venerdì 6 dicembre 2013

Isabella Blow, un' esposizione a Londra !!





Isabella Blow è stata uno dei personaggi più influenti della moda inglese e internazionale. 
Scomparsa nel 2007, Isabella Blow ha cominciato come assistente di Anna Wintour a Vogue negli anni 80 per poi passare a Tatler e British Vogue.


Oggi la Somerset House di Londra, in collaborazione con The Isabella Blow Foundation e la Central Saint Martins, le dedica una mostra, Isabella Blow: Fashion Galore!, dal 20 novembre al 2 marzo 2014.
 



In esposizione 100 abiti provenienti dalla fondazione sostenuta dall’amica Daphne Guinness. 
Ci sono creazioni di Alexander McQueen, Philip Treacy, Hussein Chalayan e Julien Macdonald, ma anche fotografie che raccontano la sua vita e la sua passione per la moda. 







È stata anche la musa dello stilista Philip Treacy, i suoi cappelli eccentrici erano il suo schermo nella vita.



 L’esposizione dedicata a Isabella Blow si tiene dal 20 novembre al 2 marzo 2014 alla Somerset House.
Il catalogo della mostra è firmato dal fotografo inglese Nick Knight (ed. Rizzoli).

Le nouveau spot dans le Marais, la pâtisserie de Sarah et de Deborah !





Sarah et Deborah sont les fées pâtissières du Marais !




Passionnées de gâteaux depuis leur enfance
Sarah Harb et Déborah Levy, après des études de finances et de marketing,  se lancent dans leur rêve : ouvrir leur pâtisserie en plein cœur de Paris. 

Pour ce faire, elles se sont associées à l'un des pâtissiers les plus en vogue du moment : Eddie Benghnem
Après l'hôtel Ritz et le Trianon à Versailles, où il officie encore actuellement, le chef pâtissier se lance avec les deux fées dans une collection de pâtisseries. 
Une dizaine des plus grands classiques de la pâtisserie française revisités sous forme de mini gâteaux : baba au rhum, tarte au citron, Opéra, Saint-Honoré, Paris Brest, tarte vanille, fraisier, mais également des créations ultra régressives comme La Fée Nutella ou La Fée Tagada. 
Le point fort ? les petits gâteaux sont non seulement excellents en bouche mais ils sont en plus visuellement très bien réalisés, et vu la taille des gâteaux, on déculpabilise très rapidement. 

A noter que pour Noël, une pièce montée Monsieur et Madame Bonhomme de Neige (mousse vanille, biscuit noisette, crème chocolat au lait et noisettes, sablé croustillant et poire) sera en vente en édition limitée et numérotée à partir du 10 décembre. 
Une excellente idée pour la table de Noël ou un tea time entre copines à la maison.






Les Fées Pâtissières est ouvert au 
21 rue de Rambuteau, 75004 Paris. 
Tous les jours de 11h à 20h. 
3,80 € le mini gâteau. 
90 € la pièce montée spécial Noël.

giovedì 28 novembre 2013

Hipster ? Uno stile





"Gli hipster sono quelli che sogghignano quando dici che ti piacciono i Coldplay. Sono quelli che indossano t-shirt con citazioni tratte da film di cui non hai mai sentito parlare e sono gli unici negli Stati Uniti a pensare ancora che la Pabst Blue Ribbon sia un’ottima birra. Indossano cappelli da cowboy o baschi e tutto in loro è attentamente costruito per darti l’idea che non lo sia"


Chi sono gli Hipster?
Sono ragazzi dal look vagamente nerd, malati di tecnologia (l’i-Phone è il loro miglior alleato) e ossessionati nello stare lontani dalla terribilissima “cultura di massa”.

Secondo lo Urban Dictionary, il più autorevole vocabolario online di linguaggio urbano, hipster, che deriva dal termine slang hip ovvero “informato sulle ultime mode”, è una sottocultura di persone tra i 20 e i 30 anni che crede nel pensiero indipendente, nell’anticonformismo, nella creatività, nell’arte e nella musica indie. 
 
