette stunt girls che, sulla scia della loro eroina, anelavano a intraprendere una brillante carriera da reporter.

Nel 1895 la giornalista sposò Robert Livingston Seaman, divenendo qualche tempo dopo presidentessa di una delle aziende del marito, la Iron Clad Manufacturing Company, nonché della American Steel Barrel Company, la quale produceva anche dei barili di acciaio brevettati da Bly in persona. 


Rimasta vedova dopo otto anni di matrimonio, Nellie – gravata dai debiti – dovette dichiarare bancarotta nel 1914. 
In quei mesi partì per l'Europa e lì si mantenne come corrispondente di guerra per «The Evening Journal»; non dimenticò, comunque, di aiutare vedove e orfani. 

Tornata negli Stati Uniti un lustro più tardi, continuò a scrivere e a mobilitarsi per i piccoli in difficoltà.

Poche settimane prima della sua scomparsa, avvenuta il 27 gennaio 1922, Nellie Bly lasciò detto: «Non ho mai scritto una parola che non provenisse dal mio cuore. E mai lo farò.»

Ogni suo testo – che sia frivolo, commovente o indignato– ne è ancora oggi la vibrante conferma.




domenica 8 maggio 2016

Passionalissima Alba Parietti




A me, Alba Parietti piace molto.
Mi piace come parla, quello che dice, come si veste e come si trucca..
E' too much, provocante, arrogante con una certa classe italiana, che mischia passionalità, originalità, cultura e un gran carattere !


Scheda di
Alba Parietti
Altezza: 177 cm

Peso: 59 kg

Età: 54 anni

Segno: Cancro








Alba Antonella Parietti nasce a Torino il 2 luglio del 1961. 

Debutta nel 1977 con la pièce teatrale “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde, e l’anno successivo concorre a “Miss Italia” senza  arrivare in finale.

Nei primi anni Ottanta comincia a lavorare nelle TV e nelle emittenti radiofoniche del Piemonte, ottenendo piccole parti in film di successo come “Sapore di mare“.
Alba Parietti ha avuto una vita sentimentale alquanto movimentata. 
Sono tanti gli uomini che, in tutti questi anni, si sono alternati al fianco della bellissima showgirl. 
A partire da Franco Oppini, che Alba ha sposato nel 1981 e da cui ha avuto un figlio, Francesco, per poi separarsi nel 1991.

Nel corso degli anni Ottanta, Alba approda alla RAI dove le viene affidata la conduzione di diverse trasmissioni televisive, fra cui “Galassia 2″ di Magalli e Boncompagni.

Nello stesso periodo  debutta nel mondo della musica con i brani come “Jump do it” e “Only music survives”, che riscuotono un certo successo  in Italia e all’estero. 


Nonostante  fruttuose collaborazioni con grandi talenti della disco music italiana (come, ad esempio, i fratelli Nicolosi dei “Novecento”), Alba non riesce ad imporsi come cantante e ben presto decide di abbandonare la scena musicale.

Continua con successo come valletta e conduttrice televisiva: Alba, in quel periodo, appare infatti in programmi molto seguiti come “Ok il prezzo è giusto“, condotto su Mediaset da Gigi Sabani, e “W le donne”, storico show con Amanda Lear.


Nel 1985 sostituisce Fiorella Pierobon per pochi mesi come annunciatrice di Canale 5. 

Ma la grande popolarità arriva nel 1990, quando Alba conduce il programma sportivo su Telemontecarlo “Galagoal“. 

L’anno successivo Alba è nuovamente in Rai al timone dello show La piscina, dove ha occasione di mostrare un lato molto sexy di sè con i provocanti balletti che saranno poi ripresi in chiave ironica dall' imitatrice Francesca Reggiani

Nel 1992 viene scelta per presentare il Festival di Sanremo accanto a Pippo Baudo

Nello stesso periodo, continua a recitare in commedie italiane come “Abbronzatissimi” ( 1991) e “Saint Tropez Saint Tropez” ( 1992).

Qualche anno dopo viene scelta per il ruolo della protagonista nel film eroticoIl macellaio” non troppo apprezzato dal pubblico, nè dalla critica.

Ottiene più successo la sua divertente interpretazione nel “cinepanettone” di Neri Parenti “Paparazzi“. 

Nel 1997 riscuote un buon successo di ascolti con la trasmissione “Macao” su Rai 2.

Alla fine degli anni Novanta recita anche in alcune serie Tv come “Tre stelle” trasmessa su Canale 5, e diventa la regina del gossip grazie ai suoi legami sentimentali con Christophe Lambert e Stefano Bonaga e ai suoi numerosi interventi di chirurgia plastica.