Non rivendicano alcuna appartenenza politica, perché volutamente indipendenti da ogni regola. 
Non vogliono essere catalogati e eludono l’attualità: tranne, ovviamente, per quel che riguarda musica e moda. 
L’unica religione che tutti gli hipster riconoscono come tale sono i pantaloni attillati: le donne indossano quelli super slim, stretti fino al polpaccio e gli uomini – per risultare ancora più insaccati – si infilano a fatica nei modelli femminili.

E’ uno stile presente soprattutto nelle grandi metropoli, Milano, Londra, Berlino…New York
Monopolizzano tutto quello che sia tendenza, odiano la moda anche se ne fanno decisamente parte.

Amano mescolarsi alla massa ma non riconoscersi in essa, si ritagliano spazi personali di scelta e di pensiero, sono di ogni età, usano oggetti che gli capitano a tiro (bicicletta, casco, cappelli, occhiali da sole) che diventano parte integrante del loro look e proprio modo di essere.

I capi d’abbigliamento che indossano sono vari e tutti elegantemente miscelati: t-shirt bianche, camicie nere smanicate, grandi occhiali da vista e da sole, pantaloni attillati, cappelli, sciarponi.  
Impossibile omettere, quindi, le t-shirt. 
In teoria andrebbero indossate quelle vintage, con scritte che ricordano rock band degli anni ’70 e ’80, anche se le maggiori catene di abbigliamento vendono magliette nuove in puro stile vintage ma dal taglio attillato. 


Come detta New York, fonte di ispirazione per gli hipster del mondo, anche le camicie a quadri stanno entrando nel loro guardaroba: di flanella, come quelle grunge anni Novanta, ma sempre in versione molto aderente.


Come dettaglio unisex, che l’hipster abbia o meno carenza di diottrie, è fondamentale indossare un paio di occhialoni che ricordano il modello Wayfarer della Ray-Ban. L’importante è che siano da vista perché quelli da sole sono considerati troppo “omologati”.

Per gli uomini è fondamentale sfoggiare i baffi. Ma anche qui vale la regola dell’ironia e della leggerezza. Il taglio dev’essere anni Ottanta: sottile, corto e poco folto. Insomma, più Burt Reynolds che Tom Selleck. Per le donne, capelli spettinati e – all’apparenza – poco curati, meglio se con una fascetta intorno alla testa.

Quanto alle scarpe, maschili o femminili, le regole sono due: suola ultrapiatta e stile minimal. Bene le All Star, le Toms, una sorta di espadrillas fashion e solidali – per ogni paio acquistato un paio viene regalato ad un bambino bisognoso – e le ballerine. 
Sono entrate di recente nell’armadio degli hipster anche le scarpe da basket modello Reebok primi Novanta.


Per completare il look, perfetti un cardigan aderente (alcuni sembrano appena usciti da un lavaggio sbagliato) e una kefiah che, volutamente privata di qualsiasi significato politico, va sfoggiata nei colori dal viola al rosa o fantasia, con cuori o farfalle. 


L’icona moderna dell’hips può essere considerato Johnny Deep col suo stile svagato e sempre cangiante, un po’ fuori moda anche se molto ricercato.



 

Un Natale di lusso e di gusto con panettoni e altre delizie






Ecco le nuove leccornie raffinate e insolite per un Natale gourmet che senza dimenticare la tradizione delizia i sensi, non solo con il gusto ma anche con vista e olfatto.  
Tendenza e lusso per scatole preziose e prelibatezze decorate con un gusto squisito.



Oltre ai tradizionali dolci natalizi - Panettone, Pandoro e Veneziana - Armani/Dolci propone una gamma di confetture con accostamenti insoliti come mela, uvette e pinoli, oppure mele e menta, racchiuse in un elegante packaging nero e oro. In vendita in tutti gli Armani/Dolci e on line sul sito armanidolci.com dal 1° novembre.





Questi straordinari panettoni in confezioni Lusso ed Extra Lusso per Natale sono prodotti esclusivamente con canditi preparati a partire dal frutto fresco per un risultato croccante,con vaniglia in bacche e non vanillina. 
Di Veggetti Since 1910





La Scatola regalo ‘Panettone, zafferano e risotto alla milanese’ nasce dalla collaborazione tra Tre Marie e lo chef stellato Davide Oldani e che contiene eccellenze gastronomiche (panettone milanese le Tre Marie e Riso Acquarello in scatola di latta) e la ricetta dello Chef per dar vita a una versione inusuale del “risotto alla milanese”. 
Di Tre Marie 





Gianduiotti, Nocciolotti, Sferette in una scatola in metallo con grafica Christmas in rilievo per un Natale un po' nostalgico.
Di Caffarel




Le nuove confezioni natalizie di Baci, per gli innamorati o semplicemente per esprimere  l'affetto,  rinnovano la dolce sensazione di un bacio. 
Di Perugina

 

Un piccolo scrigno racchiude monoporzioni dei famosi pasticcini di pasta di mandorle senesi: Ricciarelli in Bauletto. Di Sapori.

domenica 24 novembre 2013

Un po' di Serbia..









Riassumere in poche righe le abitudini e la cultura di un popolo è impresa ardua. 

La vita in Serbia scorre con relativa calma, senza particolare fretta. 
Il livello generale di stress è ben distante da quello che invece soffoca e logora, ormai da tempo, noi italiani.
Ne derivano ritmi più lenti, meno frenetici e un atteggiamento in linea di massima positivo, sia nella vita quotidiana, sia nel lavoro. Tutto ciò malgrado le situazioni economiche ed occupazionali siano più critiche di quelle di altri paesi europei, Italia compresa. 




Le feste, i ritrovi e le cene di gruppo, sono (quasi) all’ordine del giorno. 
Se qualcosa manca, si porta pazienza e ci si dorme sopra, riponendo le proprie speranze in un domani migliore.
 

I serbi, quindi, preferiscono vivere alla giornata, preoccupandosi il giusto del presente e un po’ meno del futuro: la loro filosofia di vita li porta ad essere fiduciosi in ciò che verrà e ironici rispetto a ciò che è già stato.
 




Capita, durante le serate trascorse in compagnia a sorseggiare rakija (Distillato di prugne [Šljivovica]), di rivivere nelle parole di chi racconta i tempi e le difficoltà delle guerre più recenti, narrati però come fossero fatti piacevoli da ricordare.
Questo atteggiamento, molto diffuso nelle aree rurali e distanti dalla sempre crescente frenesia della vita cittadina, fa sì che la popolazione serba risulti simpatica, interessante e piacevole da trattare. 

A questo modo di essere, va poi aggiunta l’innata ospitalità che caratterizza tutto il paese, talvolta spinta a livelli che, agli occhi di chi proviene da ambienti più chiusi e diffidenti, sembrano quasi esagerati.•
 

L’ospite, in Serbia, è sacro e va trattato con il massimo rispetto, provvedendo a fornirgli tutto quello di cui ha bisogno: all’arrivo viene di solito accolto con lo slatko insieme a un bicchiere d’acqua naturale o frizzante (kisela voda, cirillico: кисела вода).
 

Si tratta di pezzi di frutta (fichi, uva, prugne, etc.) cotta in acqua e zucchero, quindi molto gradevole sia per i bambini sia per gli adulti, servita in una coppetta di vetro trasparente, quindi su un piccolo vassoio da portata. 
La sua comparsa prescinde dall’ora della giornata e rappresenta il modo più tradizionale, per un serbo, di accogliere il proprio ospite. 
Il rifiuto è da evitare, sempre e comunque: anche il degustarne un solo pezzetto rende felice chi ve lo offre.
 