Recentemente, Alba ha partecipato a diversi programmi televisivi in qualità di opinionista, ospite e concorrente di reality.




sabato 7 maggio 2016

Lista Globelink delle cose da non fare all'estero

 Una lista divertente, fatta da Globelink, delle 18 cose da non fare assolutamente durante i nostri viaggi all'estero.


1. Cosa non fare mai in Messico. Fare il muso quando non ci si diverte. Sempre sorridere..





2. Cosa non fare mai in Ucraina. In Ucraina e in Russia, presentarsi in una famiglia, o presso  persone o amici con un bel bouquet di fiori freschi non è per niente gradito, anzi! Infatti un mazzo di fiori è assimilato alla fioritura della tomba...

3. Cosa non fare mai in Nuova Zelanda. Suonare il clacson senza ragione. Meglio rallentare.

4. Cosa non fare mai in India. Toccare la compagna o il compagno in pubblico. E non solamente esplicite effusioni ma anche sfiorarsi o tenersi per mano. 

5. Cosa non fare mai in Giappone. Ringraziare con una mancia della gentilezza è estrema scortesia.


6. Cosa non fare mai in Francia. Parlare di soldi, argomento tabù.

7. Cosa non fare mai in Turchia.  Rispondere Ok.Un occhiolino andrà bene..

8. Cosa non fare mai in Irlanda. Imitare il loro accento!

9. Cosa non fare mai in Norvegia. Fare domande sulla religione.

10. Cosa non fare mai nel Regno Unito. Domandare quanto guadagnano, come in Francia.

12. Cosa non fare mai in Kenya. Chiamarli  subito per nome di persona, meglio iniziare con il cognome e poi vedere come va.

13. Cosa non fare mai in Cile. Mangiare in qualunque situazione con le mani. Siete in Cile, usate le posate che diamine !

14. Cosa non fare mai in Singapore.  Mangiare sui mezzi pubblici. Quindi evitate di farlo e aspettate il più democratico ciglio della strada.

15. Cosa non fare mai in USA. Non lasciare la mancia ai camerieri statunitensi. O lasciarne poca. Molto offensivo. Meglio controllare, Stato per Stato, quanto vi converrebbe lasciare...

16. Cosa non fare mai in Italia. (Consiglio ai turisti) Ordinare un cappuccino in un ristorante. E, soprattutto dopo i pasti. Il caffè va sicuramente meglio!

17. Cosa non fare mai in Ungheria. Brindare con un cin-cin tra bicchieri.


18. Cosa non fare mai in Cina. Regalare un ombrello o un orologio a un cinese. 


giovedì 5 maggio 2016

Le mysterieux Chateau de la Juive de Besançon


Le château de Clementigney, plus connu sous le nom de château de la Juive est l'une des plus remarquables demeures particulières de Besançon (Bourgogne-Franche-Comté). 
Il est situé sur la commune limitrophe de Chalezeule, sur le bout du mont de Brégille. 

Le bâtiment de base a été construit à une date inconnue, mais les premières traces à son sujet remontent à la fin du XVIIIe siècle, avant que la puissante famille juive Lippman n'en devienne propriétaire. 
Une de leurs descendantes, Léonie Allegri, demande à l'architecte franc-comtois Alphonse Delacroix de la transformer en un véritable château.
Entre 1850 et 1870, il donne naissance au bâtiment tel qu'on le connait aujourd'hui, avec son style gothique et son échauguette caractéristique.

Le dynamisme de la propriétaire donne à la demeure son surnom toujours actuel, le « château de la Juive ». 
Par la suite, l'édifice change de main et devient un hôtel-restaurant réputé pour sa gastronomie de qualité et ses décors remarquables, gagnant une réputation nationale et attirant plusieurs célébrités comme Georges Bidault, Tino Rossi, Marie-José de Belgique ou encore Johnny Hallyday
Des spécialités franc-comtoises typiques y sont servies, comme la saucisse de Morteau ou la truite au vin jaune et morilles. 


L'écrivain Guy des Cars y séjourne à demeure en 1956, pour écrire son roman intitulé Le Château de la Juive, inspiré par ce lieu. 
Louis Néel y apprend son obtention du prix Nobel de physique en octobre 1970.
Cependant, cette vocation se termine au début des années 2000, lorsque le dernier chef cuisinier meurt, le château retrouvant, depuis lors, une fonction purement résidentielle.


Le décor intérieur est dominé par des boiseries néo-gothiques, mais des modifications et ajouts ont été pratiqués durant les années 1950. 
Le mobilier du comte de Turenne, qui avait été éparpillé à la suite d'une vente aux enchères, a complètement disparu, à l'exception d'une pièce : la salle de réception. 

Les fenêtres à vitraux du Second Empire, les murs et plafonds de boiseries comprenant de petits carreaux polychromes de céramique - dont chacun arbore une grappe de raisin noir et deux épis de blés entourés de l'inscription « à la Dame de Clementigney » - témoignent de l'élégance des décors de l'époque. 