Quasi sempre la quantità di cibo posta in tavola va ben oltre le comuni capacità umane: meglio alzarsi sazi da una tavola ancora imbandita e pronta a soddisfare le esigenze di chi per caso dovesse ancora sopraggiungere, che rischiare di finire le scorte con gli ospiti ancora intenti alla degustazione. 



Non di rado ci si trova di fronte a piatti che non rientrano nelle proprie abitudini alimentari. 
È meglio vivere la situazione come un’occasione per provare e allargare la propria cultura culinaria, piuttosto che opporre un rifiuto o mostrarsi scettici. 
Non c’è da aspettarsi stoviglie in plastica, considerate offensive nei confronti di chiunque.
 

Il saluto dei serbi, al risveglio, è il classico “buongiorno” (dobro jutro, cirillico: добро јутро). Poco dopo si passa al buongiorno di mezza mattina (dobar dan, cirillico: добар дан), quindi al buonasera (dobro veče, cirillico: добро вече). Fra giovani, o comunque quando il rapporto è informale e stretto, si utilizza l’universale “ciao” (ćao oppure zdravo). Quando ci si lascia, il saluto di commiato, ovvero il classico arrivederci diventa doviđenja. Il saluto più affettuoso prevede tre baci e non due come si usa fare in Italia e in diversi paesi d’Europa.
Dopo lo slatko, è l’ora del caffè. Niente espresso o caffè ristretto: il caffè serbo è lo stesso che si consuma in Turchia, quindi non è filtrato ed è molto lungo. 

Si chiama turska kafa. 
La regola, il più delle volte violata, vuole che la consumazione del caffè duri un’ora o giù di lì: il sorseggio è lento, lentissimo, intervallato da discorsi di ogni tipo. Il detto locale recita: “jedna kafa, jedna sata” ovvero “un caffè, un’ora”.
 

Se si consumano alcolici e si brinda alla salute dei presenti, si pronuncia la parola Živeli! (equivale al nostro modo di dire Salute!), si toccano i bicchieri e, regola da non dimenticare mai, ci si guarda negli occhi.
 

Il bicchiere, una volta vuoto, viene riempito ancora, per una seconda volta, una terza, una quarta, etc… 
Se non siete in grado di reggere tanto alcool, è buona norma conservarne un po’, proprio per evitare che il padrone o la padrona di casa, provvedano a fornirvene ancora. 
Meglio ricorrere a questo semplice stratagemma, piuttosto che rifiutare.
 



Gli inviti a pranzo e a cena si sprecano e sarebbe un vero peccato non accettare. 
In Serbia si mangia, tanto e bene! La gran parte dei piatti, a base di verdure e di carne suina, incontra spesso i gusti di noi italiani. 
La carne é squisita, preparata alla griglia o al girarrosto: il maiale intero, cotto sul fuoco vivo, è uno dei simboli della cucina serba.


La Slava
Un’esperienza indimenticabile è senza dubbio la Slava (cirillico: Слава). Prenderne parte deve essere considerato un grande onore, trattandosi della glorificazione del Santo protettore di famiglia. 



E’ quindi una festa religiosa ortodossa e ricorre una volta all’anno. I suoi festeggiamenti durano da uno a tre giorni, in funzione della disponibilità e delle forze messe in campo dai padroni di casa. 
Sveti Nikola, Sveti Đurđica, Sveti Stefan e via dicendo, sono soltanto alcuni dei Santi che i serbi elevano a protettori delle loro case e famiglie. La tradizione e l’assegnazione del Santo si trasmette di padre in figlio (maschio).
 

Specie nelle aree e nei villaggi rurali, i partecipanti alla Slava possono facilmente superare le cento unità: parenti e amici sopraggiungono quando vogliono o possono, senza che ci sia un orario prestabilito e a tutti è riservato lo stesso trattamento d’onore. 





La tavola è sempre imbandita e non può essere sparecchiata fino a quando l’ultimo ospite non avrà abbandonato la casa. 
L’intera giornata è illuminata da una candela che brucia in onore del proprio Santo. Il padrone di casa, stando alla tradizione, resta in piedi fino a quando la stessa non sia spenta, quindi al calar del sole.

I preparativi che precedono i festeggiamenti e il pranzo della Slava: una candela viene posta in una base raffigurante il Santo protettore della famiglia. 




L’augurio da portare al padrone e alla padrona di casa è “Srećna slava domaćini i domaćice”, ovvero “felice Slava al padrone e alla padrona di casa”. 
Segue, come cibo di benvenuto, lo žito, un dolce preparato con grano cotto, noci, zucchero e cannella, servito con vino, quindi il segno della croce che apre a tutti i brindisi e ai festeggiamenti. 

Si ritiene che la Slava sia stata introdotta in passato dall’arcivescovo della Chiesa Ortodossa Serba Sava, divenuto poi santo (San Sava). 

Vale il detto: “Gde je Slava, tu je Srbin”, ovvero “ovunque si festeggi la Slava, vi è un serbo”.




venerdì 22 novembre 2013

Elogio del territorio veneto, terra di formaggi squisiti



Vette aguzze, vallate verdi, pianure fertili, colline viticole, fiumi navigabili e torrenti tumultuosi, laghi miti e litorali sabbiosi, città d’arte e borghi incantevoli: questi sono gli ingredienti che fanno del Veneto una regione ricca di sfumature e di variabili, capace offrire scorci naturali e spunti storico architettonici a chiunque volesse avvicinarvisi.
Il Veneto è anche conosciuto come regione operosa e in forte sviluppo, le cui imprese sono orientate alla ricerca e sono all’avanguardia nelle tecnologie e nell’innovazione. 


Questi due aspetti sono in apparenza contrastanti. 
Invece il Veneto, e la sua gente, hanno saputo conciliare un forte legame con il territorio e le radici storico culturali che ne hanno disegnato i confini, con la spinta imprenditoriale, anche e soprattutto nello sviluppo di identità locali, quale il Made in Italy e il Made in Veneto.
La cucina regionale è lo specchio di questa doppia identità, fondendo con maestria i sapori delle produzioni ricercate con il gusto per la sperimentazione e l’innovazione ed a sua volta il settore caseario esprime appieno questa tendenza.
 

Ecco spiegato come, accanto a realtà casearie destinate a prodotti di nuova generazione, standardizzati e conformi tra loro, volti a soddisfare un consumatore generico, rimane salda, e di grande rilevanza, quella realtà che si dedica alle produzioni casearie appartenenti alla tradizione, spesso squisitamente locale, che vengono prodotte nel rispetto dei requisiti di sicurezza alimentare ma anche di tutela del territorio.

Oltre agli otto Formaggi DOP (Asiago, Casatella Trevigiana, Grana, Monte Veronese, Piave, Provolone Valpadana, Taleggio) già conosciuti ed apprezzati a livello nazionale ed internazionale, il Veneto è ricco di formaggi tradizionali, realizzati da piccole realtà casearie a livello locale, che puntano sulla qualità e sulla tipicità dei loro prodotti.
 

In queste realtà viene lavorato in prevalenza il latte proveniente da stalle del territorio. 
Si crea così la stretta relazione tra microclima, alimentazione degli animali, caratteristiche della materia prima e ricetta, spesso tramandata di generazione in generazione, dai casari, rendendo unico il binomio formaggio-territorio.
Ogni formaggio tipico Veneto ha una sua storia da raccontare attraverso i sensi... non resta che saperla assaggiare.