Une anecdote rapporte qu'un Américain de passage, séduit par le raffinement de cette pièce, a voulu racheter l'ensemble des éléments transportables, pour deux millions de francs.
Un passage du journal de Bregille, d'avril 1982, décrit précisément le château de la Juive, reprenant le témoignage de la vie quotidienne de Léonie Allegri dans sa demeure. 

Ainsi, on y apprend une multitude de détails, comme l'existence d'un escalier en chêne, le fait que les couloirs aux riches lambris dissimulaient des placards secrets, ou encore la description de sa chambre : elle contenait un lit à baldaquin soutenu par des colonnes torsadées, des murs aux lambris rouges et bleu roi, et un plafond bleu ciel tapissé d'étoiles. 

On apprend aussi qu'était présente une grande cheminée sculptée, recouverte de faïences bleues et blanches, et que les cabinets comportant des vitraux blancs transparents étaient situés dans l'échauguette. 

Quant à la salle de bain, située au troisième étage, il fallait, pour l'utiliser, monter l'eau seau après seau et la chauffer à l'aide d'un chauffe-eau en cuivre, fonctionnant avec un serpentin envoyant le liquide dans une baignoire également en cuivre, ne comportant pas de système d'écoulement. 

Des faïences, reprenant les motifs du mur de la salle de réception, trônaient dans le bâtiment, offertes par un peintre italien. 

Une fois remariée, Léonie Allegri fut confrontée aux infidélités de son époux, le comte de Turenne, dont la rumeur rapporte qu'il facilitait la fuite de ses maîtresses par l'escalier de la tour, alors renommée Felice, ainsi que par des portes secrètes cachées dans les lambris.
Il fit également apposer ses armes sur les grilles du château, et fit sculpter son portrait et celui de Léonie sur la cheminée de la chambre de son épouse. 
Les vignes, encore bien vivaces juste avant la Grande guerre, disparurent avec le décès de leur propriétaire, Léonie, en 1914.




Voici un tres bon resumè fait par une blogueuse "Lili Galipette" du roman de Guy des Cars "Le Chateau de la juive" 
Lors d’un voyage à Tel-Aviv, l’auteur a rencontré l’héroïne du roman. 
Pendant toute une nuit, elle accepte de lui raconter son histoire.

Eva Goldski a été arrachée très tôt à son pays. De camp d’internement en camp de déportation, elle est devenue apatride. Quand elle attire le regard d’Éric de Maubert, comte jurassien et officier français, elle sait qu’elle tient sa chance. 
 Enfin, elle sera riche, elle connaîtra la sécurité et elle pourra se venger d’avoir dû se courber devant plus fort qu’elle.

Hélas, le prince charmant n’est pas si riche qu’il semblait et le château n’est finalement qu’une gentilhommière un peu cossue qui menace ruine. Ne reste du prestige de la Tilleraye qu’un souvenir et des espoirs déçus.  
« Eva, comme tous ceux qui n’ont jamais rien possédé et qui n’ont connu que le dénuement total, avait une soif inextinguible de luxe… Un certain luxe qui ne pouvait se traduire, pour une échappée des camps, que par un confort ultra-moderne et des éclairages tapageurs. Comment, elle qui ne l’avait pas connu, aurait-elle pu goûter la grandeur nostalgique d’un Passé ? » (p. 57)

L’accueil réservé par Adélaïde, la mère d’Éric, est bien loin d’être chaleureux pour cette fille pauvre, sans lignée et juive. 
Or, la jeune épouse est bien décidée à faire valoir ses droits et à s’imposer sur le domaine. « Eva attaquerait de toute sa jeunesse douloureuse, Adélaïde se défendrait de toute son expérience tyrannique. » (p. 51) Séduisante, très intelligente et dotée d’un fort instinct de conservation, Eva sait nouer des relations intéressées et faire rentrer l’argent nécessaire à la rénovation du château et à un train de vie très élevé. Et surtout, Eva se constitue un trésor personnel : elle a trop manqué pour prendre le risque de ne rien avoir. Et tant pis si les paysans parlent dans son dos et si l’aristocratie locale répugne à visiter le château de la Juive : Eva est enfin à l’abri du besoin. Hélas, sa soif de possession la perdra.

Et Éric dans tout ça ? Fou amoureux de sa femme, complètement sous son emprise, il est bien incapable de percer à jour cette femme vénale et manipulatrice. « Pauvre Éric de Maubert qui n’avait jamais très bien compris Adélaïde et qui ne connaîtrait sans doute pas la véritable Eva ! » (p. 172) Mari cocu, mené par le bout du nez, il est le parfait dindon de la farce. Jusqu’à ce qu’une énième manipulation d’Eva échoue.