Il Piave, un vero formaggio bellunese.





l nome del formaggio "Piave" deriva dall'omonimo fiume la cui sorgente si trova sul monte Peralba in Val Visdende, nel territorio del Comelico, la parte più settentrionale della provincia di Belluno. 
Un percorso tortuoso porta il Piave verso il fondovalle, dapprima nel Cadore e poi nella conca bellunese, tra Belluno e Feltre, dove il fiume scorre più lento fino ad incontrare la pianura ai piedi delle Prealpi Venete in provincia di Treviso. 

Nessun nome meglio di "Piave" potrebbe dunque identificare il più importante formaggio bellunese, nato da un'antica tradizione lattiero casearia.

Esistono 3 tipologie del Piave DOP che si differenziano per la durata della stagionatura: 
il "Fresco" dura dai 20 ai 60 giorni, 
 il "Mezzano" dai 61 ai 120 giorni e 
il "Vecchio" oltre i 120 giorni. 
Le materie prime impiegate ed il processo di caseificazione e maturazione impiegati ne determinano il profilo organolettico e nutrizionale. 
In particolare la materia prima è rappresentata sicuramente dal latte, prodotto nel territorio bellunese, dove la razza bovina preponderante è rappresentata dalla Bruna, piuttosto rustica e solida, adatta ad un ambiente impervio come quello di montagna e versatile nelle sue prestazioni, ossia in grado di soddisfare sia i fabbisogni di latte sia quelli di carne della popolazione agricola.

Formaggio Piave


Nella cucina povera della montagna bellunese, il formaggio Piave rappresenta, oggi come per il passato, l'espressione di una tradizione fatta di sapore e genuinità. 

Da consumare senza moderazione come formaggio da tavola, o aggiunto a pezzetti in un’insalata di rucola. 
Ma per gustarlo alla bellunese, bisogna friggerlo e accompagnarlo con polenta e crauti. 
Molto apprezzato anche quello stagionato, da grattuggiare per arricchire di gusto le pietanze.


Per il sapore e le caratteristiche della pasta a dieci/dodici mesi di stagionatura il Piave è molto apprezzato anche come formaggio da grattugia, per arricchire di gusto i piatti tipici della cucina nazionale.

Una bontà veneta, l'Asiago !

Un pensierino per un formaggio veneto buonissimo, 
l'Asiago !





L'Asiago é uno dei più conosciuti prodotti veneti e prende il suo nome dall'Altopiano di Asiago, detto "dei Sette Comuni", in provincia di Vicenza, compreso tra l'Astico e il Brenta. 




Già nell'alto Medioevo, sembra vi si producesse un gustoso formaggio ricavato dal latte delle pecore. 
Nel corso degli ultimi secoli, con il miglioramento di prati e pascoli, l'allevamento ovino lasciò lentamente posto a quello bovino ed il latte vaccino divenne la base su cui applicare l'antica esperienza, dando luogo alla moderna tecnica casearia che ancora oggi si pratica nelle malghe dell'Altopiano.
Attualmente la zona di raccolta del latte e di produzione del formaggio Asiago D.O.P., delimitata per disciplinare, comprende l'intero territorio delle province di Vicenza e Trento e una parte delle province di Treviso e Padova. 

Il formaggio Asiago - che nel 1996 ha ottenuto la Denominazione di Origine Protetta - viene prodotto in due diverse tipologie: d'allevo e pressato. 
I due formaggi si differenziano, oltre che per la stagionatura, anche per il tipo di lavorazione.
L'Asiago più vicino all'austera tradizione dei casari altopianesi è certamente quello d'allevo, le cui forme vengono tagliate solo dopo mesi di stagionatura. 
È un formaggio da tavola che diventa mezzano dopo 4-6 mesi, vecchio con stagionatura superiore ai 10 mesi e stravecchio se stagionato oltre i 15 mesi. Il sapore è dolce e la pasta è compatta nel formaggio mezzano, mentre il tipo vecchio o stravecchio è più saporito e leggermente piccante e la pasta è più dura e granulosa.

Negli anni '20 è iniziata la produzione di un formaggio Asiago a più breve stagionatura, chiamato pressato poiché le forme appena prodotte vengono sottoposte ad una pressatura sotto torchi manuali o idraulici. 
L'Asiago pressato è un formaggio da tavola e con sapore tendente al dolce.

domenica 17 novembre 2013

La Birra delle Dolomiti, la Pedavena !





La Pedavena è una birra originaria del Bellunese, e prende il suo nome da Pedavena, la località in cui è situato lo stabilimento di produzione.
Fondata nel 1897 dai fratelli Luciani, nel 1974 diviene proprietà della azienda Heineken, la quale però, nel settembre 2004, decide la chiusura dello stabilimento di Pedavena. 
In seguito a questa decisione i lavoratori della fabbrica si sono mobilitati affinché si evitasse la chiusura dello stabilimento, coinvolgendo anche i maggiori sindacati, il sindaco di Pedavena e personalità come Beppe Grillo. 
In seguito alla presentazione di circa 54.000 firme (cartacee e digitali) e all'interessamento addirittura del Parlamento Europeo, i lavoratori insieme a tutti i cittadini di Pedavena ottennero, il 10 gennaio 2006, la riapertura dello stabilimento. 
Da quella data la Birra Pedavena è di proprietà del gruppo Birra Castello S.p.A. di Udine e ritorna ad essere una birra 100% italiana.

È una birra che ha gradazione alcolica di 5%. Caratterizzata da gusto equilibrato e armonioso con una tenue nota di luppolo, con schiuma persistente, e lucente colore dorato.

Viene prodotta esclusivamente con l'acqua oligominerale dei Monti Porcilla e Oliveto ai piedi delle dolomiti bellunesi.
È disponibile in vari formati da 33, 50, 66 cl e 5 litri.

  • In occasione del centenario della fondazione dell'azienda venne prodotta una speciale birra di tipo lager, non filtrata, con gradazione alcolica di 4,8%, a bassa fermentazione. La birra del Centenario è tuttora disponibile in esclusiva presso il locale Birreria Pedavena adiacente alla Fabbrica.
  • Molto simile alla birra del centenario è la birra Pedavena "Prima Cotta", che prevede due fermentazioni diverse, di cui la seconda avviene a temperature più basse, e tempi molto lunghi di maturazione.
  • Un'altra birra prodotta dallo stabilimento di Pedavena è la "Birra delle Feste", una doppio malto a bassa fermentazione, dall'alta gradazione alcolica (7,1%) e dal colore ambrato
  • Il birrificio Pedavena è stato scelto come fornitore per la birra a marchio Coop che ne garantisce una produzione notevole anche in volumi. 
  • La birra Coop di Pedavena è disponibile anche nella versione analcolica.

 

 

La birra va in Cina

Non c’è solo il vino italiano che guarda all’enorme mercato cinese. 

Anche la birra made in Italy sta muovendo passi importanti per piantare bandierine oltre la Grande Muraglia. 

Lo sta facendo con ottimi risultati, ad esempio, Birra Castello, che ha tra i suoi marchi anche la storica Pedavena e la “agricola” Birra Dolomiti, fatta con orzo locale, coltivato ad hoc nei terreni della Valbelluna. risultato dell’incrocio tra qualità, territorialità e lungimiranza nelle politiche di export, una crescita in vistosa controtendenza del 20% del fatturato complessivo e il taglio del traguardo del milione di litri prodotti. 

A corollario, e per ribadire l’importanza delle radici e della filiera integrata locale – che permette di seguire e tracciare direttamente ogni tappa della produzione, dalla semina del cereale al varo della bottiglia – ecco anche i successi di Pedavena, Dolomiti e Castello in due paesi super birrari come Asutralia e Stati Uniti.